mercoledì 20 maggio 2015

Recensione: C'è un re pazzo in Danimarca di Dario Fo



C'è un re pazzo in Danimarca, Dario Fo
Chiarelettere
160 pagine, 13.90 euro
Leggere un testo scritto da Dario Fo è come avere la poltrona d'onore per una rappresentazione teatrale: il suo spirito da giullare e maestro di cerimonie accompagna chiunque lo voglia seguire attraverso avventure e situazioni insolite, bizzarre e spesso sconosciute. Questa volta la destinazione è la Danimarca, terra della quale conosciamo poco ma che, per eco shakespeariano, non ha mai goduto di buona reputazione  ricorderete la citazione "c'è del marcio in Danimarca" presente in Amleto. Come il drammatico principe del bardo, il protagonista della storia è un sovrano sui generis, la cui mente latita sui confini opposti di pazzia e genialità. Fin dall'insediamento sul trono, il regno di Cristiano VII (1749-1808) è minacciato da intrighi di corte e dalla reputazione che si è forgiato. Con l'aiuto della moglie e dell'amante di quest'ultima, il medico reale Struensee, divenuto poi primo ministro, il sovrano riuscirà ad animare il profondo cambiamento di cui lo Stato ha bisogno per entrare, finalmente, nell'epoca moderna. La pazzia è l'unica fonte alla quale attingere per avere il coraggio di cambiare le cose. È così che un re pazzo diviene un monarca illuminato che, con l'aiuto del suo primo ministro, promuove l'istruzione e la libertà di stampa, abolisce la tortura e la schiavitù nelle colonie. Visioni rivoluzionarie, le sue, capaci di entusiasmare anche il figlio, che gli succederà al trono per costruire il sogno di uno stato moderno ed equo che metta al primo posto il benessere del popolo.

La storia è una biografia di Cristiano che si snoda attraverso lo scambio di lettere che egli intrattenne con la moglie Carolina Matilde, fondamentale nel cambiamento e nella lotta contro i pregiudizi e i complotti dei politici di corte  e che per questo venne allontanata per volontà della regina madre , e passi intimi rinvenuti dal figlio di Fo mentre si occupava di uno studio sui re di Danimarca del XVIII secolo. Ben lungi da definirlo un romanzo, C'è un re pazzo in Danimarca è un testo teatrale i cui atti si snodano attraverso giochi di memoria dove i personaggi mettono in scena i loro monologhi. Lo stile è inconfondibilmente ascrivibile alla scrittura comica, irriverente ed eccessiva, che ha sempre caratterizzato la produzione di Fo. Come in Mistero Buffo, il cardine della storia è dimostrare che la cultura può subire cambiamenti e sdoganare le convenzioni artefatte e obsolete di chi, per convenienza, non accetta il moderno. La pazzia viene raccontata nella sua versione più vicina a quella contemporanea, come esempio di feconda espressione della genialità. Cristiano è pazzo come lo si direbbe di ognuno di noi, perché capace di urlare il suo dissenso senza rimanere vincolato dai rigidi protocolli di corte, instabile perché diverso.

Pur essendo una commedia di carattere prettamente politico, la narrazione non disdegna di raccontare l'amore, nel suo senso più universale e libero, nonché la necessità e l'autenticità dei rapporti paritari tra i generi e tra i familiari. Senza il supporto della moglie e di Strauesee, Cristiano non avrebbe mai potuto avviare una stagione di cambiamenti così lungimiranti da determinare il perpetuarsi della stirpe reale fino ai giorni nostri  in Danimarca, come in Gran Bretagna, la monarchia riscuote un consenso tra i sudditi pari a quasi il novanta percento.

A Dario Fo il merito di aver svecchiato una storia sconosciuta e interessante, in cui gli uomini si fanno valere non attraverso l'uso della forza, ma affidandosi pienamente alla forza della ragione.

Voto: 



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