L'uomo che non poteva morire - Timothy Findley
Beat Edizioni
624 pagine, 10.00 euro
|
Per recensire L'uomo che non poteva morire bastano due parole, due aggettivi semplici ma straordinariamente evocativi: bello e difficile. Sì, perché questo librone (più di seicento pagine!) di Timothy Findley è veramente bello: un lungo percorso narrativo imprevedibile e coinvolgente, dove il protagonista Pilgrim, raffinato inglese che desidera disperatamente morire ma che non ci riesce, anche dopo numerosi tentativi di suicidio, è quasi un'allegoria della bislacca condizione umana. Chi è questo Pilgrim? È un immortale, ma non un highlander, né un vampiro o uno stregone: non muore, ma nemmeno continua a vivere come un'unica identità umana, lui esiste fin dagli albori della storia (o no?), “passando” da una vita all'altra. Tuttavia non si può parlare di reincarnazione, tra un'esistenza e l'altra non vi è l'esperienza fatale del trapasso, bensì l'oblio, il lungo sonno. E questa sua condizione formidabile di essere immune al destino ultimo dell'umanità non è per lui motivo di forza o felicità: Pilgrim è un animo tormentato, è tediato, è un condannato, stanco di vivere da sempre, sempre diverso ma sempre uguale... ha vissuto tantissime vite in tantissime epoche che si sono succedute; è stato ricco, povero, donna, italiano, spagnolo, francese; ha incontrato i grandi della storia; ha conosciuto il lato peggiore di Leonardo da Vinci nei panni della Monna Lisa, è stato amico di Wilde, è entrato in contatto con il misticismo di Teresa d'Avila nei panni di un giovane pastore disabile.
Se ci si accosta all'immortalità di Pilgrim con l'occhio della scienza, ecco che il romanzo si fa difficile: il protagonista, reduce dall'ennesimo suicidio da cui si rimette più o meno velocemente, viene affidato a uno dei nomi più importanti della psichiatria mondiale, Carl Gustav Jung, altro grande co-protagonista dell'opera, che ovviamente non può credergli, ma ricerca una spiegazione razionale. Così l'autore introduce l'elemento dell'enigma e, mano mano che ci si inoltra nell'intricata e splendida foresta della prosa di Findley, si assiste alla “lotta” fra il Pellegrino (Pilgrim) e il grande psichiatra, la lucida follia delle parole del gentiluomo inglese (follia se decidiamo di affidarci alla ragione) contro il tentativo dello svizzero di riportare il tutto sul binario della patologia mentale, deviazione della normalità potenzialmente guaribile.
Con l'avanzare del romanzo, la figura di Jung prende corpo attraverso le disordinate pulsioni sessuali e le ossessioni di cui è preda, e che sono rappresentate da una voce interiore, ostile e sempre pronta a rimproverarlo e a umiliarlo, una voce forse solleticata dalla presenza e dalla vicenda di Pilgrim. Degna di nota è anche, a parer mio, la scelta di ambientare la vicenda nel 1912, due anni prima dello scoppio del primo conflitto mondiale e del baratro sanguinoso che sarà chiamato Secolo Breve, nella neutrale e sonnacchiosa Zurigo (principalmente nella clinica svizzera di Burghölzli) così immota e a suo modo inquietante.
L'uomo che non poteva morire piacerà a chi in un romanzo cerca una “sostanziosa evasione”; piacerà ai curiosi - perché il mistero dell'immortalità è un tema che affascina per la sua natura inafferrabile; piacerà a chi apprezza storia e letteratura e potrà godere dei molteplici riferimenti culturali ed europei degli ultimi seicento anni... Perché allora non lo valuto al massimo? Per via di uno scivolone, l'introduzione di elementi poco congruenti con il contesto storico. “Durante l'assedio di Troia, noi troiani avevamo la fama di decadenti. Mentre gruppi di aristocratici si radunavano sulle mura per osservare il massacro, schiavi in giacca bianca servivano il tè”. Giacca bianca e tè a durante l'assedio di Troia? Suona un po' stonato, anche se questa stonatura non risulta tale da rovinare la pagina dello spartito.
Voto:
Lietissima della riedizione Beat, è stato il mio libro preferito per anni, l'avrò letto in terza superiore. Forse è così che ho iniziato a interessarmi di psicologia... quasi quasi me lo rileggo.
RispondiEliminaAd ogni modo adoro Findley, e mi irrita che non abbia in Italia la fama immensa che merita.
Ciao, sono l'autrice del post, ti confesso che non coscevo Findley prima de "L'uomo che non poteva morire", ma ora correrò a colmare la lacuna. Penso proprio si tratti di un autore che valga la pena conoscere!
RispondiEliminaHo fatto la tesi su di lui. Un grande narratore!
RispondiElimina