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La nostalgia felice, Amélie Nothomb
Voland
128 pagine, 14 euro
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È un maledetto cliché, ma in questo caso è vero: Amélie Nothomb ha una storia da raccontare. Se la maggior parte di noi ha passato l'infanzia in un solo posto lei, invece, può raccontare di numerosi paesi visitati in tenera età; suo padre, infatti, era diplomatico. Non c'è da sorprendersi, perciò, di trovare nella sua bibliografia diversi romanzi autobiografici, che hanno riscosso lo stesso successo, se non di più, delle sue opere "tradizionali". L'ultimo della serie è La nostalgia felice, che ci accingiamo ora a recensire.
Per comprendere La nostalgia felice è necessario fare un riassunto delle puntate precedenti. Il paese in cui Amélie è nata, e senza dubbio quello che più ha amato, è il Giappone. Qui ha passato i primi anni della sua infanzia (narrati in Metafisica dei tubi), accudita dalla balia Nishio-san. Purtroppo, a cinque anni, il trasferimento all'estero: una separazione a dir poco traumatica.
Quasi vent'anni dopo la nostra decide di ritornare nel Sol Levante: per sempre, stavolta. O almeno questa era la sua intenzione, naufragata a causa delle differenze inconciliabili tra cultura occidentale e orientale, descritte con grande lucidità in Stupore e tremori. A nulla vale la relazione con un ragazzo giapponese, Rinri, interrotta bruscamente con il ritorno di Amélie in Europa.
In questo modo sembrava essersi conclusa anche l'esperienza nipponica. Eppure, nel 2012, alla nostra - ora scrittrice affermata - viene proposto di tornare laggiù per girare un documentario sui luoghi della sua infanzia. Amélie, spinta dal desiderio di rivedere due tra le persone più importanti della sua vita, accetta. La nostalgia felice è il resoconto di questo viaggio.
C'è una sottile differenza tra scrivere per sé e per gli altri. È difficile da quantificare, ma alla lettura emerge chiaramente. Questo romanzo, ad esempio, sembra quasi più scritto a vantaggio di Amélie Nothomb che dei lettori. Le spiegazioni sul contesto sono, infatti, ridotte all'osso: sarebbe impossibile leggere il libro senza prima aver approfondito il resto. Di per sé non ci sarebbe niente di male, ma una peculiarità degli altri romanzi autobiografici è proprio la loro capacità di stare in piedi autonomamente. A Rinri viene dedicato un intero volume, Nè di Eva nè di Adamo, ma costui non appare in Stupore e tremori, che pure si svolge nello stesso arco temporale. Anche la ragione - o pretesto - per cui l'autrice ritorna in Giappone, il documentario, non viene spiegata subito. Il lettore rimane perciò un po' spaesato da queste scelte.
Per chi avesse dimestichezza con le altre opere, però, La nostalgia felice offre diversi spunti interessanti. Nella carriera della Nothomb, infatti, questo libro si pone in un momento negativo, caratterizzato da romanzi sì gradevoli alla lettura - come il penultimo, Barbablù - ma poco ispirati. Si avverte una certa stanchezza di fondo nei personaggi, nelle situazioni e nei temi proposti, affrontati ormai troppe volte, e nel ricorso continuo alle autocitazioni e ai richiami ai romanzi precedenti che, se in passato potevano fungere da "marchio di fabbrica", ora stanno lentamente diventando stantii. La nostalgia felice, invece, appare più "umano": il soffermarsi costantemente, quasi ossessivamente, sul passato ha qui un senso preciso. Il senso è la nostalgia del titolo. In giapponese esiste il concetto di "nostalgia felice", ossia quel ricordo che ci procura delle sensazioni agrodolci.
Non è solo la scrittrice che ritorna su luoghi noti, ma anche il lettore, che perciò può empatizzare con il timore di trovare le cose diverse da come le ricordava, o con lo spaesamento di fronte ai cambiamenti riscontrati. Il paesino natale di Nishio-san, infatti, è stato distrutto dal terremoto dell'11 marzo, e ricostruito con edifici totalmente diversi da quelli impressi nella memoria della Nothomb bambina. Soltanto poche cose sono rimaste uguali: le fogne, ad esempio. Emblematica la reazione della troupe, che non capisce la ragione di tanta meraviglia.
Ma soprattutto è Nishio-san a non essere più la stessa. Anziana, lasciata sola dalle figlie e con problemi di memoria; non ricorda niente della recente tragedia che ha colpito il suo paese. Cionondimeno, l'incontro sarà estremamente toccante per entrambe. Diverso invece l'incontro con Rinri, che è riuscito a superare la fine della sua storia d'amore e a rimettersi in sesto. Non c'è né rancore né imbarazzo nel suo modo di porsi con Amélie.
Ne avevamo già accennato, ma un argomento cardine del romanzo è il terremoto, che rivive nelle parole di Rinri. Non, però, nell'itinerario di Amélie, dal villaggio natale alle caotiche Kyoto e Tokyo: lì la vita continua tale e quale a come la nostra l'aveva lasciata, nonostante la tragedia. L'unica eccezione è, naturalmente, Fukushima, dove però la devastazione dei luoghi non sembra accompagnarsi a quella delle persone (ad esempio Amélie si stupisce dell'espressione serena di alcuni lavoratori locali).
Tutto questo, unito alla continue riflessioni tra le differenze tra Oriente e Occidente, ci fa forse dire che, a conti fatti, il vero punto di contatto tra La nostalgia felice e i suoi predecessori è l'amore incondizionato per il Giappone. Ma questo amore, con il tempo, è diventato più maturo, meno passionale e più riflessivo: è tempo di lasciarlo andare, e di cercare nuovi stimoli.
"...decido di andare a fare un nuovo viaggio. Stavolta, verso una destinazione sconosciuta", scrive l'autrice nell'ultima pagina.
Lo stile di Amélie Nothomb è, al solito, piuttosto curato. Dietro l'apparente semplicità si nasconde una cura millimetrica per il dettaglio, evidente sopratutto nelle descrizioni evocative e nella scelta dei vocaboli usati (durante il loro incontro, ad esempio, l'autrice e Nishio-san tremano come due "reattori"). È uno stile dunque minimalista, ma che ben si adatta all'atmosfera dell'opera.
Tirando le somme, perciò, La nostalgia felice è un deciso passo in avanti rispetto alle precedenti prove della Nothomb, senza dubbio per il suo contenuto più riflessivo e personale. È un libro sentito, e questo è palpabile durante la lettura. L'unico reale difetto è la sua "dipendenza" dagli altri libri, che lo rende poco indicato a chi volesse leggere per la prima volta la scrittrice belga. Tuttavia, per gli altri, potrebbe essere una lettura da tenere in considerazione.
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