giovedì 28 maggio 2015

W...w...w... Wednesday! (72)

www...wednesdays è stato creato da MizB di ShouldBeReading


What are you currently reading? (Cosa stai leggendo?)
What did you recently finish reading? (Quale libro hai finito di recente?)
What do you think you’ll read next? (Quale libro pensi sarà la tua prossima lettura?)




Come ogni settimana - ehm, quasi - ritorna l'appuntamento con il recap sulle letture (sempre di giovedì malgrado il nome della rubrica, non mi smentisco mai). Vi avevo scritto che, per via dell'Ulisse - che ovviamente mi tiene ancora impegnata - le letture di maggio sarebbero state poche. In realtà, mi sto impegnando affinché raggiungano un numero congruo per poter girare il prossimo video, in modo che contenga il riepilogo di maggio e le impressioni di lettura di ognuno - nel caso vi foste persi Malitia su YouTube, QUI potete trovare questa croce.
Sto quindi finendo - e lo avrei fatto, se ieri non avessi perso tutto il giorno dietro all'ennesima rilettura della tesi - Disturbo della quiete pubblica di Yates. L'ennesimo dell'autore, lo so.
Ho finito The Beautifull Cassandra di Jane Austen - il primo libriccino interamente in inglese che ho letto, e che mi conferma quanto odio questa lingua -  e leggerò Furore di Steinbeck. Per maggiori informazioni, vi rimando al prossimo video ;)


What are you currently reading?



What did you recently finish reading?




What do you think you’ll read next?


Una Marina di Libri: presentato il programma




Si è svolta stamattina alla Galleria d'Arte Moderna la conferenza stampa di Una Marina di Libri, fiera dell'editoria indipendente di Palermo che si terrà il 5, 6 e 7 giugno nel complesso di Sant'Anna (sede della GAM). Il festival, nato sei anni fa da un'iniziativa di CCN Piazza Marina&Dintorni in collaborazione con l'editore Navarra e Sellerio, è quest'anno sponsorizzato per la prima volta da Unicredit. 

Fittissimo il programma, forse il più ricco e intenso finora presentato: centrali i temi dell'editoria, con un ciclo di seminari professionali che attribuiranno crediti formativi agli studenti universitari (da segnalare che venerdì 5 giugno alle 10.00 Mariarosa Bricchi di Fondazione Mondadori, il critico letterario Silvia De Laude e l'addetto storico all'ufficio stampa di Einaudi Edia Manente interverranno nel dibattito Gli editori protagonisti) e numerosi gli autori di richiamo invitati a intervenire. Tra gli altri: Michela Murgia, Francesco Piccolo, Giorgio Vasta, Filippo Tuena, Marco Cubeddu, Fulvio Abbate, Roberto Alajmo, Valentina D'Urbano, Giorgio Fontana, Letizia Muratori

Ospite d'onore sarà Andrea Camilleri (venerdì alle 19.00), che presenterà al pubblico l'ultima indagine di Montalbano, La giostra degli scambi. A distanza di un anno Camilleri, che di rado partecipa ai festival, replica la partecipazione a Una Marina di Libri, salutata durante la scorsa edizione da un'affluenza di più di duemila spettatori.

Sellerio protagonista anche del reading che si terrà  domenica alle 21.00, in occasione della presentazione del libro La memoria di Elvira, dedicato a Elvira Sellerio e curato dai figli Antonio e Olivia. 

Spazio al web, con dibattiti su Twitter, e alle nuove forme di espressione artistica (interessante l'incontro sulle serie tv che sarà tenuto da Marco Picone e Antonio Manzini sabato alle 16.30. Avevamo parlato anche noi di serie tv, romanzi e contaminazioni QUI).

Costante dagli esordi del festival la presenza delle scuole e lo spazio dedicato ai più piccoli, che verranno intrattenuti con laboratori e incontri (Giorgio Vasta racconterà Madame Bovary agli alunni delle scuole secondarie venerdì alle 11.00)

È con orgoglio che durante la conferenza, presenziata da Ottavio Navarra, Antonio Sellerio, Michelangelo Pavia (Presidente del CNN Piazza Marina&Dintorni), Antonella Purpura (direttrice della GAM), Masha Sergio (Editor Navarra) e Maria Romana Tetamo (titolare Libreria Dudi, curatrice delle attività per i bambini), si è parlato dell'impegno culturale che Una Marina di Libri rappresenta per Palermo. Il coinvolgimento delle aree di Piazza Vespri e Piazza Sant'Anna sottolinea la volontà di fare animazione territoriale. Il tentativo è però soprattutto quello di stimolare una rinascita della città che la trasformi nel terzo polo editoriale d'Italia, dopo Torino e Roma. Si tratta dopotutto, sostiene Ottavio Navarra, di una città in cui la moltiplicazione delle realtà editoriali, malgrado la crisi, è esponenziale. Fedele ai criteri originari del festival, Una Marina di libri rimane anche quest'anno una fiera dedicata esclusivamente all'esposizione di stand di editori indipendenti (ben 49), da cui sono esclusi gli editori a pagamento. Nonostante il maggiore impegno che potrebbe venire dalle istituzioni o le difficoltà di limitare i costi, Una Marina di Libri si apre nuovamente al pubblico palermitano, offrendogli probabilmente la migliore fiera del libro che abbia mai visto.



L'ingresso è libero




lunedì 25 maggio 2015

Ian McEwan ai neolaureati della Dickinson: sulla libertà d'espressione e la sua salvaguardia per le generazioni future



Ian McEwan, uno degli scrittori britannici contemporanei più conosciuti al mondo, ha tenuto un appassionato discorso in occasione dell'assegnazione delle lauree agli studenti del Dickinson College, Università di Arti Liberali della Pennsylvania. Centrale, nel suo intervento, è stato un monito ai neolaureati riguardo l'importanza della salvaguardia della libertà d'espressione, la negazione delle libertà personali in diverse culture, l'attentato alla redazione di Charlie Hebdo e la poca solidarietà alla vicenda da parte degli scrittori americani, l'importanza del rispetto del pensiero altrui. Secondo l'autore di Espiazione, le università devono preparare gli studenti alle rigorose e robuste discussioni che imperversano nel mondo reale. Il dito è stato puntato fondamentalmente contro le istituzioni scolastiche e la loro incapacità di gestire le violazioni della libertà di pensiero all'interno dei campus, colpevoli di mal equipaggiare gli studenti e le generazioni future alla difesa della libertà di espressione.
Qui sotto il discorso di McEwan integralmente tradotto.






Le mie più sincere congratulazioni a tutti i laureati. Ce l'avete fatta. Avete ottenuto la laurea da un istituto eccellente. Avete trascorso tanto tempo a leggere, scrivere, a letto - a pensare, ovviamente. E ora è il momento di posizionarsi ai vari vertici della vita. Come sapete, c'è solo un modo per essere fuori da questi vertici - ma questa è un'altra storia. Non lasciatevi ingannare da quelli che vi dicono che la vita è breve: è eccessivamente lunga. Avevo vent'anni quando mia madre mi stupì dicendo malinconicamente: "Darei qualsiasi cosa per avere ancora quarantacinque anni". Quarantacinque anni erano sinonimo di vecchiaia, per me, allora. Ora mi rendo conto di cosa volesse dire. La maggior parte di voi compie vent'anni prima di raggiungere obiettivi. Escludendo una guerra nucleare o la collisione catastrofica di una meteora, una minoranza consistente di voi arriverà a fare solamente capolino nel prossimo secolo - sicuramente molto più rugoso e artritico, ma portando con voi una parte di quello che siete adesso. Passerete tantissimi anni in banca - ma non preoccupatevi, non sono qui per dirvi come spenderli.

Invece, vorrei condividere con voi alcuni pensieri sulla libertà di parola (e il discorso qui comprende la scrittura e la lettura, l'ascolto e il pensiero), la linfa vitale, la condizione essenziale dell'educazione liberale che avete ricevuto. Cominciamo con una nota positiva: c'è probabilmente più libertà di parola, libertà di pensiero e libertà di sperimentare adesso sulla Terra che in qualsiasi momento precedente nella storia (anche tenendo conto dell'età d'oro dei cosiddetti filosofi pagani). E avete raggiunto la maggiore età in un paese in cui la consacrazione della libertà di parola nel primo emendamento non è una frase vuota, come in molte costituzioni, ma una realtà viva.

Ma la libertà di parola era, è e sempre sarà, sotto attacco - da parte della politica di destra, di sinistra, di centro. Verrà attaccata sottobanco dagli estremismi religiosi così come dalle ideologie non religiose. Non è mai conveniente, soprattutto per il potere radicato, avere tantissima libertà di parola che gli voli attorno.

Le parole associate a Voltaire (più probabilmente suoi pensieri, non aforismi scritti di suo pugno) rimangono cruciali e non devono mai essere dimenticate: "Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo". In realtà sono parole che di rado possono essere utilizzate per zittire coloro con cui si è in disaccordo. Come il mio compianto amico Christopher Hitchens diceva, quando si incontra un sostenitore della teoria della Terra piatta o un creazionista, è sufficiente ricordargli perché la Terra è rotonda e fare presente un esempio di selezione naturale. Per questo motivo - è un principio spicciolo - in alcuni paesi hanno adottato la reclusione per i negazionisti dell'Olocausto o dei massacri del popolo armeno, per quanto spregevole possa sembrare.

Vale la pena ricordare questo: la libertà di espressione sostiene tutte le altre libertà di cui godiamo. Senza la libertà di parola, la democrazia è una farsa. Ogni libertà che possediamo o voremmo possedere (il diritto alla libertà personale e al giusto processo, il diritto di voto universale e di associazione, di rappresentanza sindacale; la parità sessuale, la preferenza sessuale, i diritti dei bambini e degli animali - l'elenco potrebbe continuare) è stata liberamente pensata, discussa e scritta per essere rese esistente. Nessun individuo singolo può generare questi diritti da solo. Il processo è cumulativo. È stato un contesto storico di relativa libertà di parola che ha reso possibile il lavoro di coloro che sono stati determinati per estendere tale libertà. John Milton, Tom Paine, Mary Wollstonecraft, George Washington, Thomas Jefferson, John Stuart Mill, Oliver Wendell Holmes - l'appello è lungo e onorevole - ed è per questo che una formazione nelle arti liberali è così vitale per la cultura alla quale si contribuisce.

Fate un lungo viaggio lontano da queste coste, come sono sicuro molti di voi faranno, e troverete disperata la condizione della libertà di espressione. In quasi tutto il Medio Oriente, pensare liberamente scatena ira e punizioni legittime da parte dei governi e delle folle, o spedizioni punitive con singoli individui come sicari. Lo stesso accade in Bangladesh, Pakistan, attraverso le grandi distese dell'Africa. In questi ultimi anni lo spazio pubblico per il libero pensiero in Russia si sta restringendo. In Cina, lo stato monitora la libertà di espressione su scala industriale. Per censurare solamente Internet quotidianamente il governo cinese impiega fino a cinquantamila burocrati - un livello di repressione del pensiero senza precedenti nella storia umana.

Paradossalmente, è più importante proteggere la libertà d'espressione nel momento in cui essa si sviluppa, che non preservarla successivamente. E non esiste altro documento in cui questa è gelosamente custodita come nel Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. È per questo che è stato così sconcertante ultimamente, quando abbiamo visto decine di scrittori americani dissociarsi pubblicamente dal PEN Gala per onorare i giornalisti assassinati della rivista satirica francese Charlie Hebdo. American PEN esiste per promuovere e difendere la libertà di parola. Che delusione rendersi conto che tanti autori americani avevano deciso di non supportare colleghi scrittori e artisti coraggiosi in un momento di tragedia. La rivista è stata caustica sul razzismo. È stata graffiante anche riguardo la religione e la politica organizzata in un modo che può anche essere non di vostro gusto, ma è in questi casi che bisogna ricordarsi del pensiero di Voltaire.

Gli uffici di Hebdo erano stati attaccati già nel 2011, ma il lavoro dei giornalisti continuava. Hanno ricevuto minacce di morte - e hanno continuato ad andare avanti. Nel gennaio nove colleghi sono stati assassinati, freddati, nel loro ufficio - la redazione non si è fermata e in pochi giorni ha prodotto un'edizione la cui copertina ha perdonato gli aggressori. Tutto è perdonato, tutto è perdonato. Tutto questo quando negli Stati Uniti e in U.K. basta una telefonata minacciosa ad interrompere il lavoro di una grande casa editrice.

L'attacco a Charlie Hebdo è stato pilotato da fanatici religiosi la cui lealtà all'ISIS è diventata chiara quando uno dei complici è scappato dalla Francia e attraverso la Turchia è arrivato in Siria. Ricordate, questa è una forma di fanatismo le cui vittime, in tutta l'Africa e il Medio Oriente, sono per lo più musulmani - i gay e le femministe musulmane, riformisti musulmani, blogger, attivisti per i diritti umani, dissidenti, apostati, romanzieri e semplici cittadini, compresi i bambini, uccisi o sequestrati dalle scuole.

C'è un fenomeno nella vita intellettuale che io chiamo pensiero bipolare. Cerchiamo di non schierarci con Charlie Hebdo perché potrebbe sembrare che stiamo approvando la "guerra al terrore" di George Bush. Questa è una forma di tribalismo intellettuale  soffocante, e un modo povero di pensare per se stessi. Come un amico scrittore tedesco mi ha scritto, pieno d'angoscia per la vicenda PEN, "Sono di nuovo gli anni Settanta: non dobbiamo sostenere i dissidenti russi, perché potrebbero ottenere consenso dalla parte sbagliata". Che frase terribile ...

Ma si noti la fine della vicenda Hebdo: la serata del gala si è svolta comunque, i giornalisti sopravvissuti hanno ricevuto un applauso fragoroso e prolungato in piedi da parte dell'American PEN.

Timothy Garton Ash ci ricorda, in un nuovo libro sulla libertà di parola, che "La Corte Suprema degli Stati Uniti ha descritto la libertà accademica come una 'preoccupazione essenziale' presente nel Primo Emendamento". Altrettanto preoccupante è il caso di Ayaan Hirsi Ali, un'ex-musulmana molto critica nei confronti dell'Islam - troppo critica per alcuni. Vittima essa stessa delle mutilazioni genitali, ha organizzato una campagna contro queste ultime, una campagna per i diritti delle donne musulmane. In un recente libro, ha sostenuto che l'Islam, per vivere più a suo agio nel mondo moderno, ha bisogno di ripensare il suo atteggiamento verso l'omosessualità, l'interpretazione del Corano come parola letterale di Dio, la blasfemia, e alle punizioni severe per chi vuole abbandonare la religione. Contrariamente a ciò che alcuni hanno suggerito, tali argomenti non sono né razzisti né guidati da odio. Ma lei ha ricevuto minacce di morte. Fondamentalmente, non è la benvenuta in molti campus americani e, com'è noto, la Brandeis (University) ha ritirato la sua offerta di una laurea ad honorem. L'Islam è degno di rispetto, come del resto l'ateismo. Vorremmo che il rispetto fosse reciproco. Ma la religione e l'ateismo, come tutti i sistemi di pensiero con grandi pretese di verità, devono essere aperti alle critiche, alla satira e, a volte, anche allo scherno. Certo, non abbiamo dimenticato le lezioni del caso Salman Rushdie*.

L'intolleranza nei campus riservata ai discenti scomodi non è certo cosa nuova. Negli anni Sessanta, la mia università ha censurato uno psicologo che promuoveva l'idea di una componente ereditaria dell'intelligenza. Negli anni Settanta, il grande biologo americano EO Wilson è stato censurato per aver suggerito la presenza di un elemento genetico nel comportamento sociale umano. Per quanto mi ricordi, venivano entrambi chiamati fascisti. I pensieri di questi uomini non si adattavano alle ideologie dominanti, ma oggi le loro opinioni sono ineccepibili.

Più in generale - Internet, naturalmente, ha apportato infinite possibilità alla libertà di parola. Allo stesso tempo, ci ha trasportato su un terreno difficile e inaspettato: ha portato al lento declino dei giornali locali, e quindi rimosso una voce scettica e competente dalla politica locale. La privacy è un elemento essenziale della libertà di espressione: i file Snowden hanno rivelato un livello di sorveglianza delle email da parte delle agenzie governative straordinariamente elevato e inutile. Un altro elemento essenziale della libertà di espressione è l'accesso all'informazione. Internet ha concentrato questo potere enorme di accesso alle risorse nelle mani di poche società private come Google, Facebook e Twitter. Dobbiamo stare attenti che non si abusi di tale potere. Si sa che le grandi aziende farmaceutiche trattengono numerose informazioni di vitale importanza per l'interesse pubblico. Su un'altra scala, la morte di giovani uomini di colore in custodia della polizia potrebbe essere inquadrata come la sanzione finale contro la libertà di espressione. Come del resto lo sono la povertà e le scarse risorse educative.

Tutti questi problemi hanno bisogno del contributo di uomini e donne con una formazione umanistica e voi, i laureati, siete in grado di formulare le vostre conclusioni. E potete ragionevolmente pensare che promuovere la libertà di parola non sia semplice. Ciò non è una verità assoluta. Non diamo spazio al proselitismo dei pedofili, dei razzisti (e ricordiamo, razza non è sinonimo di religione), o di coloro che vogliono incitare alla violenza contro gli altri. Wendell Holmes direbbe ancora con cognizione di causa che sarebbe come "gridare 'Al fuoco' in un teatro pieno". Ma spesso risulta troppo facile liquidare argomenti che non ci piacciono come i discorsi che istigano all'odio, o lamentarci del fatto che un parlante non ha rispettato la nostra opinione. Essere soggetto di offese non deve essere confuso con uno stato di grazia: è il prezzo occasionale che noi tutti paghiamo per vivere in una società aperta. Essere forti non è un male. In entrambi i casi ci si può impegnare a discutere - non agendo subito con sospensioni o, ancor peggio, servendosi di pistole - o, come un insegnante musulmano americano ha detto di recente, con le preghiere del venerdì, ignorando l'intera faccenda.

Costruendo il vostro pensiero su questi temi, spero che ricordiate il tempo trascorso qui alla Dickinson e i romanzi che avete letto qui. Dovrebbero avervi guidato, spero, in direzione della libertà mentale. Il romanzo come forma letteraria nacque dall'Illuminismo, dalla curiosità verso l'altro e nel suo rispetto. Le sue tradizioni spingono verso il pluralismo, l'apertura, il desiderio comprensibile di abitare la mente altrui. Non c'è uomo, donna o bambino sulla Terra la cui mente il romanzo non può ricostruire. I sistemi totalitari, in ragione dei loro interessi ristretti, mettono sotto chiave i romanzieri. Il romanzo è, o può essere, la massima espressione della libertà di parola.

Spero che utilizziate al meglio l'educazione liberale impartitavi per preservare, per le generazioni future, la bella e preziosa, goffa ma a volte scomoda e persino offensiva, cultura della libertà di espressione della quale godiamo. Fate vostre queste parole celebrative di George Washington: "Se la libertà di parola viene abolita, allora, muti e silenziosi, possiamo essere portati come pecore al macello".

Possiamo essere certi che la Dickinson non vi ha preparato a essere pecore. Buona fortuna, laureati del 2015, in qualunque cosa scegliate di fare nella vita.





*: Nel 1988 scrisse I versi satanici (The Satanic Verses), una storia fantastica ma chiaramente allusiva nei confronti della figura di Maometto, e ritenuta blasfema dagli islamici. La pubblicazione del libro provocò nel febbraio 1989 una fatwa di Khomeini che decretò la condanna a morte del suo autore, reo di bestemmia. Un privato cittadino offrì una taglia per la morte dello scrittore, tollerata dal regime khomeinista. Lo scrittore riuscì a salvarsi rifugiandosi nel Regno Unito e vivendo sotto protezione. Il traduttore giapponese del romanzo, Hitoshi Igarashi, fu però ucciso da emissari del regime iraniano, mentre il traduttore italiano, Ettore Capriolo, fu ferito. Ferito fu anche l'editore norvegese del libro.

La fatwa è stata reiterata ancora il 17 febbraio 2008, in quanto "la condanna a morte dell'Imam Khomeini contro Salman Rushdie ha un significato storico per l'islam e non è semplicemente una condanna a morte”. Da Wikipedia.





Introduzione e traduzione a cura di

domenica 24 maggio 2015

Malitia si dà a YouTube



Ciao, lettore! Questo sarà un post molto particolare perché sancisce uno spartiacque tra quella che è stata la mia attività di blogger da quasi cinque anni a ora, e quella che sarà, forse, da adesso in poi.

Quando ho aperto Dusty pages in Wonderland avevo diciassette anni ed ero all'inizio del quinto anno di liceo. Ero al limite della sopportazione di quel clima soffocante che ormai mi stimolava poco, perché mi costringeva a spendermi troppo (e da troppo tempo) sui libri (senza avere l'opportunità di svolgere qualsiasi altra attività) e perché stavo cominciando ad odiare seriamente il fatto di dover stare cinque o sei ore di fila col sedere attaccato a una sedia ad ascoltare materie  (matematica e fisica, ma anche filosofia) di cui non mi importava. Sentivo che il tempo tanto prezioso andava sprecato, di conseguenza durante molte lezioni non facevo altro che leggere.

Aprire il blog era stata una novità emozionante, ma ho sempre saputo quanto essere molto giovani possa anche essere pregiudizievole. Anche ora, nonostante abbia superato la maggiore età già da un pezzo, mi rendo conto di quanto la differenza tra me e una persona di vent'anni più grande pesi: pure nelle piccole cose si tende — magari inconsciamente — a evidenziare la maggiore consapevolezza, la maggiore esperienza, o, peggio del peggio, a lasciare intendere che la tua opinione sia frutto di un impulso giovanile che lascerà spazio, con la maturità, a un cambiamento. Non ci sono molte cose che trovo più offensive di questa. Ho sempre dato peso — e scusate se ripeto il termine — alla mia opinione a prescindere dalla mia età, che non ho mai considerato un ostacolo perché, a differenza di quanto facciano gli "adulti" (ma io mi sento un'adulta, anche se opinione comune, avallata da un certo ridicolo ritorno giovanilistico, sia che alla mia età si sia ancora bambini) io mi sono sempre considerata "alla pari" con chiunque. Anche con persone più piccole di me, a patto che dimostrassero di avere un po' di cervello. 
Sapendo, comunque, che sono pochi a pensarla allo stesso modo, non ho mai diffuso le mie foto — tra l'altro secondo me sembro più piccola, cosa che non mi torna utile —  né diffuso i miei compleanni su facebook, né mai detto ufficialmente la mia età. A diciassette anni, mi ero ripromessa che lo avrei fatto all'età di ventidue o ventitré, che mi sembravano sufficienti — e forse mi sbagliavo — per avere un minimo di considerazione.

Bene, qualche settimana fa ho compiuto ventidue anni. Questi cinque anni sono passati in fretta. Non fremevo per "farmi vedere", anche se tanto, grazie a qualcuno, alcune foto di me erano già circolate. Erano mesi, però, che pensavo che mi sarebbe piaciuto provare una nuova strada. Vedere come mi sarei posta in un campo molto più difficile e complesso di quello in cui mi sono sempre sentita a mio agio (la scrittura), ma anche parlare meglio di libri, in maniera più informale (la formalità! Purtroppo l'etichetta, l'impostazione linguistica, la sobrietà fanno parte di me. Sto cercando di smussarmi, ed è per ciò che ho avviato questo nuovo progetto) e anche più libera e frequente di quanto riesca a fare sul blog — dove la cura per la stesura della recensione e la sua revisione mi prende molto tempo. Volevo che fosse qualcosa di personale, inoltre. E' nata prima l'idea di YouTube, che tutto il resto, e in realtà è nata proprio dal fatto di volermi mettere in gioco, e di essere forse arrivata all'età giusta per farlo.

Non ho intenzione di lasciare il blog, ma solo di parlare, attraverso il canale, di quei libri che non trovano spazio qui. 

Alert: sono graditissime le critiche perché ho proprio bisogno di sapere cosa non va e in quale modo devo pormi, ma sapete benissimo che ripago maleducazione con la stessa moneta. 
Spero di caricare presto altri video ^.^






Ps: scusate l'accento. Lo odio anche io. Da morire.

sabato 23 maggio 2015

Brevissima cronaca di un'esperienza al Salone del Libro


A cura di Angela Bernardoni.

Il Salone del Libro di Torino è la Mecca dei lettori, un’occasione lunga cinque giorni di accaparrarsi autografi, anteprime, shopping bag e selfie con gli autori.

Quest’anno un salone più social che mai ha dato la possibilità alla sottoscritta di rovistare tra le pile di copie di Little Brother, romanzo di ispirazione orwelliana scritto da Cory Doctorow ed edito da Multiplayer Edizioni, alla ricerca delle copie impreziosite da un disegno di Giacomo Bevilacqua. L’autore (conosciuto dal grande pubblico per i fumetti di A Panda Piace) ha appena fatto uscire Roma Città Morta, diario scritto a quattro mani con Luca Marengo di un’apocalisse zombie nella città caput mundi e si è divertito, alla fine di una ciarliera sessione di dediche in cui ho perso la mia penna verde (dite a Luca Marengo di contattarmi, nel caso volesse restituirla alla proprietaria), a nascondere le copie personalizzate tra le altre in vendita, pubblicando su facebook la foto di uno dei disegni nascosti tra le pagine. Sempre allo stand Multiplayer, tra Chewbacca in scala 1:1 e gadget da fiera del fumetto, Roberto Recchioni, sceneggiatore e curatore della testata Dylan Dog ha autografato i poster del fantasy The Queen of the Tearling di Erika Johansen, illustrato da lui e in uscita in Italia il 9 luglio.


Grande movimento anche allo stand Bao in cui Venerdì ZeroCalcare ha disegnato ininterrottamente per delle ore pur di far andare a casa ogni fan con una dedica, dopo l’evento all’arena bookstock che l’ha visto impegnato a dialogare con un altro giovane autore, Giorgio Fontana, sull’importanza della graphic novel come mezzo di narrazione (anche se la domanda più importante che gli è stata rivolta, quella che ha chiuso l’incontro, è stata se alla fine True Detective gli fosse piaciuto. La risposta è stata no, fatevene una ragione).




Tra i grandi ospiti, imperdibile la presentazione dell’ultimo lavoro di Stefano Benni, Cari Mostri, raccolta di racconti da paura dell’editore storico dell’autore, Feltrinelli. Gli spettatori hanno potuto fare la conoscenza del Wenge, un protocane anfibio esotico, e godersi tre racconti dalla voce di Benni, che riesce sempre a incantare. Nonostante lui stesso abbia ammesso di essere a lavoro su un romanzo che cerca di finire da dieci anni e che se non dovesse riuscirci non pubblicherebbe altro, noi abbiamo fiducia in lui e gli mandiamo tutto il nostro supporto morale per questa nuova impresa.

Nessun amante dei libri riuscirebbe mai a parlare male del salone, nonostante i prezzi delle provvigioni all’interno del Lingotto, nonostante gli eventi costantemente in ritardo, le sale troppo piccole per ospitare tutti, i piedi distrutti dalle giornate a vagare come anima in pena da uno stand all’altro, da un palco a una sala, il Salone del Libro di Torino resta una delle manifestazioni culturali più importanti in Italia, un vero trampolino di lancio per case editrici e autori, ma anche un paese dell’abbondanza per i lettori tenaci, quelli che ancora trovi a vagare alle sette di sera dell’ultimo giorno di fiera, in attesa degli sconti forti, per lettori forti.




mercoledì 20 maggio 2015

Recensione: C'è un re pazzo in Danimarca di Dario Fo



C'è un re pazzo in Danimarca, Dario Fo
Chiarelettere
160 pagine, 13.90 euro
Leggere un testo scritto da Dario Fo è come avere la poltrona d'onore per una rappresentazione teatrale: il suo spirito da giullare e maestro di cerimonie accompagna chiunque lo voglia seguire attraverso avventure e situazioni insolite, bizzarre e spesso sconosciute. Questa volta la destinazione è la Danimarca, terra della quale conosciamo poco ma che, per eco shakespeariano, non ha mai goduto di buona reputazione  ricorderete la citazione "c'è del marcio in Danimarca" presente in Amleto. Come il drammatico principe del bardo, il protagonista della storia è un sovrano sui generis, la cui mente latita sui confini opposti di pazzia e genialità. Fin dall'insediamento sul trono, il regno di Cristiano VII (1749-1808) è minacciato da intrighi di corte e dalla reputazione che si è forgiato. Con l'aiuto della moglie e dell'amante di quest'ultima, il medico reale Struensee, divenuto poi primo ministro, il sovrano riuscirà ad animare il profondo cambiamento di cui lo Stato ha bisogno per entrare, finalmente, nell'epoca moderna. La pazzia è l'unica fonte alla quale attingere per avere il coraggio di cambiare le cose. È così che un re pazzo diviene un monarca illuminato che, con l'aiuto del suo primo ministro, promuove l'istruzione e la libertà di stampa, abolisce la tortura e la schiavitù nelle colonie. Visioni rivoluzionarie, le sue, capaci di entusiasmare anche il figlio, che gli succederà al trono per costruire il sogno di uno stato moderno ed equo che metta al primo posto il benessere del popolo.

La storia è una biografia di Cristiano che si snoda attraverso lo scambio di lettere che egli intrattenne con la moglie Carolina Matilde, fondamentale nel cambiamento e nella lotta contro i pregiudizi e i complotti dei politici di corte  e che per questo venne allontanata per volontà della regina madre , e passi intimi rinvenuti dal figlio di Fo mentre si occupava di uno studio sui re di Danimarca del XVIII secolo. Ben lungi da definirlo un romanzo, C'è un re pazzo in Danimarca è un testo teatrale i cui atti si snodano attraverso giochi di memoria dove i personaggi mettono in scena i loro monologhi. Lo stile è inconfondibilmente ascrivibile alla scrittura comica, irriverente ed eccessiva, che ha sempre caratterizzato la produzione di Fo. Come in Mistero Buffo, il cardine della storia è dimostrare che la cultura può subire cambiamenti e sdoganare le convenzioni artefatte e obsolete di chi, per convenienza, non accetta il moderno. La pazzia viene raccontata nella sua versione più vicina a quella contemporanea, come esempio di feconda espressione della genialità. Cristiano è pazzo come lo si direbbe di ognuno di noi, perché capace di urlare il suo dissenso senza rimanere vincolato dai rigidi protocolli di corte, instabile perché diverso.

Pur essendo una commedia di carattere prettamente politico, la narrazione non disdegna di raccontare l'amore, nel suo senso più universale e libero, nonché la necessità e l'autenticità dei rapporti paritari tra i generi e tra i familiari. Senza il supporto della moglie e di Strauesee, Cristiano non avrebbe mai potuto avviare una stagione di cambiamenti così lungimiranti da determinare il perpetuarsi della stirpe reale fino ai giorni nostri  in Danimarca, come in Gran Bretagna, la monarchia riscuote un consenso tra i sudditi pari a quasi il novanta percento.

A Dario Fo il merito di aver svecchiato una storia sconosciuta e interessante, in cui gli uomini si fanno valere non attraverso l'uso della forza, ma affidandosi pienamente alla forza della ragione.

Voto: 



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