Scompartimento n. 6, Rosa Liksom
Iperborea
240 pagine, 15.00 euro
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Mosca, anni ’80, sul leggendario treno della Transiberiana diretto a Ulan Bator, in Mongolia, due estranei si trovano a condividere lo stesso scompartimento: una timida e taciturna studentessa finlandese e un violento proletario russo dall’inesauribile sete di vodka. Nell’intimità forzata del piccolo spazio chiuso la tensione sale. Lui è uno sciovinista, misogino, antisemita, avvezzo al carcere e ai campi di correzione, ma con l’irriducibile passione per la vita di chi si aggrappa agli istinti bruti per non cedere al vuoto che lo circonda. Vede il fallimento del sogno sovietico, la deriva della grande madre Russia, ma non può che difenderla con la disperazione di un amore deluso. Lei è tormentata dai ricordi del suo ragazzo moscovita, uno studente che si è finto pazzo per non combattere in Afghanistan ed è impazzito nel manicomio dove l’hanno rinchiuso, lasciandola piena di domande senza risposta nella terra che l’ha sedotta. È l’anima di questa terra a pulsare nelle sconfinate distese che il treno attraversa, nei villaggi divorati dal degrado e dalla taiga innevata, nelle città chiuse dei deportati e degli scienziati, nel mosaico di identità e popoli di una Siberia in cui tutto è estremo. Con un realismo crudo che trasuda poesia, Rosa Liksom racconta l’incontro tra due destini, tra l’universo maschile e femminile, ma soprattutto il viaggio attraverso la fine di un impero che sembra sciogliersi in fanghiglia ai primi segni del disgelo, nel cuore di un popolo disilluso e fiero, rude e sentimentale, rassegnato e ribelle, che vive nella perenne nostalgia del passato e del futuro, nell’eterno sogno cechoviano “A Mosca! A Mosca!”.
Scompartimento n. 6 è uno di quei libri che, sebbene dotati di una trama apparentemente semplice, creano difficoltà al lettore soprattutto per via dello stile. Priva di un inizio e un epilogo ben definiti, la storia ruota infatti intorno a un viaggio lungo la strada ferrata che conduce un treno da Mosca fino alla stazione mongola di Ulan Bator, su molte miglia che costeggiano la zona climatica della tundra, nelle sterminate distese siberiane.
L’ impianto della storia si basa su un’analisi introspettiva che ricorre molto spesso a flashback, rendendo poco frequenti i colpi di scena e i dialoghi tra i due protagonisti: una ragazza finlandese, appartenente a un popolo che tenta di sottrarsi alle mire espansionistiche del blocco sovietico e all’influenza della NATO, che rimane silente per tutto il corso del racconto e cerca solo una pietra incisa situata in uno dei villaggi mongoli nel circondario di Ulan Bator; e Vadim, uno stakanovista, un lavoratore con l’animo forgiato dalle privazioni di una vita vissuta nella miseria, abbandonato dalla famiglia in gioventù e dedito ai piaceri del sesso, che passa dalle prostitute alla vodka, dai lavori fisici prostranti alla detenzione nei terribili campi di correzione, i gulag.
Le descrizioni del paesaggio che scorre fuori dai finestrini del treno si permeano di una potenza poetica inaudita, abbracciando, a tratti, anche la tecnica del correlativo oggettivo, tramite cui il paesaggio esterno appare come una manifestazione dei sentimenti che la ragazza prova.
Il problema che potrebbe sorgere durante la lettura risiede nella struttura del testo. Alle volte Rosa Liksom lascia solo intendere, con riferimenti fin troppo impliciti, ciò che potrebbe essere accaduto in alcune scene del racconto, mentre alcuni passaggi dal mondo interiore della ragazza non sono nettamente distinti con quelli che si collocano invece nel tempo della narrazione, così da causare anche a una certa confusione fra introspezione e vita vissuta sul treno e nelle varie stazioni.
Il complesso narrativo si basa su questi pochi accorgimenti, ma le parole di uso comune e dal basso registro linguistico riescono a scavare molto meglio nella psicologia di questi suoi personaggi e, soprattutto, nella mentalità di un’intera nazione, l’URSS degli anni Ottanta, periodo in cui si svolge la vicenda.
Ciò che si evince dal testo è una dicotomia di amore e odio/disillusione nei confronti della “grande madre Russia”, un gigante dai piedi di argilla che dimostra un invidiabile progresso nell’industria aerospaziale, ma che allo stesso tempo mostra la sua faccia più misera, vividamente palesata agli occhi del lettore con le descrizioni degli uomini e delle donne che riempiono la scena di Scompartimento n. 6.
È Vadim quello che incarna meglio questa contrapposizione. In lui si condensa un patriottismo che abbraccia un comportamento anche xenofobo nei confronti degli altri popoli che compongono la federazione russa e, nonostante potrebbe sembrare uno stereotipo, lo stesso Vadim rappresenta lo spirito sregolato dei popoli dell’est che convive con un animo molto più profondo di quanto potrebbe apparire inizialmente.
Scompartimento n. 6 è un vero e proprio ritratto della società sovietica degli anni Ottanta, in cui si estrinsecano le contraddizioni tipiche del modello sovietico negli ultimi anni della sua esistenza. Il dato storico in mano alla Liksom permette di delinearne al meglio i caratteri: è emozionante osservare e sentire, per mezzo di questa lettura, gli aneliti dei russi a un futuro migliore, a una rinascita che scaturisca da quella sensazione di confusione prima della conclusione di un’epoca difficile, in cui la compresenza di splendore e miseria si manifestano persino nella differenza tra la bellezza sfarzosa di Mosca e l’infima, ma estremamente selvaggia e estasiante, natura dei piccoli villaggi delle zone rurali della Russia asiatica.
Nonostante l’indiscutibile tocco poetico che Rosa Liksom riesce a dare alla narrazione, l’unica pecca è rappresentata dalla tecnica prima descritta e connaturata nello stile dell’autrice: è, come detto prima, la flebile distinzione tra mondo interiore ed esteriore e l’omessa e implicita descrizione di quanto accade in alcuni episodi che rendono il racconto poco chiaro.
Questo particolare non inficia in modo del tutto negativo il giudizio di un romanzo, che rimane comunque gradevole e profondo nel suo complesso.
Voto:
A cura di Tonino Mangano
non conoscevo...
RispondiEliminaSperiamo di averti dato un buono spunto! :)
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