Phobia, Wulf Dorn
Corbaccio
16,60 euro, 324 pagine
|
Prima di “Phobia”, non avevo
mai letto nulla dello scrittore di thriller tedesco Wulf Dorn; avevo
sentito parlare con toni entusiastici de “La Psichiatra”, la sua
prima opera pubblicata in Italia e, incuriosita, mi ero ripromessa di
leggerla; ma, come tanti buoni propositi, è finito nel
dimenticatoio. La spinta a leggere “Phobia” è nata quando ho
ricevuto l'invito a partecipare a un incontro con l'autore presso gli
uffici della casa editrice Corbaccio, aperto ai blogger. Ovviamente
non potevo partecipare senza avere la minima idea di che cosa
trattasse il libro, quindi mi sono data da fare e l'ho “affrontato”
con interesse e curiosità.
Come dice il titolo stesso,
“Phobia” è la narrazione di una paura oscura, innata e comune a
tanti di noi: quella di uno sconosciuto, emblema di una minaccia
ignota, che si insinua come un morbo nella nostra vita. L'esistenza
di una dei protagonisti della vicenda, Sarah Bridgewater, moglie e
madre in crisi, persa nella rete delle sue paure, viene
improvvisamente sconvolta quando una notte, invece del marito
Stephen, si ritrova in casa un uomo che non aveva mai visto che si
spaccia per lui, con indosso i suoi stessi vestiti e che pare
conoscere tanti particolari della loro vita a due. Sarah è
ovviamente terrorizzata: chi è quest'uomo? Perché ha deciso di
tormentare proprio la loro famiglia? Che fine ha fatto Stephen? È
ancora vivo? La vicenda si fa ancora più intricata perché Sarah non
viene creduta dalla polizia, che sembra considerarla una donna un po'
fragile di nervi con un marito che volontariamente ha deciso di
allontanarsi. Ad aiutare Sarah ci pensa Mark Behrendt, un vecchio
amico di infanzia, ritornato a Londra dopo un periodo in Germania
(Mark è per metà tedesco e svolgeva lì la professione di
psichiatra) su invito postumo di un vecchio professore universitario,
George Otis, un uomo spezzato a sua volta per via della tragica morte
della fidanzata investita da un pirata della strada, ma forse non per
puro caso...
Sarah e Mark sono due anime
affini, perché legate da una grande amicizia e a loro volta
ingabbiate nelle proprie paure, che si uniscono per scovare la
verità. A tenere salde le redini della vicenda sembra proprio lo
Sconosciuto, quest'uomo ignoto, sfigurato e malato, uno psicopatico
che ha deciso di mettere in atto una sorta di percorso di redenzione
e giustizia: redenzione per Sarah, che vuole aiutare a uscire dal suo
confino mentale; giustizia verso una vita che non va come dovrebbe e
verso una persona, Stephen, che forse ha qualche cosa da nascondere.
Sarah e Mark diventano quindi una sorta di coppia investigativa,
pronti a scandagliare ogni singolo indizio e a scavare nel passato,
nel tentativo non solo di trovare sì il marito scomparso, ma anche
di capire perché la famiglia Bridgewater sia diventata la vittima di
quello che appare un gioco crudele.
Si potrebbe dire che “Phobia”
sia una vicenda che si gioca tra i contrasti: vita e finzione, paura
e coraggio, passato e presente, apparenza e profondità, con lo
Sconosciuto come giudice auto-proclamato, implacabile come una
sentenza del destino. Questo personaggio nasconde un terribile
segreto, che, una volta dipanato, lo rende paradossalmente più umano
e fa nascere nel lettore un sentimento ambiguo: se da una parte
emerge tutta la sua mostruosità, dall'altro viene rivelata pure la
sua vulnerabilità e il suo essere raccapricciante a causa di una
tragedia che ne ha compromesso del tutto la sanità, sia fisica che
mentale. Lo Sconosciuto, che in un certo punto del libro si fa
chiamare Giobbe, non è banalmente malvagio, ma la sua malvagità è
nata da un trauma.
“Phobia” è anche una storia
che si sviluppa con innesti, punti di vista ed esistenze diverse che
si irradiano verso l'alto, si intrecciano e si avviluppano, creando
una solida impalcatura dove passato e presente sono uno a servizio
dell'altro: il passato sostiene il presente, e il presente aiuta il
passato a risolvere gli enigmi. Tanti rami che nascono da un tronco e
aiutano a supportarlo: storie secondarie che si uniscono nel dramma
che vive una famiglia alla ricerca del “perché”. Una ricerca
interiore che va di pari passo con quella esterna, all'identità di
questo Sconosciuto che resterà fatalmente ignota.
“Phobia” è un romanzo
coinvolgente, non confinato al solo genere thriller, è un libro che
non termina semplicemente con “THE END”, ma lascia alcune domande
nel lettore e soprattutto induce a riflettere. Un ottimo prodotto per
chi ama il filone, ma anche per chi vuole accostarsi a una vicenda
che mozza il fiato per il succedersi degli eventi e che crea
inquietudine intorno al personaggio intangibile ma sempre presente:
la paura.
Concludo la mia recensione
riportando alcune domande (con relativa risposta) emerse durante la
partecipazione all'incontro con l'autore.
N.B.
Non ho registrato le risposte, solo preso appunti: pertanto quello
che segue è un “riassunto” di quanto espresso dall'autore, non
la trascrizione parola per parola.
Interview with...
Wulf Dorn
D:
Perché è stato scelto il tema della paura?
R: La decisione di scrivere sulla
paura è stata ispirata da due fatti: il primo è il furto avvenuto
in casa di alcuni amici, con la conseguente inquietudine di aver
scoperto al mattino la prova tangibile (vestiti sparsi, disordine,
ecc) della presenza in casa dei ladri, a cui è seguita la terribile
domanda: “Che cosa sarebbe successo se mi fossi svegliato e loro
fossero stati lì?”. Il secondo è legato alla sensazione di
pericolo, esasperata soprattutto dagli attentati terroristici alla
metropolitana di Londra, che ha cambiato le persone, ora divenute più
diffidenti e pronte a guardarsi le spalle, ma non a conoscersi
reciprocamente. Questi due fatti raccontano la storia su due livelli
diversi, personale e globale.
D: Ci sarà una trasposizione
cinematografica di “Phobia”? Le piacerebbe?
R: Dipende dalle società di
produzione. Se questa trasposizione fosse fatta bene, mi piacerebbe.
Si era parlato di trasformare “La psichiatra” in un film, ma ho
rifiutato perché la storia era troppo diversa. Era rimasto solo il
titolo!
D:
Che regista vorrebbe per un ipotetico film tratto da “Phobia”?
Con quale cast di attori?
R: Come regista vedrei bene Dario
Argento. Per Mark Behrendt Johnny Depp oppure Ashton Kutcher, anche
se è difficile mettere a fuoco un attore che potrebbe interpretarlo,
perché Mark è stato ideato pensando a un amico. Per Sarah
Bridgewater penserei Gwyneth Paltrow, anche tenendo a mente la sua
interpretazione in Seven, con Brad Pitt. Per George Otis sceglierei
Peter O'Toole e per lo Sconosciuto Kevin Spacey.
D: Quando ha deciso di essere
uno scrittore?
R: L'ho deciso fin da
giovanissimo. Ho sempre amato raccontare storie, avevo cinque anni e
già dicevo in giro che avrei scritto un libro. È
un onore per me fare questo mestiere, e sono grato al destino.
D:
Nel suo libro ha stabilito fin da subito che il “cattivo” è
l'opposto di quello che dovrebbe essere?
R: La parola psicopatico è una
definizione che già crea un “problema”, nei thriller si parla
quasi sempre di psicopatici, mai di avversari. Volevo rompere questo
cliché e mostrare che ognuno di noi ha dentro di sé una violenza
potenziale, che può sempre scattare. Non è tutto bianco o nero, a
volte succede qualcosa e il male ha il sopravvento sul bene. Quando
inizio a scrivere una storia ne ho già in mente l'andamento, ma,
affinché sia credibile, devo avere presente tutti i miei
protagonisti. Mi piacciono tutti, anche gli antagonisti, che devono
avere però qualcosa di buono.
D:
Perché un'ambientazione inglese per questo romanzo?
R: Ho scelto di ambientare la
storia a Londra perché la storia stessa lo richiedeva, come ben si
comprende alla fine del romanzo. Il prossimo libro invece tornerà ad
essere ambientato in Germania.
D:
In Italia no?
R: In passato una produzione
italiana si è interessata a me, ma il progetto non ha poi preso
corpo. Ma in futuro chissà... L'Italia è piena di meravigliosi
posti pieni di mistero.
R:
Qual è il suo rapporto con i social network?
I social network sono ok, perché
aiutano a mantenere i contatti su grande distanze. Con le persone a
me vicine utilizzo tecnologie più classiche, come sms e email. Con
un amico che vive in Nuova Zelanda parlo via skype. Avere contatti è
fondamentali, ma con Facebook non sono possibili i veri contatti
personali che si hanno con altri mezzi. I social media sono
importanti per uno scrittore, anche per quanto riguarda il rapporto
con i lettori, e in questo Facebook è un ausilio molto utile.
D:
Ci parli della figura del professor George Otis (il professore
universitario che richiama il protagonista Mark a Londra).
R: Recentemente ho perso persone
importanti, per età e malattia. La figura di Otis riassume queste le
caratteristiche di queste due persone, che mi mancano molto e da cui
ho imparato molto. Ho scelto di chiamare questo personaggio Otis in
omaggio a Wilde, riferendomi alla famiglia Otis de Il fantasma di
Canterville.
D:
“Phobia” ha un messaggio
per il lettore?
R: Deve procedere nella lettura
con la propria interpretazione, è molto bello quando un lettore dice
di aver trovato qualcosa di importante per lui. Se vogliamo trovare
un messaggio, direi che sia quello di affrontare sempre le proprie
paure.
D:
Come è cambiato lo scrittore Wulf Dorn?
R: La tecnica e il modo in cui
approccio una storia non è diverso, ma più scrivo più imparo che
la lingua è come una melodia, che cambia registro. Come con uno
strumento, ora lo conosco meglio, sono un professionista. Ricordo
ancora lo stupore del grande successo del mio primo romanzo. È
stato grandioso, ma mi ha anche spaventato. Lo scorso anno ero in
tour promozionale in Sud America, per incontrare i lettori. Ti devi
abituare, è impressionante vedere quanta gente si avvicina e si
appassiona ai libri. Ma come a tutto, anche al successo ci si abitua.
D:
Come è il suo approccio alla scrittura? Ci sono orari prestabiliti o
scrive secondo ispirazione?
R: Scrivo seguendo orari da
ufficio, pianifico la storia e i personaggi, faccio tutte le ricerche
necessarie. Generalmente inizio verso le 7-7.30 e proseguo fino
all'ora di pranzo, con una pausa a metà mattina. Poi proseguo nel
pomeriggio per 2-3 ore. Io credo che la disciplina aiuti e che sia
sbagliato scrivere solo sullo slancio dell'ispirazione, l'ispirazione
stessa deriva dalla disciplina.
D:
Prossimi progetti di scrittura?
R: Sì, sono impegnato con un
nuovo libro che sarà dato alle stampe in autunno in Germania. Ho un
progetto per un romanzo ancora successivo, ma prima di procedere,
tendo a chiudere con l'opera precedente. Ma non svelo nulla!
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver condiviso la tua opinione!