venerdì 24 ottobre 2014

Recensione: Phobia di Wulf Dorn e intervista all'autore



Phobia, Wulf Dorn
Corbaccio 
16,60 euro, 324 pagine
Prima di “Phobia”, non avevo mai letto nulla dello scrittore di thriller tedesco Wulf Dorn; avevo sentito parlare con toni entusiastici de “La Psichiatra”, la sua prima opera pubblicata in Italia e, incuriosita, mi ero ripromessa di leggerla; ma, come tanti buoni propositi, è finito nel dimenticatoio. La spinta a leggere “Phobia” è nata quando ho ricevuto l'invito a partecipare a un incontro con l'autore presso gli uffici della casa editrice Corbaccio, aperto ai blogger. Ovviamente non potevo partecipare senza avere la minima idea di che cosa trattasse il libro, quindi mi sono data da fare e l'ho “affrontato” con interesse e curiosità.

Come dice il titolo stesso, “Phobia” è la narrazione di una paura oscura, innata e comune a tanti di noi: quella di uno sconosciuto, emblema di una minaccia ignota, che si insinua come un morbo nella nostra vita. L'esistenza di una dei protagonisti della vicenda, Sarah Bridgewater, moglie e madre in crisi, persa nella rete delle sue paure, viene improvvisamente sconvolta quando una notte, invece del marito Stephen, si ritrova in casa un uomo che non aveva mai visto che si spaccia per lui, con indosso i suoi stessi vestiti e che pare conoscere tanti particolari della loro vita a due. Sarah è ovviamente terrorizzata: chi è quest'uomo? Perché ha deciso di tormentare proprio la loro famiglia? Che fine ha fatto Stephen? È ancora vivo? La vicenda si fa ancora più intricata perché Sarah non viene creduta dalla polizia, che sembra considerarla una donna un po' fragile di nervi con un marito che volontariamente ha deciso di allontanarsi. Ad aiutare Sarah ci pensa Mark Behrendt, un vecchio amico di infanzia, ritornato a Londra dopo un periodo in Germania (Mark è per metà tedesco e svolgeva lì la professione di psichiatra) su invito postumo di un vecchio professore universitario, George Otis, un uomo spezzato a sua volta per via della tragica morte della fidanzata investita da un pirata della strada, ma forse non per puro caso...

Sarah e Mark sono due anime affini, perché legate da una grande amicizia e a loro volta ingabbiate nelle proprie paure, che si uniscono per scovare la verità. A tenere salde le redini della vicenda sembra proprio lo Sconosciuto, quest'uomo ignoto, sfigurato e malato, uno psicopatico che ha deciso di mettere in atto una sorta di percorso di redenzione e giustizia: redenzione per Sarah, che vuole aiutare a uscire dal suo confino mentale; giustizia verso una vita che non va come dovrebbe e verso una persona, Stephen, che forse ha qualche cosa da nascondere. Sarah e Mark diventano quindi una sorta di coppia investigativa, pronti a scandagliare ogni singolo indizio e a scavare nel passato, nel tentativo non solo di trovare sì il marito scomparso, ma anche di capire perché la famiglia Bridgewater sia diventata la vittima di quello che appare un gioco crudele.

Si potrebbe dire che “Phobia” sia una vicenda che si gioca tra i contrasti: vita e finzione, paura e coraggio, passato e presente, apparenza e profondità, con lo Sconosciuto come giudice auto-proclamato, implacabile come una sentenza del destino. Questo personaggio nasconde un terribile segreto, che, una volta dipanato, lo rende paradossalmente più umano e fa nascere nel lettore un sentimento ambiguo: se da una parte emerge tutta la sua mostruosità, dall'altro viene rivelata pure la sua vulnerabilità e il suo essere raccapricciante a causa di una tragedia che ne ha compromesso del tutto la sanità, sia fisica che mentale. Lo Sconosciuto, che in un certo punto del libro si fa chiamare Giobbe, non è banalmente malvagio, ma la sua malvagità è nata da un trauma.

“Phobia” è anche una storia che si sviluppa con innesti, punti di vista ed esistenze diverse che si irradiano verso l'alto, si intrecciano e si avviluppano, creando una solida impalcatura dove passato e presente sono uno a servizio dell'altro: il passato sostiene il presente, e il presente aiuta il passato a risolvere gli enigmi. Tanti rami che nascono da un tronco e aiutano a supportarlo: storie secondarie che si uniscono nel dramma che vive una famiglia alla ricerca del “perché”. Una ricerca interiore che va di pari passo con quella esterna, all'identità di questo Sconosciuto che resterà fatalmente ignota.
“Phobia” è un romanzo coinvolgente, non confinato al solo genere thriller, è un libro che non termina semplicemente con “THE END”, ma lascia alcune domande nel lettore e soprattutto induce a riflettere. Un ottimo prodotto per chi ama il filone, ma anche per chi vuole accostarsi a una vicenda che mozza il fiato per il succedersi degli eventi e che crea inquietudine intorno al personaggio intangibile ma sempre presente: la paura.
Concludo la mia recensione riportando alcune domande (con relativa risposta) emerse durante la partecipazione all'incontro con l'autore.

N.B. Non ho registrato le risposte, solo preso appunti: pertanto quello che segue è un “riassunto” di quanto espresso dall'autore, non la trascrizione parola per parola.


Interview with...

Wulf Dorn


D: Perché è stato scelto il tema della paura?
R: La decisione di scrivere sulla paura è stata ispirata da due fatti: il primo è il furto avvenuto in casa di alcuni amici, con la conseguente inquietudine di aver scoperto al mattino la prova tangibile (vestiti sparsi, disordine, ecc) della presenza in casa dei ladri, a cui è seguita la terribile domanda: “Che cosa sarebbe successo se mi fossi svegliato e loro fossero stati lì?”. Il secondo è legato alla sensazione di pericolo, esasperata soprattutto dagli attentati terroristici alla metropolitana di Londra, che ha cambiato le persone, ora divenute più diffidenti e pronte a guardarsi le spalle, ma non a conoscersi reciprocamente. Questi due fatti raccontano la storia su due livelli diversi, personale e globale.

D: Ci sarà una trasposizione cinematografica di “Phobia”? Le piacerebbe?
R: Dipende dalle società di produzione. Se questa trasposizione fosse fatta bene, mi piacerebbe. Si era parlato di trasformare “La psichiatra” in un film, ma ho rifiutato perché la storia era troppo diversa. Era rimasto solo il titolo!

D: Che regista vorrebbe per un ipotetico film tratto da “Phobia”? Con quale cast di attori?
R: Come regista vedrei bene Dario Argento. Per Mark Behrendt Johnny Depp oppure Ashton Kutcher, anche se è difficile mettere a fuoco un attore che potrebbe interpretarlo, perché Mark è stato ideato pensando a un amico. Per Sarah Bridgewater penserei Gwyneth Paltrow, anche tenendo a mente la sua interpretazione in Seven, con Brad Pitt. Per George Otis sceglierei Peter O'Toole e per lo Sconosciuto Kevin Spacey.

D: Quando ha deciso di essere uno scrittore?
R: L'ho deciso fin da giovanissimo. Ho sempre amato raccontare storie, avevo cinque anni e già dicevo in giro che avrei scritto un libro. È un onore per me fare questo mestiere, e sono grato al destino.

D: Nel suo libro ha stabilito fin da subito che il “cattivo” è l'opposto di quello che dovrebbe essere?
R: La parola psicopatico è una definizione che già crea un “problema”, nei thriller si parla quasi sempre di psicopatici, mai di avversari. Volevo rompere questo cliché e mostrare che ognuno di noi ha dentro di sé una violenza potenziale, che può sempre scattare. Non è tutto bianco o nero, a volte succede qualcosa e il male ha il sopravvento sul bene. Quando inizio a scrivere una storia ne ho già in mente l'andamento, ma, affinché sia credibile, devo avere presente tutti i miei protagonisti. Mi piacciono tutti, anche gli antagonisti, che devono avere però qualcosa di buono.

D: Perché un'ambientazione inglese per questo romanzo?
R: Ho scelto di ambientare la storia a Londra perché la storia stessa lo richiedeva, come ben si comprende alla fine del romanzo. Il prossimo libro invece tornerà ad essere ambientato in Germania.

D: In Italia no?
R: In passato una produzione italiana si è interessata a me, ma il progetto non ha poi preso corpo. Ma in futuro chissà... L'Italia è piena di meravigliosi posti pieni di mistero.

R: Qual è il suo rapporto con i social network?
I social network sono ok, perché aiutano a mantenere i contatti su grande distanze. Con le persone a me vicine utilizzo tecnologie più classiche, come sms e email. Con un amico che vive in Nuova Zelanda parlo via skype. Avere contatti è fondamentali, ma con Facebook non sono possibili i veri contatti personali che si hanno con altri mezzi. I social media sono importanti per uno scrittore, anche per quanto riguarda il rapporto con i lettori, e in questo Facebook è un ausilio molto utile.

D: Ci parli della figura del professor George Otis (il professore universitario che richiama il protagonista Mark a Londra).
R: Recentemente ho perso persone importanti, per età e malattia. La figura di Otis riassume queste le caratteristiche di queste due persone, che mi mancano molto e da cui ho imparato molto. Ho scelto di chiamare questo personaggio Otis in omaggio a Wilde, riferendomi alla famiglia Otis de Il fantasma di Canterville.

D: “Phobia” ha un messaggio per il lettore?
R: Deve procedere nella lettura con la propria interpretazione, è molto bello quando un lettore dice di aver trovato qualcosa di importante per lui. Se vogliamo trovare un messaggio, direi che sia quello di affrontare sempre le proprie paure.

D: Come è cambiato lo scrittore Wulf Dorn?
R: La tecnica e il modo in cui approccio una storia non è diverso, ma più scrivo più imparo che la lingua è come una melodia, che cambia registro. Come con uno strumento, ora lo conosco meglio, sono un professionista. Ricordo ancora lo stupore del grande successo del mio primo romanzo. È stato grandioso, ma mi ha anche spaventato. Lo scorso anno ero in tour promozionale in Sud America, per incontrare i lettori. Ti devi abituare, è impressionante vedere quanta gente si avvicina e si appassiona ai libri. Ma come a tutto, anche al successo ci si abitua.

D: Come è il suo approccio alla scrittura? Ci sono orari prestabiliti o scrive secondo ispirazione?
R: Scrivo seguendo orari da ufficio, pianifico la storia e i personaggi, faccio tutte le ricerche necessarie. Generalmente inizio verso le 7-7.30 e proseguo fino all'ora di pranzo, con una pausa a metà mattina. Poi proseguo nel pomeriggio per 2-3 ore. Io credo che la disciplina aiuti e che sia sbagliato scrivere solo sullo slancio dell'ispirazione, l'ispirazione stessa deriva dalla disciplina.

D: Prossimi progetti di scrittura?
R: Sì, sono impegnato con un nuovo libro che sarà dato alle stampe in autunno in Germania. Ho un progetto per un romanzo ancora successivo, ma prima di procedere, tendo a chiudere con l'opera precedente. Ma non svelo nulla!







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