mercoledì 29 aprile 2015

Recensione: Hotel Madrepatria di Yusuf Atilgan




Hotel Madrepatria, Yusuf  Atilgan
Traduzione dal turco di Rosita D'Amora e Şemsa Gezgin 
Jacabook (Calabuig)
179 pagine, 12.00 euro
Gestire un hotel e gestire un’istituzione, una grande impresa, un paese erano in fondo la stessa cosa. Quando un uomo comincia a conoscere se stesso, a rendersi conto delle proprie possibilità, quando capisce quali sono le vere responsabilità, vacilla, non ce la fa. È una fortuna che i governanti dei paesi non lo sappiano, altrimenti qui, in questo mondo, farebbero molti più danni di quanti ne può fare il responsabile di un hotel.

L’Hotel Madrepatria è un albergo con poche stanze vicino alla stazione ferroviaria di una piccola città dell’Anatolia. Il gestore, Zebercet, esce raramente dalla struttura, solo per andare dal sarto o dal barbiere, e passa le sue giornate seduto al bancone, mangiando i pasti preparati dalla cameriera, assegnando stanze, segnando nomi sul registro dei clienti. La monotonia del suo lavoro viene rotta dall’ingresso nella hall di una donna e dall’ossessione che questa lascerà dietro di sé dopo la sua partenza: una passione totalizzante e irrazionale che cambierà per sempre la vita dell’uomo.

Potremmo pensare a una storia d’amore, a una tresca notturna tra le camere di un albergo, e non potremmo essere più lontani dalla verità. Quello che la casa editrice Calabuig ha portato in Italia per la prima volta, a più di quarant’anni dalla sua pubblicazione, è un esempio di modernismo turco che affonda le radici in Faulkner (lo stesso Atilgan ha raccontato di aver bruciato un suo romanzo incompiuto perché troppo influenzato dalle voci di Mentre Morivo) e nasconde nella chioma il Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk, che ama Yusuf Atilgan perché è riuscito a essere uno scrittore intensamente turco usando le tecniche occidentali.
Il flusso di coscienza usato da Atilgan si avvale di frasi interminabili alternate a sentenze lapidarie e di un uso dispersivo delle parentesi, soprattutto nelle primissime pagine del racconto in cui il lettore arranca tentando di dipanare il senso delle frasi prive di punteggiatura.

Ci sono innovazioni stilistiche importanti, quindi, c’è anche una grande dose di coraggio nella descrizione cruda degli atti sessuali e la fluidità con cui l’autore concatena gesti, frammenti di dialogo, fantasie e ricordi è invidiabile. L’impressione è, però, che il protagonista riesca a malapena a scalfire l’empatia del lettore che si perde nella conta dei giorni che scandiscono il racconto e nelle cronache familiari di Zebercet, popolate di nomi che risultano allo stesso tempo estranei e fin troppo simili tra loro all’occhio di un lettore occidentale. L’alienazione e la solitudine caratterizzano quest’uomo tormentato dal pensiero di una donna sconosciuta arrivata una sera con il treno in ritardo da Ankara. Una donna di cui non sapremo mai il nome, che parte presto la mattina dopo il suo arrivo, lasciandosi alle spalle l’impronta delle labbra su un bicchiere vuoto, cinque zollette di zucchero, un asciugamano a righe, unica prova tangibile del suo passaggio nella vita di Zebercet e feticcio della sua ossessione.

Un romanzo da scrittori, più che da lettori, con un’ottima tecnica ma con una trama esile, ingarbugliata, che non parla d’amore, ma solo di ossessione. Folle, distruttiva ossessione di un’anima destinata a vacillare.

Quante bugie si dicevano al mondo. A parole, per iscritto, con le immagini o anche semplicemente tacendo.


A cura di Angela Bernardoni.


Yusuf Atılgan (1921-1989), uno dei maestri della letteratura turca contemporanea, ha raggiunto la celebrità grazie a due soli romanzi, Aylak Adam (L'indolente) del 1959 e Hotel Madrepatria del 1973, ai quali si aggiungono alcuni racconti e un terzo romanzo incompiuto e pubblicato postumo. Grande lettore della narrativa americana, Atılgan ha introdotto in Turchia le tecniche più sofisticate del modernismo occidentale, coniugandole con l'eredità della tradizione letteraria turca. Tradotto in diverse lingue, Atilgan viene qui presentato per la prima volta in italiano.




Rosita D’Amora insegna Lingua e Cultura Turca all'Università del Salento. Ha tradotto in italiano Sabahattin Ali e Mehmet Yashin.

Şemsa Gezgin ha tradotto in italiano Orhan Pamuk, Nedim Gürsel, Oğuz Atay, Esmahan Aykol, e in turco Italo Calvino, Cesare Pavese, Umberto Eco, Alessandro Baricco.

venerdì 24 aprile 2015

#ioleggoperché a Palermo: cronaca di un pomeriggio di festa





Un'iniziativa data per perdente sin da subito. Anche io lo avevo pensato. 

“Le persone non leggono nemmeno se tiri loro i libri in testa”. 
“Regalare libri non servirà a nulla”. 
“Bisogna lavorare con le scuole per promuovere la lettura”. 

L'ultimo punto è indiscutibilmente vero. Sugli altri, invece, mi sono dovuta ricredere.

Ieri, come in molte città d'Italia, è stata celebrata a Palermo la giornata mondiale della lettura. Palermo, bisogna dirlo, non gode di un'alta percentuale di lettori, tutt'altro. In Sicilia, è stato stimato, i picchi di persone che non leggono nemmeno un libro all'anno raggiungono il 70%. Conosco i miei concittadini, e so che non si tratta di approssimazioni. Le biblioteche non funzionano o sono inesistenti, le librerie indipendenti chiudono e anche quelle di catena sono molto poche – soprattutto se confrontate con il numero di città come Torino. In tanti quartieri la lettura è vista come una perdita di tempo, una cosa effeminata addirittura, di certo l'ultima al mondo su cui investire dei soldi.

Nonostante avessi fortemente voluto partecipare a #ioleggoperché, avessi raccolto collaboratori, colleghi, volontari e richiesto l'autorizzazione al Teatro Massimo (il teatro principale della città, in pieno centro, il simbolo più importante di Palermo) affinché ci concedesse uno spazio, all'interno dei suoi cancelli, dove allestire un banchetto con i libri, i dubbi sono rimasti fino a un momento prima di metterci all'opera: come avremmo dovuto approcciarci ai palermitani? Ci avrebbero ascoltato? Avrebbero davvero letto il libro?


In realtà, invece, è venuto tutto da sé: alcuni (lettori) avevano sentito parlare dell'iniziativa ed erano venuti a curiosare e a chiederci un libro (che noi, abbiamo spiegato chiaramente, avevamo intenzione di dare solo a chi non legge. Ma su questo punto ritornerò dopo); ma molti di più sono stati i non lettori. Non avevamo nemmeno finito di sistemare i libri sul tavolo e di appendere le locandine negli espositori, che gruppetti di persone si facevano già avanti per chiedere di cosa si trattasse. Alla domanda: “leggi libri?”, cominciavano a imbarazzarsi. Quel “no, non leggo” suonava come una confessione. Ecco perché sapevamo se fossero davvero lettori o meno (alcuni dei primi fingevano di non esserlo per farsi dare un libro, ma era facile riconoscerli): si vergognavano di dover rispondere di no. A quel punto, bastava spiegare che stavamo regalando libri proprio ai non lettori. Non credevano che fosse qualcosa di plausibile, però passavano minuti e minuti con noi che parlavamo, entusiasti, di quale potesse essere il libro adatto a loro. Pur non avendoli letti tutti, ognuno di noi ha finito almeno due libri. Abbiamo studiato trame e riassunti e, soprattutto, individuato a quale fascia di età si rivolgeva ciascun libro. Se qualcuno non ne sapeva abbastanza di un determinato titolo, chiamava il volontario che lo aveva letto. Così ci alternavamo, e un non lettore ha avuto a che fare anche con due o tre persone. 

Le letterine dentro ai libri
Il momento più bello è stato però quello del dono. Pensavano davvero di doverci pagare (alcuni hanno addirittura insistito per farlo), o di dover firmare chissà quali scartoffie. Vederli illuminarsi quando capivano che potevano prenderli senza darci nulla in cambio è stata un'emozione indescrivibile. Li ho visti sorridere perché avevamo dedicato loro del tempo (ma eravamo noi a essere grati, perché non ci aspettavamo potessero pensare di concederci il loro) e perché, all'interno del libro, avevamo messo delle lettere personalizzate su ogni titolo e rivolte proprio al non lettore, a chi sapevamo, cioè, avesse avuto problemi con la lettura, o semplicemente non aveva mai pensato di affrontarla. Ci siamo accorti, infatti, che uno dei motivi principali per cui quelle persone non leggevano era che non erano mai stati educate a farlo. Non era nelle loro abitudini. Le ho viste scorrere quelle lettere poco moralizzatrici e dire: “sì, è proprio per me!”. Una delle cose più preziose che ho imparato da questa esperienza: le persone hanno bisogno di fiducia. Percepiscono la cordialità, la passione, la buona volontà, e ti ascoltano anche su quegli argomenti che non pensavi avrebbero mai voluto affrontare. Si trattava soprattutto di ragazzi che sono rimasti con noi delle mezzore e per cui, alla fine, siamo riusciti a trovare il libro giusto. Non crediamo sia stato tempo perso. Siamo sicuri che faranno almeno il tentativo di leggere i libri che gli abbiamo dato, perché abbiamo visto che, quando raccontavamo le magie della lettura, ci credevano. Si sono fidati di noi.
Speriamo di averli arricchiti allo stesso modo in cui loro hanno arricchito noi. Perché la sottoscritta, e non pensava che lo avrebbe detto mai, ha ritrovato fiducia nell'umanità. Ha capito che per leggere, certe volte, ci vuole solo bisogno di una spinta, e che, se le persone non leggono o non entrano in libreria, non è detto che lo facciano per ignoranza. Non conoscono i libri. Quindi perché dovrebbero spendervi dei soldi?


Ovviamente, abbiamo incontrato anche i refrattari. Un ragazzo si è finto straniero per non essere disturbato (lui non si era avvicinato spontaneamente, lo avevamo pescato in piazza), e ha tentato con tutti i mezzi di farci capire che non avrebbe letto perché, lo sappiamo, non aveva tempo. Abbiamo scoperto che in passato aveva anche letto e apprezzato Calvino (immaginate quanto tempo abbiamo trascorso con lui) e si è convinto, alla fine, a prendere quello che gli sembrava più interessante. Il suo amico, al contrario, non ne ha voluto proprio sapere. Ci ha detto di leggere solo biografie di calciatori, e quelle non le avevamo (per fortuna).

Un altro “colto” in piazza, mi ha invece detto che non leggeva perché non voleva essere illuminato. Non sto scherzando. Mi ha spiegato che, quando hai troppa cultura, non puoi fare altro che prendertela con il mondo. Siamo però riusciti a portarlo alla postazione (dopo averci chiesto se doveva rispondere a questionari o indagini di mercato) e a dargli un libro che pensavamo gli piacesse.

Un'altra ancora, avvicinatasi alla fine, ha affermato di essere una grandissima lettrice, essendo pendolare. Per poi rimangiarsi la cosa e dire che, in realtà, non era così: me lo aveva detto per farsi bella e fare buona figura. Ho avuto l'impressione fosse una bugiarda cronica, e che la verità fosse appunto quella di non lettrice.

Come si sono comportati, invece, i lettori?

Il nostro coloratissimo banchetto

Molti sono stati gentili, e abbiamo scambiato con loro diverse opinioni di lettura. Pur rimanendo male perché i libri non erano destinati anche a loro, hanno accettato la cosa di buona grazia, e li abbiamo invitati all'appuntamento che c'è stato alle ore 21 in Feltrinelli, durante il quale abbiamo condiviso brani letterari.

Altri, e sono stati tanti, hanno insistito in maniera maleducata e invadente, cercando in tutti i modi di prenderci un libro. Una coppia in età matura, ad esempio, aveva appena acquistato un libro in libreria. Nonostante questo, ci sono ronzati attorno cercando di scroccare un libro a noi ragazzi, tastandoli, tenendoli in mano e aspettandosi che dessimo loro il consenso di portarli a casa. Cosa che non è avvenuta. Un'altra signora, invece, non voleva proprio prendere il libro per la figlia quattordicenne che le avevamo consigliato. A lei ne piaceva un altro, che sicuramente la ragazza non avrebbe letto. Una coppia di ragazze, al nostro rifiuto, ha portato a turno (e da messaggeri sempre diversi) quattro amici o parenti non lettori, pensando che fossimo tanto ingenui (eufemismo) da non capire che glieli avrebbero strappati dalle mani non appena si fossero allontanati. Abbiamo dato i libri ugualmente, facendo finta di non aver intuito l'inganno ma capendo che, pur nel tentativo di prenderci in giro, si trattava sempre di ragazze giovani che forse non avrebbero avuto la possibilità di comprare molti libri. Cosa che invece, per le persone adulte (e spesso distinte) che tentavano in tutti i modi di impossessarsi dei libri, non era minimamente giustificabile.

Il Teatro Massimo sullo sfondo!
Abbiamo distribuito ben 117 libri in tre ore e mezza. Non si tratta di un numero piccolo, considerato tutto il tempo che abbiamo dedicato ai non lettori prima di indirizzarli verso il titolo adatto. Anzi, è stata una soddisfazione immensa. Anche perché, quando alla fine c'erano rimaste pochissime copie, si è avvicinato con la mamma un dodicenne. Lui era già un lettore: stava leggendo Il signore degli Anelli e guardava con aria di sufficienza i titoli che ci erano rimasti. Aveva addirittura visto il film tratto dal libro di Maria Pace Ottieri, Quando sei nato non puoi più nasconderti, che era difficile conoscere anche per noi lettori di più lunga data. Leggeva tanto e di qualità, e ci ha proprio dato un'iniezione di speranza.

Alla fine, ovviamente, gli abbiamo regalato “Brancaleone” di Age&Scarpelli e Mario Monicelli.





N.B.: un grazie caldissimo e affettuoso va ai ragazzi che si sono prestati, che hanno studiato i libri, che si sono impegnati e che ieri si sono intrattenuti con lettori e non lettori: Valentina, Roberta, Astrid, Mirella, Rosaria, Margherita e Antonino. Grazie a Michele, che mi ha appoggiato sin da subito. Grazie a Rossana e Angela, che hanno passato il pomeriggio a scattare foto, sciupando un po' del loro prezioso tempo. Grazie a tutti gli amici e i conoscenti che ci hanno portato i loro non lettori.
Grazie al Teatro Massimo e al Caffè del Teatro Massimo, che ci ha concesso uno spazio bellissimo e senza il quale l'iniziativa non sarebbe riuscita altrettanto bene. Grazie alla libreria Fetrinelli di Palermo, a Roberta Cusimano e alla direttrice Lia Vicari, che ci hanno invitato e accolto con gentilezza, disponibilità ed entusiasmo.




Perché ‪#‎ioleggoperché‬ a Palermo ha funzionato:


- Perché i (non) lettori si sono avvicinati spontaneamente a una postazione fissa, spinti dalla nostra veste "ufficiale" (le magliette), dalle locandine esposte e dalla nostra aria simpatica (ehehehehe)

- Perché il posto era centrale, famoso, tranquillo ma frequentato, esteticamente bello

- Perché abbiamo dedicato loro del tempo, abbiamo voluto conoscerli, abbiamo fatto capire che ci interessavano le loro opinioni

- Perché non abbiamo chiesto nulla in cambio

- Perché hanno avuto la possibilità di scegliere tra una rosa di 18 titoli, e sappiamo bene che scegliere un libro è il primo piacere del lettore

- Perché non erano soltanto i libri a essere pensati per loro, ma anche le lettere che abbiamo inserito al loro interno

- Perché abbiamo passione per i libri e, se qualcuno ci dà la possibilità di parlarne, sappiamo trasmetterla bene.

mercoledì 22 aprile 2015

il 23 aprile di Dusty pages in Wonderland: libri in regalo a Palermo



in collaborazione con




Ben tornati, lettori! Scrivo questo post per annunciarvi una lieta novella: domani, in occasione della giornata mondiale del libro, i collaboratori di Dusty pages in Wonderland si troveranno a Palermo, a Piazza Verdi (per la precisione, nello spazio esterno del nuovo Caffè del Teatro Massimo), a regalare libri a passanti NON lettori, cercando di individuarne gusti e preferenze. 
Si tratta dei libri messi a disposizione dalla campagna #ioleggoperché, in numero e titoli limitati, quindi i regali saranno ben mirati e distribuiti nell'arco del pomeriggio.
L'organizzazione è stata lunga e intensa, e spero che i risultati mi ripagheranno delle ore di sonno che ho perso questa notte per finire i preparativi. All'interno dei libri, il non lettore di riferimento troverà una lettera, scritta dai messaggeri, in cui sono spiegati i punti salienti, la trama, le tematiche (e anche qualche rassicurazione sulla scorrevolezza del testo). Non so se tutto questo servirà a portare nuovi lettori, anzi, ne dubito. Ma è un momento in cui non possiamo lasciare strade intentate. I tempi ci costringono a provare tutto, anche a regalare libri. Io spero che domani (l'appuntamento è dalle 16.00 alle 19.30, quindi, se siete di Palermo, perché non ci portate un non lettore?) riuscirò a convincere un non lettore che è più divertente e stimolante spegnere la tv e leggere un libro. Impresa titanica, ma chissà? Potrete seguire tutti i nostri spostamenti con l'hashtag #daiunachanceaunlibro e #ioleggoperché. Ci saranno tanti video e foto, dove probabilmente mi si vedrà impallidire puntualmente a ogni "no, io non leggo!", e l'evento continuerà alle 21.00 alla Feltrinelli (a due passi da Piazza Verdi), dove ci sarà un bellissimo incontro in cui racconteremo a microfono aperto i nostri libri preferiti in tre minuti.   
Trovate l'evento Facebook a QUESTO LINK. Vi aspettiamo per un pomeriggio di condivisioni, scambi letterari e regali! 


lunedì 20 aprile 2015

Recensione: Red Country di Joe Abercrombie



Red Country, Joe Abercrombie
Gargoyle
640 pagine, 24.00 euro
Rieccoci, dopo breve tempo, con un nuovo libro di Joe Abercrombie, di cui abbiamo già recensito la Trilogia della Prima Legge e i due volumi indipendenti Il sapore della vendetta e Il mezzo Re
Come d'abitudine per l'autore, molti sono i volti noti dei precedenti romanzi che fanno la loro comparsa nei libri successivi, e anche questa volta i ritorni sono parecchi, a partire dall'alcolizzato soldato di ventura Nicomo Cosca, alla sua quarta presenza, senza tralasciare uno dei personaggi più controversi dei primi libri: il suo vero nome stavolta non verrà mai rivelato – ora è conosciuto come Agnello, nome quanto mai poco azzeccato – ma il fatto che sia un Uomo del Nord con solo nove dita dovrebbe aiutare a riconoscerlo. 
Red Country è stato pubblicizzato dallo stesso Abercrombie come un'incursione del fantasy nel western, e, in effetti, l'esperimento pare riuscito. Fin dalla dedica iniziale a Clint Eastwood si può assaporare l'atmosfera che si respirerà nel romanzo.
In questo capitolo lo stacco con i precedenti volumi è tale che anche l'ambientazione medievale/rinascimentale sembra venir meno ed è facile immaginare Shy Sud, la giovane protagonista, assieme ai suoi compagni d'avventura in versione cowboy mentre affronta territori selvaggi al seguito di una carovana di pionieri in cerca di fortuna, difendendosi dalle intemperie della natura e dalle scorribande degli spettri, una popolazione simile agli indiani d'America, che invece dello scalpo ama conservare le orecchie degli avversari sconfitti. 

A parte il cambio di ambientazione, Abercrombie non ha perso il suo carattere: Red Country è crudo e cinico come ci si aspetta dall'autore, senza falsi buonismi e sentimenti scontati. E' vero che, rispetto alla trilogia, l'azione è più lenta, soprattutto nella prima metà del libro, ma il ritmo accelera nella seconda parte, riscattando ampiamente la prima impressione. Inoltre l'autore dimostra di essere bravo non solo nel tratteggiare con realismo epiche battaglie, ma di sapere anche sviluppare la tensione dell'attesa e costruire trame, seppur non troppo intricate, sempre piacevoli da dipanare.

Il cinismo, come già detto, è una componente fondamentale del racconto e anche questa volta ci vengono proposti una serie di anti-eroi codardi, malvagi o semplicemente approfittatori, che Abercrombie riesce a mettere in primo piano con la consueta ironia. Eppure, forse per la prima volta, l'autore sembra voler considerare l'eventualità di un cambiamento, riconoscendo la possibilità della redenzione, almeno per alcuni personaggi e in alcune circostanze.

Ecco quindi una breve carrellata dei protagonisti: la figura principale è Shy Sud, giovane donna molto pragmatica, con un passato torbido, disposta a tutto pur di ritrovare i fratellini rapiti, Ro e Pit. Assieme a lei troviamo Agnello, l'uomo del Nord, che dovrà scavare nel proprio passato per trovare la rabbia necessaria a sconfiggere chiunque si metta in mezzo a lui e ai bambini, di cui si considera padre adottivo.

Nel loro viaggio, Shy e Agnello dovranno fare i conti con l’assenza di legge delle Terre Remote, in cui tribù sanguinarie e carovane di disperati sono all’ordine del giorno. L’incontro più pericoloso sarà quello con uno degli antieroi più ripugnanti di Abercrombie, il mercenario con il vizio dell'alcool Nicomo Cosca, accompagnato dal vile legale Tempio. Le storie di altri personaggi dei precedenti volumi fanno la loro comparsa, intrecciandosi direttamente o indirettamente con la trama principale, per la soddisfazione degli amanti di questo autore.

La componente magica, in questo romanzo, ha assunto un ruolo minore rispetto al passato, lasciando spazio a un nuovo potere che comincia rapidamente a farsi largo: l'industrializzazione. Abercrombie innesta nel suo libro l'invenzione delle prime armi da fuoco, facendoci anche intravedere delle futuristiche macchine da guerra, dal vago sapore steampunk.

In Red Country, la crudeltà riesce a coesistere con sprazzi di umanità, per arrivare a un finale insolito, positivo, che strizza l'occhio all'ottimismo. A questo si aggiunga che la vena ironica dell'autore, dopo la flessione degli ultimi due libri, è particolarmente sfavillante. Joe Abercrombie, ormai sempre più a suo agio nel mondo del fantasy contemporaneo, in Red Country allarga i suoi orizzonti narrativi con un'ambientazione western inusuale e uno stile piacevolmente cinico. 


Voto: 



Joe Abercrombie
nasce a Lancaster nel 1974. È il 2002 quando, allora studente di Psicologia all’Università di Manchester, pensa di scrivere una trilogia fantasy e inizia la stesura del primo episodio. Trasferitosi a Londra, lavora come montatore freelance e produttore di format televisivi di vario tipo e termina di scrivere quello che diventerà The Blade Itself. Dopo aver incassato lo scetticismo di alcuni degli agenti letterari più influenti del Regno Unito, Gollancz (storica etichetta britannica famosa per essere, tra gli altri, l’editore di George Orwell) ne acquista i diritti, vincolando Abercrombie a pubblicare l’intera serie per un giro d’affari a sette zeri. A The Blade Itself (2007) seguono Before They Are Hanged e Last Argument of Kings (2008). La trilogia The First Law si rivela un enorme successo tra i lettori anglosassoni. The Blade Itself, in particolare, è un vero e proprio boomerang editoriale: Abercrombie viene riconosciuto come miglior nuovo scrittore fantasy ed è finalista al prestigioso John Campbell Award, moltissimi Paesi inoltre acquistano i diritti del volume. Sempre Gollancz ha pubblicato i romanzi singoli The Heroes (2011) e Red Country (2012).

mercoledì 15 aprile 2015

Libri e librerie d'oltre Manica: viaggio nella distribuzione editoriale scozzese


Durante il mio ultimo viaggio nella terra degli Highlander, ho avuto modo di osservare da vicino i luoghi di distribuzione editoriale più significativi di una grande città quale Glasgow. In quattro giorni ho assaporato il modo in cui la cultura vive immersa in un paesaggio bucolico, permeato da gusto vittoriano e propensione alla ricerca. Gli ultimi dati riguardanti la lettura nel mondo anglosassone sono nettamente differenti dai nostri: il Governo inglese ha infatti comunicato, riferendosi ai dati statistici rilevati alla fine del 2014, che nonostante la forte propensione per la lettura registrata negli ultimi anni (grazie a varie campagne promosse dal National Literacy Trust nelle scuole primarie), circa il 25% della popolazione del Regno Unito non ha mai letto un libro per diletto. Seppur in diminuzione, dunque, la percentuale di lettori si aggira intorno al 70%, ben più elevata dell'Italia

Nel nostro paese si è registrato non solo un calo nei confronti della lettura in formato cartaceo, ma anche di quella digitale  non sempre la preferita per via del rifiuto di acquistare dispositivi eReader o semplicemente perché il costo dei testi virtuali è ritenuto proibitivo. I britannici continuano a preferire  la prima opzione, nonostante i costi ben più alti dei volumi (la prima edizione di un qualsiasi testo ha generalmente un costo che si aggira tra 25 e 30 sterline, intorno ai 35-40 euro per inciso  e questa dovrebbe essere una risposta significativa per chi afferma che in Italia i libri costino troppo).

Davanti all'avanzata degli eBook, come corrono ai ripari le librerie?
L'interno della libreria Voltaire e Rousseau
Innanzitutto, è doveroso parlare del sistema di distribuzione editoriale, decisamente diverso da quello italiano. Trovare un negozio che venda libri non è impossibile, anzi: li troviamo anche nei negozi d'abbigliamento (ad esempio Urban Ourfitters), sebbene appartengano, per lo più, a particolari settori  indie, saggistica e letteratura "hipster". Le librerie indipendenti sono pochissime e per lo più dedicate a generi specifici, mentre tantissimi sono i charity shop (ad esempio Oxfam) che, oltre a vendere materie derivanti da commercio equo-solidale, hanno una vasta scelta di testi letterari e dvd di seconda mano, organizzati per genere e ordine alfabetico. 

Una vera scoperta, tra le librerie indipendenti, sono state due vere istituzioni per la città di Glasgow: la Caledonia Books e Voltaire & Rousseau. Si tratta di due librerie dell'usato storiche, ma completamente diverse l'una dall'altra. La Caledonia Books si trova sulla Great Western Road, una zona ricca di ristoranti, pasticcerie e pub per tutti i gusti, non lontana dall'Università di Glasgow. Nata nel 1986, è la culla del sapere storico sulla città e sulla Scozia, al quale è dedicata la maggior parte degli scaffali, senza dimenticare i classici e i manuali tecnici (la sezione dedicata alle scienze sociali e alle arti figurative al piano di sotto è così ricca da lasciare col fiato sospeso). Orgogliosamente ho potuto notare, tra gli scaffali, alcune copie dei libri di Umberto Eco e Italo Calvino, ritrovati anche da Voltaire & Rousseau. La sensazione profonda, in questo spazio enorme occupato da volumi e volumi impilati, è quella di essere in  presenza di un posto ideale per gli accumulatori seriali. Lo spazio è totalmente occupato dai libri, ma è quasi impossibile cercare un titolo preciso, è più logico pensare che siano i libri stessi a mostrarsi appetibili e a farsi scegliere: mia sorella e io abbiamo trovato una copia del Silmarillion in buone condizioni a poco più di due sterline. Un luogo in cui perdersi è decisamente il sogno proibito di ogni lettore. Passiamo invece alle temutissime librerie di catena.


Le più famose e diffuse sul territorio sono Waterstones e WHSmith. La prima è forse quella che mi ricorda maggiormente la Feltrinelli per disposizione di volumi e organizzazione degli spazi: quella visitata da me si trova nel City Centre, a Sauchiehall Street, consta di ben 4 piani ed è fornita di uno splendido caffè Costa, che ribadisce il binomio inglese della pausa lettura accompagnata da una tazza di tè. È un luogo assolutamente conciliante, nel quale si potrebbe benissimo passare l'intero pomeriggio senza rendersene conto. Il catalogo è davvero ricco e, oltre ai libri, è vasto l'assortimento di gadget dedicati alla lettura, soprattutto ai classici: carte da lettera, biglietti da visita, tazze e cartoleria dedicata a Jane Austen, Charles Dickens e Lewis Carroll  i cui prezzi sono assolutamente proibitivi. In più, ho trovato un'ampia sezione dedicata alla collana celebrativa degli 80 anni della Penguin, la Little Black Classics, della quale ho acquistato per me The Night is Darkening Round Me di Emily Brontë e Goblin Market di Christina Rossetti. Ho notato che non si effettuano particolari sconti sui volumi, se non quelli applicati ai libri acquistati in prenotazione: ad esempio, al momento del mio soggiorno era prenotabile il sequel de Il buio oltre la siepe di Harper Lee, Go set a watchman, acquistandolo ad un costo del 50% rispetto al prezzo di listino. Passando a WHSmith, devo dire che non mi fa davvero impazzire, poiché la disposizione mi ricorda quella della sezione dedicata ai libri degli ipermercati, ma di contro ha uno sconto permanente dedicato esclusivamente ai tascabili che risulta davvero succulento: con l'acquisto di un edizione brossura è possibile acquistarne un'altra a metà prezzo (risparmiando dunque il 25%). Ovviamente si tratta più che altro di una grande cartoleria dedicata ai libri, ma ammetto che ne preferisco la versione presente negli aeroporti che, spesso, risulta più fornita.


In città universitarie come Glasgow, visto l'elevato costo dei libri nonostante le promozioni offerte dalle librerie di catena, le librerie dell'usato sono fondamentali per tutti coloro che non vogliono rinunciare al piacere della lettura scegliendo di dar nuova casa a un libro dimenticato. Le grandi distribuzioni sopravvivono grazie ai beni accessori venduti, piuttosto che ai libri, ma soprattutto grazie al sistema di sconti offerto ai clienti. Sebbene non sia più molto redditizio possedere una libreria, trovo meraviglioso che luoghi come la Caledonia Books e Voltaire & Rousseau siano ancora presenti, guardando amaramente a che ne è stato, nel nostro Paese, di questi piccoli gioielli ormai perduti.




 

mercoledì 8 aprile 2015

Recensione: Il Regno di Emmanuel Carrère



Il Regno, Emmanuel Carrère
Adelphi
428 pagine, 22.00 euro

Sarebbe facile liquidare l’ultima opera di Emmanuel Carrère come la storia di una fede trovata e poi persa, ma una tale e semplicistica definizione non renderebbe onore alla sincerità e alla dedizione che l’autore ha dimostrato nella stesura di quello che è, allo stesso tempo, un memoir e un saggio divulgativo sulle prime figure del cristianesimo dopo la morte di Gesù.

Questo libro parla in primo luogo di Emmanuel Carrère, con la voce di Emmanuel Carrère; si rivolge al lettore con quella prima persona singolare che l’autore ha adottato per la prima volta ne L’avversario e che l’ha portato a un progressivo distacco dalla fiction, sfociato nella cronaca di ispirazione capotiana e nell’autobiografismo. Oltre che ne L'avversario, stesso metodo è stato adottato in Vite che non sono la mia, in cui Carrère si spoglia davanti al lettore con la stessa noncuranza di uno scafato attore porno che arriva sul set. La metafora erotica è azzardata ma non fuori tema: lo stesso Carrère parla con naturalezza dell’argomento, inserendo un capitolo che tratta di masturbazione in una storia di conversione ed atti di fede. Ci vuole un grande talento nel sapersi concendere tali libertà, ma anche coraggio e sfacciataggine nella volontà di non celare ogni angolo della propria vita privata.

Come in una narrazione a incastro, la scena di apertura ci presenta Carrère a Parigi nel 2011 che, nel corso di una cena, racconta l’idea per il suo prossimo libro come se stesse presentando il progetto di una nuova serie tv: La scena si svolge a Corinto, in Grecia, verso il 50 dopo Cristo ― anche se naturalmente, all’epoca, nessuno immagina di vivere «dopo Cristo». All’inizio si vede un predicatore itinerante che apre una modesta bottega di tessitore. Senza mai muoversi da dietro il suo telaio, quello che in seguito verrà chiamato san Paolo tesse la propria tela […]; ma la decisione di toccare un simile tema costringe Carrère ad affrontare il periodo della sua vita in cui è stato «toccato dalla grazia». Il virgolettato è dell’autore, che ammette di provare imbarazzo per tali espressioni utilizzate abitualmente nell’autunno del 1990, periodo in cui aveva iniziato a credere, si era sposato in chiesa, aveva fatto battezzare i suoi figli e prendeva parte alla messa ogni giorno, confessandosi e comunicandosi.
Una pila di quaderni nascosti nello sgabuzzino più lontano della sua nuova casa, e contenenti commenti sui Versetti dei Vangeli ― che l'autore aveva trascritto nell'arco dei tre anni del suo percorso religioso ― , sarà lo slancio iniziale per la ricerca e la narrazione.

Costantemente in lotta tra l’amore verso Dio e il suo ego, Carrère, che si vede come un artigiano incollato al banco da lavoro, cerca di vivere la vocazione interiorizzando le parole di Giovanni Battista «Aiutami a diminuire perché tu cresca in me».
Non è facile tenere fede a queste parole, per un romanziere.

La risoluzione finale di questo struggimento interiore sarà raggiunta dallo scrittore proprio con questo testo, 428 pagine pubblicate da Adelphi, in cui la vita privata di un uomo e le storie delle prime figure del cristianesimo si fondono in un’appassionante narrazione sulla scrittura in tutte le sue forme e la mitizzazione. Carrère confonde i suoi tratti con quelli di Luca, evangelista, che, al seguito del predicatore Paolo, vive gli anni immediatamente successivi alla morte di Cristo portandone la Parola nei piccoli villaggi, interrogandosi su chi sia stato veramente l’uomo che era Gesù prima di diventare Cristo, cercando chi l’ha conosciuto in vita, chi ha udito con le proprie orecchie le Sue parole, chi l’ha visto entrare a Gerusalemme e condividere con gli apostoli pane e vino. La grande differenza tra Luca e Paolo consiste proprio in questa visione dell’ “uomo” Gesù, che risulta irrilevante per il convertito Paolo, interessato soltanto agli alti dogmi dietro il neonato cristianesimo e alla scissione con la legge ebraica.

Credo che per qualsiasi altro scrittore contemporaneo una simile opera avrebbe segnato una sorta di morte letteraria; ma Carrère, dotato di uno sguardo limpido e analitico, e di una scrittura in grado di accompagnare il lettore tra i monti della Giudea e dentro le mura di una casa parigina ― senza per questo mai abbandonarlo e tramortirlo di nozioni specifiche ―, ha dato vita a un grande studio che travalica i confini della religiosità, regalandoci non più dei personaggi vissuti quasi duemila anni fa, ma delle persone che sono realmente esistite, che hanno camminato per strade polverose e corridoi poco illuminati e che, come continuiamo a fare tutti noi, credenti o meno, si sono interrogati sulle origini di quella che, per molti versi, è la base della nostra cultura.

Il cristianesimo era un organismo vivente. È cresciuto in modo assolutamente imprevedibile, ed è normale. Chi vorrebbe che un bambino, per quanto meraviglioso, non cambiasse? Un bambino che resta bambino è un bambino morto, o nella migliore delle ipotesi un ritardato.

Un capo lo si adora, lo si ammira, lo si mette su un piedistallo. Ma l’ammirazione non è amore. L’amore richiede vicinanza, reciprocità, accettazione della vulnerabilità. Soltanto l’amore non dice ciò che tutti noi passiamo tutta la vita a dire a tutti: «Io sono meglio di te». L’amore ha altri modi per essere rassicurato. Ha un’autorità diversa che non viene dall’alto ma dal basso.


Voto: 


A cura di Angela Bernardoni.

sabato 4 aprile 2015

Il tempio degli Otaku #105: "Akai Mi Hajiketa" di Natsuko Takahashi










Akai Mi Hajiketa 1Salve a tutti e benvenuti ad una nuova puntata de “Il Tempio degli Otaku”! Aprile è appena iniziato e, dopo un inverno che sembrava non dovesse finire mai, è ritornata la primavera. La primavera, la “stagione degli amori”. Quale migliore periodo, quindi, per lasciare un attimo da parte le atmosfere cupe e distruttive che distinguono molte opere per dare spazio ad altre più leggere e spensierate, che parlino dell'innamoramento in tutte le sue forme? Un possibile candidato potrebbe essere il volume unico Akai Mi Hajiketa di Natsuko Takahashi, ancora inedito in Italia. Buona lettura!

Il volume raccoglie sette storie, completamente slegate tra di loro. Scopriamole insieme.
La raccolta si apre con “Lo studio di Hachisu-sensei”. La giovane protagonista adora una serie manga, ma non il suo creatore – Hachisu-sensei, appunto – reo di essere troppo diverso dal carismatico protagonista dell'opera. Hachisu è infatti disordinato, incapace di fare le più comuni faccende di casa, e il suo unico amico è un gatto. Non è con piacere che la ragazza si reca a casa sua per portargli qualcosa da mettere sotto i denti. Tuttavia, un giorno, ha la possibilità di osservarlo al lavoro… e niente sarà più come prima.
Nonostante il ritmo sia un po' troppo affrettato – non è chiaro l'esatto rapporto che lega i due protagonisti, anche se probabilmente sono parenti – il racconto riesce a lasciare un'impressione favorevole nel lettore, per i suoi toni delicati ma, allo stesso tempo, verosimili. Vincente, in particolare, la scelta di concludere la storia nel momento in cui la protagonista capisce chi è veramente Hachisu: il suo turbamento non è espresso a parole, ma l'autrice riesce comunque a comunicarci che qualcosa, in lei, è cambiato. Un inizio molto promettente.

Segue “Counter Punch”, storia di un pugile, Daisuke, che da promessa si è rapidamente tramutato in una barzelletta vivente. La sua sequenza di perdite è talmente impressionante da convincere la sua ragazza, Youko, a lasciarlo. Piuttosto che perdere l'ennesimo incontro, Daisuke è deciso a tornare a vincere, e a chiedere a Youko di ripensarci. Non sarà facile, però…
Con le sue cinquanta pagine, questa storia si dimostra la più lunga ed articolata del lotto. La narrazione, pur focalizzandosi principalmente su Daisuke, mette in mostra anche altri personaggi, come gli amici del protagonista – che non credono riuscirà a realizzare il suo obiettivo, il suo allenatore, e soprattutto Youko. Lungi dall'essere un mero “love interest” l'autrice esamina anche la sua vita e la sua versione dei fatti – diversa da quella di Daisuke. Con questi alti livelli di introspezione psicologica, quindi, anche il sospirato finale non mancherà di lasciare un segno nel lettore.

Nekotakota ha per protagonisti due ragazzini, Kotaro e la sua sempai Ako, che si sta preparando a partecipare a un concorso di scrittura. Peccato solo che Kotaro la disturbi in continuazione; un giorno, per farlo smettere, Ako lo bacia, a suo dire “per farlo stare zitto”. Sarà davvero per quel motivo? Ed anche Kotaro la prenderà in giro per cattiveria, o per attirare la sua attenzione?
Le risposte sono, naturalmente, scontate. Tuttavia, la storia rimane piuttosto gradevole da leggere: la graduale “presa di coscienza” di Kotaro è realistica, e priva dei patetismi e dei drammi che affliggono molti shojo. La scena finale ci fa intravedere la coppia che potrebbero formare questi ragazzini in futuro, lasciando quasi nel lettore il rimpianto di non poterla vedere con i propri occhi.

Il breve “Polter Poster” abbandona i toni pastello del precedente racconto per narrarci una storia molto più vicina alla realtà di tutti i giorni – paradossalmente, vista la vicenda narrata. L'innominato protagonista, tipico ragazzo in tempesta ormonale, trova appeso nella sua stanza un poster piuttosto provocante di una ragazza che lo invita a “soffiarci sopra”. Il nostro non può che cedere; ed ecco che la ragazza prende vita, gli finisce addosso e lo bacia… salvo poi rialzarsi, afferrare una delle sue camicie, salutarlo ed andarsene. Fine.
Racconto leggero e spensierato, che non ci si aspetterebbe da una simile raccolta. Le reazioni del protagonista, inoltre, sono assolutamente realistiche, e non fanno altro che divertire ancora di più il lettore.

Il titolo del quinto racconto, “Love is in the air”, è da prendersi in senso letterale. Il protagonista, Yuge, sale sul tetto della sua casa con l'intento di togliersi la vita. Mentre sta per buttarsi, però, da un elicottero scende una ragazza che gli incita di fermarsi. Lei è la star di un programma televisivo, Wish Granters, il cui scopo è, come si evince dal nome, realizzare i desideri delle persone. E Yuge è stato prescelto per essere il protagonista di una puntata. Neanche l'ammettere il suo più intimo desiderio – togliersi la vita – riuscirà a farla desistere dal suo intento. Anzi: la morte del ragazzo verrà organizzata nei minimi dettagli e trasmessa in televisione, davanti ad un pubblico che “tifa” per lui. L'assurdità della situazione non tratterrà Yuge dall'effettuare il “folle volo”: ma, mentre plana nel vuoto, la vita sembra acquistare improvvisamente un senso…
“Love is in the air” riesce dove molte opere – in tutti i medium – hanno fallito: fa ridere e, al tempo stesso, riflettere. A differenza di Yuge, non si può che rimanere colpiti dalla cura con cui si cerca di realizzare il suo desiderio: il ragazzo, ad esempio, dovrà lanciarsi dal punto più alto del Giappone, e aerei con striscioni comporranno scritte “motivazionali”...Tutto, però, per condurre una persona alla morte. Tanta determinazione da parte della Wish Granter è ammirevole o deplorevole? Fin dove si può spingere la voglia di aiutare le persone?

Di nuovo un cambiamento di atmosfera con “Ricordi di una dolce oliva”. Nelle sue dieci pagine, il protagonista ricorda una ragazzina che ha conosciuto molti anni prima, e che era solita nascondersi in mezzo ai cespugli di olive dolci. È così che – per puro caso – nascerà un bizzarro legame che il ragazzo non dimenticherà mai.
Potremmo quasi definire il racconto un bozzetto, a causa della sua breve durata. Un bozzetto delicato, che richiama alla dolcezza dell'infanzia. Un racconto molto tenero.

Chiude la raccolta “Primo amore”. Un professore incarica una ragazzina, Konno, di scrivere un discorso per la cerimonia di chiusura dell'anno scolastico. Vedendola in difficoltà, le propone di scriverlo come se stesse pensando ad una persona specifica… e la sua mente corre al sempai che le piace, con cui però non ha mai parlato.
A dispetto del titolo, il racconto, più che sul primo amore – che appare in pochissime scene – si concentra sul mondo della protagonista. Il professore, il primo a credere in lei, le sue amiche, sempre pronte a sostenerla, le prove del discorso...Tutti dettagli che ci portano a conoscere Konno molto meglio di quanto sarebbe stato se la storia si fosse concentrata esclusivamente sul suo rapporto con la sua cotta. L'amore non è che uno dei tanti aspetti della vita di Konno, e nonostante le delusioni non è mai troppo tardi per ricominciare e per costruirsi una propria identità. Una morale che molti shojo dovrebbero tenere in considerazione…

Il tratto di Natsuko Takahashi è decisamente gradevole. Nonostante l'evidente uso della computer graphic nei retini, lo stile è piuttosto personale, e denota delle basi tecniche che vanno al di là delle risorse usate. Il character design dei personaggi, inoltre, è piuttosto variegato, riuscendo ad evitare che il lettore si confonda.

“Akai Mi Hajiketa” è un'opera piuttosto leggera, ma non per questo povera di contenuti. Non sempre, per trasmettere emozioni, è necessario affidarsi a trame complicate o a cliché: la vita quotidiana può essere un'ottima fonte di ispirazione, se l'autore ha le capacità narrative necessarie. E questo sembra proprio essere il caso di Natsuko Takahashi, una gradita sorpresa da tenere d'occhio.






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