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Il Regno, Emmanuel Carrère
Adelphi
428 pagine, 22.00 euro
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Sarebbe facile liquidare l’ultima opera di Emmanuel Carrère come la storia di una fede trovata e poi persa, ma una tale e semplicistica definizione non renderebbe onore alla sincerità e alla dedizione che l’autore ha dimostrato nella stesura di quello che è, allo stesso tempo, un memoir e un saggio divulgativo sulle prime figure del cristianesimo dopo la morte di Gesù.
Questo libro parla in primo luogo di Emmanuel Carrère, con la voce di Emmanuel Carrère; si rivolge al lettore con quella prima persona singolare che l’autore ha adottato per la prima volta ne L’avversario e che l’ha portato a un progressivo distacco dalla fiction, sfociato nella cronaca di ispirazione capotiana e nell’autobiografismo. Oltre che ne L'avversario, stesso metodo è stato adottato in Vite che non sono la mia, in cui Carrère si spoglia davanti al lettore con la stessa noncuranza di uno scafato attore porno che arriva sul set. La metafora erotica è azzardata ma non fuori tema: lo stesso Carrère parla con naturalezza dell’argomento, inserendo un capitolo che tratta di masturbazione in una storia di conversione ed atti di fede. Ci vuole un grande talento nel sapersi concendere tali libertà, ma anche coraggio e sfacciataggine nella volontà di non celare ogni angolo della propria vita privata.
Come in una narrazione a incastro, la scena di apertura ci presenta Carrère a Parigi nel 2011 che, nel corso di una cena, racconta l’idea per il suo prossimo libro come se stesse presentando il progetto di una nuova serie tv: La scena si svolge a Corinto, in Grecia, verso il 50 dopo Cristo ― anche se naturalmente, all’epoca, nessuno immagina di vivere «dopo Cristo». All’inizio si vede un predicatore itinerante che apre una modesta bottega di tessitore. Senza mai muoversi da dietro il suo telaio, quello che in seguito verrà chiamato san Paolo tesse la propria tela […]; ma la decisione di toccare un simile tema costringe Carrère ad affrontare il periodo della sua vita in cui è stato «toccato dalla grazia». Il virgolettato è dell’autore, che ammette di provare imbarazzo per tali espressioni utilizzate abitualmente nell’autunno del 1990, periodo in cui aveva iniziato a credere, si era sposato in chiesa, aveva fatto battezzare i suoi figli e prendeva parte alla messa ogni giorno, confessandosi e comunicandosi.
Una pila di quaderni nascosti nello sgabuzzino più lontano della sua nuova casa, e contenenti commenti sui Versetti dei Vangeli ― che l'autore aveva trascritto nell'arco dei tre anni del suo percorso religioso ― , sarà lo slancio iniziale per la ricerca e la narrazione.
Costantemente in lotta tra l’amore verso Dio e il suo ego, Carrère, che si vede come un artigiano incollato al banco da lavoro, cerca di vivere la vocazione interiorizzando le parole di Giovanni Battista «Aiutami a diminuire perché tu cresca in me».
Non è facile tenere fede a queste parole, per un romanziere.
La risoluzione finale di questo struggimento interiore sarà raggiunta dallo scrittore proprio con questo testo, 428 pagine pubblicate da Adelphi, in cui la vita privata di un uomo e le storie delle prime figure del cristianesimo si fondono in un’appassionante narrazione sulla scrittura in tutte le sue forme e la mitizzazione. Carrère confonde i suoi tratti con quelli di Luca, evangelista, che, al seguito del predicatore Paolo, vive gli anni immediatamente successivi alla morte di Cristo portandone la Parola nei piccoli villaggi, interrogandosi su chi sia stato veramente l’uomo che era Gesù prima di diventare Cristo, cercando chi l’ha conosciuto in vita, chi ha udito con le proprie orecchie le Sue parole, chi l’ha visto entrare a Gerusalemme e condividere con gli apostoli pane e vino. La grande differenza tra Luca e Paolo consiste proprio in questa visione dell’ “uomo” Gesù, che risulta irrilevante per il convertito Paolo, interessato soltanto agli alti dogmi dietro il neonato cristianesimo e alla scissione con la legge ebraica.
Credo che per qualsiasi altro scrittore contemporaneo una simile opera avrebbe segnato una sorta di morte letteraria; ma Carrère, dotato di uno sguardo limpido e analitico, e di una scrittura in grado di accompagnare il lettore tra i monti della Giudea e dentro le mura di una casa parigina ― senza per questo mai abbandonarlo e tramortirlo di nozioni specifiche ―, ha dato vita a un grande studio che travalica i confini della religiosità, regalandoci non più dei personaggi vissuti quasi duemila anni fa, ma delle persone che sono realmente esistite, che hanno camminato per strade polverose e corridoi poco illuminati e che, come continuiamo a fare tutti noi, credenti o meno, si sono interrogati sulle origini di quella che, per molti versi, è la base della nostra cultura.
Questo libro parla in primo luogo di Emmanuel Carrère, con la voce di Emmanuel Carrère; si rivolge al lettore con quella prima persona singolare che l’autore ha adottato per la prima volta ne L’avversario e che l’ha portato a un progressivo distacco dalla fiction, sfociato nella cronaca di ispirazione capotiana e nell’autobiografismo. Oltre che ne L'avversario, stesso metodo è stato adottato in Vite che non sono la mia, in cui Carrère si spoglia davanti al lettore con la stessa noncuranza di uno scafato attore porno che arriva sul set. La metafora erotica è azzardata ma non fuori tema: lo stesso Carrère parla con naturalezza dell’argomento, inserendo un capitolo che tratta di masturbazione in una storia di conversione ed atti di fede. Ci vuole un grande talento nel sapersi concendere tali libertà, ma anche coraggio e sfacciataggine nella volontà di non celare ogni angolo della propria vita privata.
Come in una narrazione a incastro, la scena di apertura ci presenta Carrère a Parigi nel 2011 che, nel corso di una cena, racconta l’idea per il suo prossimo libro come se stesse presentando il progetto di una nuova serie tv: La scena si svolge a Corinto, in Grecia, verso il 50 dopo Cristo ― anche se naturalmente, all’epoca, nessuno immagina di vivere «dopo Cristo». All’inizio si vede un predicatore itinerante che apre una modesta bottega di tessitore. Senza mai muoversi da dietro il suo telaio, quello che in seguito verrà chiamato san Paolo tesse la propria tela […]; ma la decisione di toccare un simile tema costringe Carrère ad affrontare il periodo della sua vita in cui è stato «toccato dalla grazia». Il virgolettato è dell’autore, che ammette di provare imbarazzo per tali espressioni utilizzate abitualmente nell’autunno del 1990, periodo in cui aveva iniziato a credere, si era sposato in chiesa, aveva fatto battezzare i suoi figli e prendeva parte alla messa ogni giorno, confessandosi e comunicandosi.
Una pila di quaderni nascosti nello sgabuzzino più lontano della sua nuova casa, e contenenti commenti sui Versetti dei Vangeli ― che l'autore aveva trascritto nell'arco dei tre anni del suo percorso religioso ― , sarà lo slancio iniziale per la ricerca e la narrazione.
Costantemente in lotta tra l’amore verso Dio e il suo ego, Carrère, che si vede come un artigiano incollato al banco da lavoro, cerca di vivere la vocazione interiorizzando le parole di Giovanni Battista «Aiutami a diminuire perché tu cresca in me».
Non è facile tenere fede a queste parole, per un romanziere.
La risoluzione finale di questo struggimento interiore sarà raggiunta dallo scrittore proprio con questo testo, 428 pagine pubblicate da Adelphi, in cui la vita privata di un uomo e le storie delle prime figure del cristianesimo si fondono in un’appassionante narrazione sulla scrittura in tutte le sue forme e la mitizzazione. Carrère confonde i suoi tratti con quelli di Luca, evangelista, che, al seguito del predicatore Paolo, vive gli anni immediatamente successivi alla morte di Cristo portandone la Parola nei piccoli villaggi, interrogandosi su chi sia stato veramente l’uomo che era Gesù prima di diventare Cristo, cercando chi l’ha conosciuto in vita, chi ha udito con le proprie orecchie le Sue parole, chi l’ha visto entrare a Gerusalemme e condividere con gli apostoli pane e vino. La grande differenza tra Luca e Paolo consiste proprio in questa visione dell’ “uomo” Gesù, che risulta irrilevante per il convertito Paolo, interessato soltanto agli alti dogmi dietro il neonato cristianesimo e alla scissione con la legge ebraica.
Credo che per qualsiasi altro scrittore contemporaneo una simile opera avrebbe segnato una sorta di morte letteraria; ma Carrère, dotato di uno sguardo limpido e analitico, e di una scrittura in grado di accompagnare il lettore tra i monti della Giudea e dentro le mura di una casa parigina ― senza per questo mai abbandonarlo e tramortirlo di nozioni specifiche ―, ha dato vita a un grande studio che travalica i confini della religiosità, regalandoci non più dei personaggi vissuti quasi duemila anni fa, ma delle persone che sono realmente esistite, che hanno camminato per strade polverose e corridoi poco illuminati e che, come continuiamo a fare tutti noi, credenti o meno, si sono interrogati sulle origini di quella che, per molti versi, è la base della nostra cultura.
“Il cristianesimo era un organismo vivente. È cresciuto in modo assolutamente imprevedibile, ed è normale. Chi vorrebbe che un bambino, per quanto meraviglioso, non cambiasse? Un bambino che resta bambino è un bambino morto, o nella migliore delle ipotesi un ritardato.”
“Un capo lo si adora, lo si ammira, lo si mette su un piedistallo. Ma l’ammirazione non è amore. L’amore richiede vicinanza, reciprocità, accettazione della vulnerabilità. Soltanto l’amore non dice ciò che tutti noi passiamo tutta la vita a dire a tutti: «Io sono meglio di te». L’amore ha altri modi per essere rassicurato. Ha un’autorità diversa che non viene dall’alto ma dal basso.”
Voto:
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A cura di Angela Bernardoni.
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