giovedì 31 luglio 2014

Recensione: Vae Victis di Daniela Barisone e Storm Neverland





Vae victis è una locuzione latina che letteralmente significa Guai ai vinti. È divenuta proverbiale in molte culture e viene più frequentemente utilizzata come amaro commento dinanzi a una crudele sopraffazione o a un beffardo accanimento di chi ha di fronte un avversario non più in grado di difendersi.

Vae Victis è il titolo dell'opera di Daniela Brisone riadattata in forma di fumetto dalle tavole di Storm Neverland, e edito da La mela avvelenata, casa editrice digitale attiva dal 2013, che si occupa in particolar modo di racconti horror, fantasy, fantascientifici ed erotici.
Il primo volumesi apre sulla Chicago del 1929, in pieno proibizionismo. Vengono subito introdotti i due detective protagonisti, Dave Carter e Erik Hangover, alle prese con le indagini sullo sfuggente Al Capone. A distoglierli dal caso intervengono, però, altri delitti e svariate stranezze - fra cui un'orda di sonnambuli che ogni notte si riversa per le strade della città mormorando frasi incomprensibili.
Il filone dell'opera è quello horror-erotico, e non tarda a prendere in prestito uno dei mostri più celebri del panorama orrorifico, ossia lo Cthulhu di Lovecraft, che campeggia anche sulla copertina del fumetto, ma che, per ora, è solo una comparsa marginale.

Sebbene questa introduzione sia breve, e non basti a farsi un'idea definitiva sulla storia, il materiale è sicuramente buono. I due protagonisti incarnano bene il modello del detective solitario e malinconico,  a cui spesso si rifanno i racconti polizieschi, pronto ad accettare e combattere qualsiasi cosa capiti sulla sua strada. A perpetuare il cliché sono anche le atmosfere, che creano una degna cornice di panorami cupi e degradati. Questo modello ormai consolidato, lungi dal danneggiare l'opera, ne esalta invece la storia e la godibilità, complice anche le personalità ben tratteggiate dei due protagonisti.
La commistione di più eventi, ossia l'indagine su Al Capone, i sonnambuli e l'omicidio di una bellissima donna che popola le fantasie di uno dei detective, contribuiscono a infittire la trama e a tenere vivo l'interesse del pubblico, in attesa di scoprire l'evolversi degli eventi. Eventi che non si risolveranno in questo volume.
A fare da contorno al tutto ci sono immancabili, svariate scene erotiche di diverso tipo.
Lo stile scelto per questo fumetto richiama un po' quello di Diabolik, caratterizzato dal predominio della parola sulle immagini: ogni vignetta è corredata a spiegata da un testo, non è mai l'immagine a parlare per prima. Sono tuttavia testi ben congegnati, con un'accurata scelta di parole ed espressione. I dialoghi che li completano sono estremamente realistici.

Per quanto riguarda il contributo di Storm Neverland, non si può che ammirarne lo stile dal disegno forse non sempre perfetto, ma comunque molto bello e curato, con un impatto emotivo e un'attenzione per i dettagli davvero ammirevole. Si nota la ricerca di un approccio personale contraddistinto da piccoli sprazzi di colore sapientemente disposti. Evidente è anche la bravura nell'organizzare le scene e nel disporre le vignette che sottolineano i passaggi chiave e le atmosfere della storia. Proprio per questo sarebbe stato più apprezzata un'impostazione con più spazio al disegno anziché alle parole, considerato che spesso le seconde, alla luce della chiarezza dei disegni, risultano superflue.

In definitiva, Vae Victis si propone come l'interessante avvio di un racconto con delle ottime premesse sia narrative sia figurative.



lunedì 28 luglio 2014

I Maestri del Fantastico: Douglas Adams e la rivoluzione umoristica della fantascienza


In molte delle civiltà meno formaliste dell'Orlo Esterno Est della Galassia, la Guida galattica per gli autostoppisti ha già soppiantato la grande Enciclopedia galattica, diventando la depositaria di tutto il sapere e di tutta la scienza, perché nonostante presenti alcune lacune e contenga molte notizie spurie, o se non altro alquanto imprecise, ha due importanti vantaggi rispetto alla più vecchia e più accademica Enciclopedia:
Uno, costa un po' meno;
Due, ha stampate in copertina, a grandi caratteri che ispirano fiducia, le parole "NON FATEVI PRENDERE DAL PANICO".

Douglas Adams è stato uno dei più noti scrittori britannici di fantascienza, oltre che un apprezzato autore e sceneggiatore umoristico. La sua creazione più conosciuta, Guida galattica per gli autostoppisti (opera radiofonica, libro, serie televisiva, videogioco, fumetto, film), da lui stesso definita una “trilogia di cinque romanzi”, continua a essere un best-seller a livello mondiale, pur essendo stata pubblicata fra il 1979 e il 1993.
La Guida galattica racconta le vicende di Arthur Dent, un comune cittadino inglese che scopre di punto in bianco che la Terra sta per essere spazzata via per fare spazio a nuova superstrada galattica. Grazie al suo vecchio amico Ford Prefect, che scopre essere un alieno, Arthur si mette in salvo e inizia un viaggio paradossale e divertente per l’universo, assistito dalla Guida Galattica per gli Autostoppisti, una specie di guida turistica in formato elettronico (antecedente dei nostri ebook reader) con consigli, informazioni e curiosità sui viaggi spaziali.

La forza di Adams sta tutta nell'ironia british che pervade il racconto, nell'umorismo sottile – che non risparmia le critiche sociali – e nei personaggi bizzarri che compaiono nel romanzo. Altrettanto apprezzabile è il lessico dell'autore, con le sue invenzioni linguistiche divenute memorabili, una sorta di gergo che contribuisce all'atmosfera umoristica dei libri.
Alcune delle trovate di Adams, geniali e in anticipo sui tempi, sono state effettivamente accolte dalla tecnologia moderna, che ha anche attinto ai nomi coniati dall'autore. Ad esempio al pesce di Babele – una specie di piccola creatura che, entrando nell’orecchio dell’interessato, funziona come traduttore universale – si è ispirato il traduttore di AltaVista, Babelfish; inoltre il computer scacchistico Deep Thought della IBM (primo computer capace di battere un Grande maestro internazionale in un match) deriva il suo nome da Pensiero Profondo, il supercomputer presente nel racconto.
La serie completa, pubblicata in Italia da Urania, è formata da:

  • Guida galattica per gli autostoppisti
  • Ristorante al termine dell’Universo
  • La vita, l’universo e tutto quanto
  • Addio, e grazie per tutto il pesce
  • Praticamente innocuo


Eoin Colfer, autore della popolare serie Artemis Fowl, è stato incaricato di scrivere il sesto libro della serie, basandosi sugli appunti di Adams con il consenso della vedova. Il romanzo, che si chiama And An Other Thing... ("E un'altra cosa..."), è stato pubblicato nel Regno Unito e negli Stati Uniti nel 2009 e tradotto in italiano nel 2010 per Mondadori.

Proprio come per il Necronomicon di Lovecraft (di cui abbiamo parlato QUI), anche nella Guida abbiamo a che fare con uno pseudobiblion, ovvero di un “libro nel libro”: infatti nel romanzo la Guida viene citata più volte e il volume è farcito di diversi estratti di questa sorta di enciclopedia elettronica pensata per gli autostoppisti dello spazio.

È curioso notare che Adams stesso, negli anni dei suoi studi a Cambridge, fece l'autostoppista dall'Europa a Istanbul, adattandosi a svolgere vari lavori lungo il percorso per mantenersi durante il viaggio.
Nel 1970 lasciò gli studi per dedicarsi alla carriera di scrittore e fu coinvolto nella realizzazione di alcune serie televisive inglesi da John Lloyd e Graham Chapman, uno dei membri dei celebri Monty Python, collaborando nella stesura di alcuni pezzi umoristici. In seguito lavorò come sceneggiatore per la BBC, curando soggetto e copioni per la storica serie Doctor Who. La scrittura non gli permetteva per il momento di mantenersi, quindi il giovane si approcciò a diversi lavori, tra i quali il lavapiatti e la guardia del corpo.

Il successo letterario di Adams arrivò nel 1979 con la pubblicazione della Guida galattica per gli autostoppisti, romanzo riadattato dall'omonima serie radiofonica, in cui le tematiche della fantascienza umoristica e surreale si intrecciano a spunti di riflessione filosofica. Con quest'opera arrivò subito alla prima posizione nella classifica dei bestsellers inglesi e la popolarità portò Adams a diventare il più giovane autore a ottenere il premio Golden Pen nel 1984. Adams fu anche un prolifico autore in quasi tutti i tipi di produzione mediatica: film, telefilm, videogiochi, romanzi, racconti, saggi scientifici, musica e produzioni radiofoniche. Tra le altre opere da lui scritte, si ricordano i due libri sull'investigatore privato olistico Dirk Gently.
Adams morì l'11 maggio 2001, a soli 49 anni, a Santa Barbara in California, dove viveva con la moglie e la figlia, a seguito di un attacco cardiaco durante un allenamento in palestra. Il 25 maggio, due settimane dopo la morte, i suoi fan organizzarono un tributo, denominato Towel Day (Giorno dell’Asciugamano), che da allora è stato festeggiato ogni anno in tutto il mondo in un modo decisamente paradossale, come sarebbe piaciuto ad Adams, cioè portandosi dietro un asciugamano per tutta la giornata.
Perché? Ecco cosa diceva La Guida dell’asciugamano:

“La Guida Galattica per gli Autostoppisti dice alcune cose sull'argomento asciugamano. L'asciugamano, dice, è forse l'oggetto più utile che un autostoppista galattico possa avere. In parte perché è una cosa pratica: ve lo potete avvolgere intorno perché vi tenga caldo quando vi apprestate ad attraversare i freddi satelliti di Jaglan Beta; potete sdraiarvici sopra quando vi trovate sulle spiagge dalla brillante sabbia di marmo di Santraginus V a inalare gli inebrianti vapori del suo mare; ci potete dormire sotto sul mondo deserto di Kakrafoon, con le sue stelle che splendono rossastre; potete usarlo come vela di una mini–zattera allorché vi accingete a seguire il lento corso del pigro fiume Falena; potete bagnarlo per usarlo in un combattimento corpo a corpo; potete avvolgervelo intorno alla testa per allontanare vapori nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal (un animale abominevolmente stupido, che pensa che se voi non lo vedete nemmeno lui possa vedere voi: è matto da legare, ma molto, molto vorace); infine potete usare il vostro asciugamano per fare segnalazioni in caso di emergenza e, se è ancora abbastanza pulito, per asciugarvi, naturalmente”.


venerdì 25 luglio 2014

W...w...w... Wednesday! (63)

www...wednesdays è stato creato da MizB di ShouldBeReading


What are you currently reading? (Cosa stai leggendo?)
What did you recently finish reading? (Quale libro hai finito di recente?)
What do you think you’ll read next? (Quale libro pensi sarà la tua prossima lettura?)




Anche questa volta in ritardo, ma si rinnova l'appuntamento con W...w...w... Wednesdays! E' passato un mese esatto dall'ultima puntata (in verità una flash è stata postata sulla pagina facebook e su instagram, cliccate sui link per leggere), e nel frattempo ho dato esami e sono finalmente entrata in modalità vacanza - nonostante, chi va all'università, sappia benissimo quanto questo sia un termine relativo... 
Anche le letture sono rallentate, ma da una settimana ho ripreso disperatamente a leggere. Ho quindi finito, dopo I middlestein di Jami Attenberg - di cui scriverò presto la recensione -, Come finisce un libro di Alessandro Gazoia (sì, finalmente l'ho letto), Due punti - ultima opera della Szymborska prima della morte -, La figlia del capitano di Puskin e ieri sera ho terminato Non c'è niente che fa male così, opera prima di Amabile Giusti (anche di questo arriverà presto la recensione). Prima di questi avevo terminato Le relazioni pericolose - che ho trovato spettacolare, consigliatissimo anche il film -, Stoner - su cui sono abbastanza confusa: non mi è piaciuto come mi aspettavo e gli darò un'altra occhiata prima di scrivere la recensione - e Don Giovanni o il convito di pietra di Moliere. 
Questa mattina, al mare, ho invece cominciato L'amante di Marguerite Duras. E' così bello e così breve che credo lo finirò subito. Un po' di più durerà Il demone della teoria di Antoine Compagnon, una lettura altrettanto splendida anche se naturalmente diversissima. 
Venendo al prossimo libro... Oltre all'amatissimo - ehm... - Montesquieu con le sue Lettere persiane in lettura, come da due mesi, per l'esame di letteratura francese, ho deciso di rompere gli indugi e di cominciare Il cardellino di Donna Tartt. O adesso o mai più! 
Ho previsto, comunque, almeno altri quattro libri da terminare entro fine mese: arriverò a 61 battendo il record di letture dello scorso anno - sì, questa è una mia idiosincrasia.
Raccontatemi delle vostre letture estive! 

What are you currently reading?


What did you recently finish reading?

Non c'è niente che fa male così


What do you think you’ll read next?



Lettura sotto l'ombrellone! :)

mercoledì 23 luglio 2014

Recensione: Lo sguardo sulle cose, di V.M. Garsin, A.P. Cechov



LO SGUARDO SULLE COSE
Lo sguardo sulle cose, V.M. Garsin, A.P. Cechov
Corrimano Edizioni
98 pagine, 10.00 euro
Il mestiere dell'editore rimane, agli occhi del lettore inesperto, sempre un po' obliato: il fruitore del prodotto letterario ignora che il libro che tiene in mano è l'esito, in ogni sua parte, di scelte precise che vanno dalla qualità della carta al font del testo.
L'atto poietico, che è quello proprio dell'editore, diventa invece più lampante quando abbiamo davanti un'antologia breve come Lo sguardo sulle cose: l'ordinarietà della creazione editoriale travalica i confini della mera scelta della copertina e si fissa oltre, nell'esperienza molto più emozionante della composizione a mosaico, in cui i singoli tasselli – i racconti – danno vita a un'opera composita e del tutto nuova.
Il titolo deve poi costituire il fil rouge dell'antologia. Quando i testi sono diversi, motivare la cernita e condensarla in un titolo significativo risulta complicato.
Corrimano edizioni si è dunque arrischiata in questa impresa, e l'emozione che io posso immaginare non deve essere stata inferiore alla sua.

Sarà bene partire proprio dal titolo, che fa riferimento alla prospettiva – lo “sguardo” – che Garšin e Čechov hanno sugli eventi del mondo esteriore e interiore, una rappresentazione personale che diventa universale – caratteristica di tutta la letteratura russa, forse la migliore interprete del sentire umano.
Notizie preliminari sono necessarie soltanto sul primo autore: Vsevolod Michajlovič Garšin non è molto noto in Italia, pur essendo stato apprezzato da Tolstoj e da Turgenev e pur essendo stato paragonato a Čechov. La sua vita fu profondamente segnata dall'arruolamento nella guerra russo-turca, che ha lasciato un segno indelebile nella sua produzione – circa venti storie –, e dall'instabilità psicologica. Entrambe le tematiche sono presenti nei racconti propinati: Dai ricordi del soldato Ivanov e Il fiore rosso, la sua opera più matura – quella laddove, fatte le dovute differenze, potremmo individuare affinità tematiche con Čechov.
Nella narrazione di  Garšin colpisce, oltre alla maestosa asciuttezza della prosa che è tipica di molti russi, la riflessione sulla condizione umana, in quei rari momenti in cui l'autore abbandona la descrizione pedissequa dei fatti.

Era una mattina nuvolosa e fredda, piovigginava; gli alberi del cimitero si intravedevano nella nebbia; le cime delle tombe sbucavano oltre i cancelli e le mura bagnate. Marciammo lungo il margine del cimitero, lasciandolo alla nostra destra. E mi sembrò che ci guardasse perplesso attraverso la nebbia. “Perché ve ne andate in migliaia a morire a migliaia di verste in campi stranieri, quando si può morire anche qui, morire tranquilli, stesi sotto le mie croci di legno e le lapidi di pietra? Restate!”
Non restammo. Ci trascinava una forza invisibile e senza nome, la vita umana non conosce forza più potente. Ciascuno di noi avrebbe preferito andare a casa, ma la massa proseguiva, obbedendo non a un ideale di disciplina, non alla consapevolezza di una causa giusta, non a un sentimento di odio per un nemico sconosciuto, ma a quella forza invisibile e istintiva che ancora a lungo condurrà l'umanità verso la guerra, ragione prima di ogni tragedia, di ogni dolore umano.

Moltissimi aspetti della vita militare vengono sviscerati: la fatica delle marce e delle giornate negli accampamenti, la rigidità del clima, le relazioni con i compagni, la violenza e la morte. Il dilemma sulla ferocia dei superiori verso i subalterni non si scioglie con la giustificazione della frustrazione personale o dovuta alle particolari condizioni dei soldati: un uomo colto, descritto persino “di buon cuore”, può picchiare selvaggiamente un soldato per una lievissima mancanza. Non è dato sapere per quale motivo, e se sia la guerra ad abbrutire o l'animo umano a permanere in quello stato di malvagia soddisfazione che emerge solo quando può esercitare il potere.
Ma queste domande alla fine non contano: la morte incombe sui soldati, “carne da cannone”. È qui che spicca la contraddizione della condizione cameratesca, la consapevolezza della propria trascurabilità di soldati e l'importanza della fedeltà al posto e soprattutto allo zar:

E lui sapeva che eravamo pronti alla morte. Vide quelle file di uomini dalla spaventosa risolutezza passargli innanzi quasi correndo, uomini del suo povero Paese, poveramente vestiti, rozzi soldati. Sentiva che tutti loro andavano incontro alla morte, calmi e senza che ne fossero responsabili. Sedeva, lui, in sella a un cavallo grigio e immobile, le cui orecchie erano tese alla musica e alle frenetiche urla di entusiasmo.

La guerra è un male inevitabile, “ragione prima di ogni tragedia, di ogni dolore umano” e, davanti al dramma della morte del nemico, anche l'orgoglio e il patriottismo trovano un posto marginale, perdendo di importanza.

Dai ricordi del soldato Ivanov è il racconto più lungo e grave della raccolta. Risultano più snelli gli altri due, Il fiore rosso e Una crisi nervosa, accomunati da una venatura di follia. Se nel primo caso  Garšin descrive la lotta immaginaria di un malato mentale, che si crede eroe delle sorti del mondo, contro tre papaveri “malvagi” – responsabili del sangue versato degli innocenti e per questo di colore rosso –, nel secondo la follia di Čechov è molto più sottile e meno irreversibile.
La sensibilità del protagonista, Vasil'ev, lo spinge a prendere a cuore la problematica della prostituzione, a lui palesatasi dopo un giro in alcuni bordelli assieme agli amici totalmente indifferenti. Ricorre il dilemma, di sveviana memoria, sulla sanità e la malattia – quest'ultima spesso ricorrente in Čechov: le crisi nervose – tanto frequenti in Dostoevskij – appaiono inspiegabili per gli amici “sani” di Vasil'ev, che non percepiscono la portata della tragedia femminile – né questa è nota alle stesse prostitute:

“C'è il vizio”, pensò, “senza la consapevolezza della colpa, né la speranza della salvezza. Vengono vendute, comprate, affogano nel vino e nell'abominio, e loro, manco fossero pecore, ottuse e indifferenti, non capiscono. Dio mio, Dio mio!”

Ci risparmieremo una riflessione, squisitamente personale, riguardo l'oggetto della sollecitudine di Vasil'ev: non solo la sofferenza e il dolore morale delle “donne perdute” – che d'altronde sembrano vivere tra gli agi –, ma anche e – forse soprattutto – la vergogna del vizio.
La prostituzione viene vista nell'ottica dell'ordine naturale delle cose e tutti i possibili rimedi escogitati da Vasil'ev risultano inattuabili. Gli amici e persino il dottore non comprendono la disperazione del protagonista, che tocca temi profondi:

“La vostra medicina dice che ognuna di queste donne muore prematuramente di tubercolosi o di altro; le arti ci dicono che moralmente muore anche prima. Ognuna di loro muore perché nel corso della vita intrattiene, in media, cinquecento persone. La uccidono in cinquecento. E fra questi cinquecento ci siete anche voi! Ora, frequentando, voi due, questo e altri luoghi simili duecentocinquanta volte nel corso della vita, alla fine avrete ucciso una donna ogni due. È evidente, no? È orribile, no? In due, in tre, in cinque uccidere una stupida donna affamata! Ma non è orribile, Dio mio?”

La crisi nervosa di Vasil'ev si esaurisce in breve tempo, ed egli torna “lucido”. Svaniti i vapori della follia, il rumore delle carrozze smette di irritarlo e il cuore si fa più leggero. È tornato alla normalità, all'accettazione stoica, guarito dalla stessa scienza che, inerme e incarnata nella figura del dottore, guarda freddamente il caso clinico di Vasil'ev senza badare al caso umano.
La preferenza della sottoscritta va al racconto di Čechov, anche se un plauso va fatto all'abilità propria di  Garšin di tratteggiare, con lingua pura e immediata, le situazioni più delicate e le illusioni più dolorose. D'altro canto lo sguardo acuto di Čechov e la capacità di ribaltare le convinzioni della società, anticipando i temi del Novecento, nonché la limpidezza quasi innocente con cui queste problematiche vengono esposte, mi spingono a prediligerlo.
Il volume complessivo è, per concludere, degno di nota: la traduzione è ottima, la fattura complessiva del libro cartaceo ben curata, e ha il pregio non indifferente di diffondere l'opera di un autore come  Garšin, ancora quasi sconosciuto nel nostro paese. Gli amanti della letteratura russa non potranno certo farselo sfuggire.

Voto: 






lunedì 21 luglio 2014

Recensione: Nome in codice: Diva di Jason Matthews



Nome in codice: Diva, Jason Matthews
De Agostini
541 pagine, 17,90 euro
BookMe, nuovo marchio di De Agostini Libri dedicato ai titoli di narrativa per adulti e cross over, fa il suo esordio con - titolo originale - Red Sparrow. Disponibile nelle librerie italiane dal 10 giugno, questo spy thriller dal ritmo incalzante racconta un’ipotetica operazione di spionaggio e controspionaggio ambientata ai giorni nostri.
Punto di forza di Nome in codice: Diva è l’affidabilità e la credibilità dell’autore, Jason Matthews, che pur essendo alla sua prima esperienza come scrittore può vantare oltre trent’anni di lavoro come agente alla CIA, la Central Intelligence Agency. Oltreoceano il libro ha già riscosso grande successo, vincendo il premio Edgard Award 2014 come miglior romanzo americano d’esordio, e sembra inoltre che i diritti siano stati recentemente acquistati dalla 20th Century Fox per una trasposizione diretta da regista David Fincher.
Tralasciando marketing e pubblicità, il libro ha il pregio di rendere semplici degli argomenti altrimenti ostici, come i rapporti e le gerarchie di CIA, NSA e FBI (per la parte americana) e SVR, FSB e GRU (per quella russa), spiegando sigle, legislazioni, procedure operative e rendendo avvincenti anche lunghe riunioni, scrittura cirillica e cablogrammi in codice. Gli episodi di azione, centellinati lungo tutto il volume, sono spettacolari e molto realistici, permettendo alla storia di non soffrire mai cali di tensione.

Altro punto di forza risiede nel personaggio principale, Dominika Egorova. Ballerina mancata per via di un brutto infortunio, ora agente dell’SVR, possiede una dote particolare: la sinestesia, ovvero la capacità di capire - o meglio percepire - le intenzioni e i caratteri dei suoi interlocutori grazie ai colori delle aure che vede emanarsi attorno ai volti delle persone. Il suo essere in bilico fra la fedeltà alla Russia e l’insofferenza verso la corruzione e il nepotismo delle alte gerarchie del suo stesso Paese la rende un personaggio fuori dagli schemi, decisamente anticonvenzionale, sempre sul ciglio di un precipizio.
Nathaniel Nash, l’altro protagonista del libro, risulta invece un personaggio più tradizionale, con meno contraddizioni e relativamente “piatto”: giovane agente della CIA con il pensiero rivolto alla carriera, arriva ben presto a mescolare professionalità e amore, come da classico copione del buon agente segreto che siamo stati abituati a conoscere attraverso il cinema (vedi 007).

Attorno a Nash e Dominika gravitano diversi personaggi secondari, alcuni davvero ben caratterizzati, con un’unica pecca: è fin troppo evidente l’atteggiamento filoamericano dell’autore. Non si trova, infatti, nessun personaggio positivo all’interno dei servizi russi, dipinti come malvagi e corrotti, mentre la controparte americana, in particolare la CIA, è dipinta come dura ma “illuminata”.
Decisamente coraggiosa e poco politically correct la scelta di far comparire nel romanzo, come personaggio marginale, anche il presidente russo Vladimir Putin che nel libro, per usare un eufemismo, non fa sicuramente una bella figura.
La scrittura di Matthews è dunque molto americana, nel bene e nel male. Spettacolare e cinematografica, gli permette di costruire una trama ricca di suspense, sparatorie e inseguimenti, ma al contempo risulta molto lineare nella forma e con un linguaggio poco innovativo.
Al centro di tutto ci sono le operazioni di spionaggio e controspionaggio, talpe da scovare e nuovi agenti da reclutare. Nel presentare queste atmosfere l’autore, grazie alla sua esperienza lavorativa, riesce a dare il massimo, denotando un talento particolare nel descrivere azioni movimentate e veloci con grande realismo.

Un’idea molto gradevole e simpatica è quella di presentare, al termine di ogni capitolo, la ricetta di uno dei piatti assaggiati dai personaggi nelle pagine precedenti. In totale quarantuno ricette provenienti da tutto il mondo, spiegate in maniera semplice e chiara, come se fossero appunti copiati dai personaggi da un libro di cucina.

Nome in codice: Diva è senza dubbio un libro da leggere per gli amanti dei thriller, una storia di spie e agenti segreti intensa e cinematografica, senza cali di tensione, con una scrittura diretta e semplice. 

Voto: 


Jason Matthews
è stato per oltre trent’anni un agente della CIA, ha coordinato operazioni di intelligence per la sicurezza nazionale e ha prestato servizio in varie parti del mondo, reclutando spie nell’Europa dell’Est, in Medio ed Estremo Oriente. Ha gestito operazioni di controspionaggio negli stati-canaglia volte a sabotare progetti di armamento di distruzione di massa e preso parte ad azioni internazionali di antiterrorismo. Vive nel Sud della California. Questo è il suo primo romanzo.




domenica 20 luglio 2014

Recensione: L'uomo che non poteva morire di Timothy Findley


9788865591130-Luomo-che-non-poteva-morire-Timothy-Findley
L'uomo che non poteva morire - Timothy Findley
Beat Edizioni
624 pagine, 10.00 euro
Per recensire L'uomo che non poteva morire bastano due parole, due aggettivi semplici ma straordinariamente evocativi: bello e difficile. Sì, perché questo librone (più di seicento pagine!) di Timothy Findley è veramente bello: un lungo percorso narrativo imprevedibile e coinvolgente, dove il protagonista Pilgrim, raffinato inglese che desidera disperatamente morire ma che non ci riesce, anche dopo numerosi tentativi di suicidio, è quasi un'allegoria della bislacca condizione umana. Chi è questo Pilgrim? È un immortale, ma non un highlander, né un vampiro o uno stregone: non muore, ma nemmeno continua a vivere come un'unica identità umana, lui esiste fin dagli albori della storia (o no?), “passando” da una vita all'altra. Tuttavia non si può parlare di reincarnazione, tra un'esistenza e l'altra non vi è l'esperienza fatale del trapasso, bensì l'oblio, il lungo sonno. E questa sua condizione formidabile di essere immune al destino ultimo dell'umanità non è per lui motivo di forza o felicità: Pilgrim è un animo tormentato, è tediato, è un condannato, stanco di vivere da sempre, sempre diverso ma sempre uguale... ha vissuto tantissime vite in tantissime epoche che si sono succedute; è stato ricco, povero, donna, italiano, spagnolo, francese; ha incontrato i grandi della storia; ha conosciuto il lato peggiore di Leonardo da Vinci nei panni della Monna Lisa, è stato amico di Wilde, è entrato in contatto con il misticismo di Teresa d'Avila nei panni di un giovane pastore disabile.
Se ci si accosta all'immortalità di Pilgrim con l'occhio della scienza, ecco che il romanzo si fa difficile: il protagonista, reduce dall'ennesimo suicidio da cui si rimette più o meno velocemente, viene affidato a uno dei nomi più importanti della psichiatria mondiale, Carl Gustav Jung, altro grande co-protagonista dell'opera, che ovviamente non può credergli, ma ricerca una spiegazione razionale. Così l'autore introduce l'elemento dell'enigma e, mano mano che ci si inoltra nell'intricata e splendida foresta della prosa di Findley, si assiste alla “lotta” fra il Pellegrino (Pilgrim) e il grande psichiatra, la lucida follia delle parole del gentiluomo inglese (follia se decidiamo di affidarci alla ragione) contro il tentativo dello svizzero di riportare il tutto sul binario della patologia mentale, deviazione della normalità potenzialmente guaribile. 

Con l'avanzare del romanzo, la figura di Jung prende corpo attraverso le disordinate pulsioni sessuali e le ossessioni di cui è preda, e che sono rappresentate da una voce interiore, ostile e sempre pronta a rimproverarlo e a umiliarlo, una voce forse solleticata dalla presenza e dalla vicenda di Pilgrim. Degna di nota è anche, a parer mio, la scelta di ambientare la vicenda nel 1912, due anni prima dello scoppio del primo conflitto mondiale e del baratro sanguinoso che sarà chiamato Secolo Breve, nella neutrale e sonnacchiosa Zurigo (principalmente nella clinica svizzera di Burghölzli) così immota e a suo modo inquietante.

L'uomo che non poteva morire piacerà a chi in un romanzo cerca una “sostanziosa evasione”; piacerà ai curiosi  - perché il mistero dell'immortalità è un tema che affascina per la sua natura inafferrabile; piacerà a chi apprezza storia e letteratura e potrà godere dei molteplici riferimenti culturali ed europei degli ultimi seicento anni... Perché allora non lo valuto al massimo? Per via di uno scivolone, l'introduzione di elementi poco congruenti con il contesto storico. “Durante l'assedio di Troia, noi troiani avevamo la fama di decadenti. Mentre gruppi di aristocratici si radunavano sulle mura per osservare il massacro, schiavi in giacca bianca servivano il tè”. Giacca bianca e tè a durante l'assedio di Troia? Suona un po' stonato, anche se questa stonatura non risulta tale da rovinare la pagina dello spartito. 




Voto: 


sabato 19 luglio 2014

Recensione: Le torri di Kar El di Pigi Rimica



Le torri di Kar El, Pigi Rimica
Logus Mondi Interattivi
4,99 solo ebook
Le torri di Kar El di Pigi Rimica è un progetto pubblicato dalla Logus Mondi Interattivi e realizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo del Comune di Cagliari. È una storia illustrata, “non un libro di favole”, ma poco importa, perché come ci dice lo stesso libro a volte “la realtà è molto più fantastica della fantasia”.

Leggo sul sito della casa editrice che l'idea era quella di realizzare una guida sulla Sardegna per bambini. Questa è un’opera nata in rete e Pigi Rimica è un collettivo costituito da cinque persone. Alcuni di loro non si sono mai incontrati fisicamente, e l’illustratore Riccardo Beatrici non è nemmeno mai stato a Cagliari; eppure l’autrice del testo, Carla Cristofoli, dice, nelle pagine del blog della casa editrice, che “nessuno come lui è riuscito a vedere la città in una luce così magica e suggestiva”.

Graficamente parlando la storia è molto piacevole, le illustrazioni sono vivaci e la linea del disegno è morbida; l’aspetto, tenero. È una storia da guardare, da leggere e farsi leggere. La narrazione si snoda piacevolmente con frasi semplici, evocatrici di un mondo passato e presente che le immagini sanno interpretare egregiamente grazie anche all’uso di colori intensi.
La voce narrante è avvolgente e ti accoglie fin dalle primissime righe:

Giovane amico e amica, ti parlerò di Kar El, la Regina della Sardegna, la città di Dio, e delle sue torri, che svettano severe nel cielo. Ti racconterò le avventure di eroi coraggiosi, pronti a combattere per la libertà. Vedrai uccelli rossi di fuoco e le montagne di sale del Molentargius. Incontrerai angeli guerrieri e demoni malvagi. Ti farò conoscere Alina, la giovane dai capelli stregati e il suo amico Alban, venuto dalla Francia e dalla bella Parigi”. “Sei pronto a salpare? E allora, apri queste bianche vele e partiamo!

Le prime immagini sono uno sguardo dall’alto sull’isola della Sardegna, circondata dal Mediterraneo, un grande mare solcato nell’antichità da tanti popoli; vediamo le bocche di Bonifacio a nord, nelle cui calde acque le balene vanno a riscaldarsi in inverno, e poi scendiamo a terra per conoscere i nostri due protagonisti.

Prima di salpare per la Sardegna ci viene presentato Alban, un giovanissimo turista parigino, amante della storia dei popoli e delle civiltà, un curioso esploratore che rimarrà abbagliato dalla bellezza di Cagliari. Proprio come il giovane Alban non sono mai stata a Cagliari e quindi il suo viaggio è stato anche il mio. Ma cosa lega il piccolo Alban alla Sardegna? Il quadro appeso nel suo appartamento è il ritratto di un eroe della rivoluzione sarda: Giovanni Maria Angioy, che lottò strenuamente per la liberazione dell’isola dal dispotismo, fu costretto a scappare dalla Sardegna e trovò poi rifugio in Francia nel lontano 1796. Qui cercò, invano, appoggi anche presso Napoleone e visse fino alla fine dei suoi giorni assistito dalle amorevoli cure di Madame Dupont, la pro pro zia di Alban. Questo è l’espediente narrativo di cui si serve l’autrice per lo svolgimento generale del racconto e la curiosità spingerà Alban a intraprendere il viaggio verso la Sardegna. Non più bambino ma ormai ragazzino, per lui è venuto il momento di conoscere questa magnifica isola. E mentre il piccolo francese guarda la città di Cagliari dalla nave che sta per approdare sull’isola, il piccolo lettore inizia a conoscere qualcosina del suo glorioso passato, dei popoli che l’hanno abitata e delle opere che vi hanno realizzato: il quartiere commerciale di Marina o La Pola, opera soprattutto di Pisani e Aragonesi, l’Anfiteatro romano, le sue strette viuzze, il castello e il Ghetto.
Alina è una bambina sarda dai lunghi capelli neri e ribelli che parlano e si muovono. La vediamo intenta a leggere il suo libro, ma ecco che al suono del campanello balza giù dalla poltrona per andare ad aprire il postino. C’è una lettera proprio per lei: Alban è in arrivo. Insieme ai due amici visitiamo la città, conosciamo i suoi monumenti e la storia che racchiudono. Prima le due torri gemelle: la Torre di san Pancrazio e la Torre degli Elefanti. Da lassù il panorama è meraviglioso e si fanno incontri magici. A cavalcioni di un fenicottero rosa, che la piccola Alina chiamerà con il suo “sulittu”, voleremo lontano fino allo stagno del Molentargius, andremo a vedere la spiaggia del Poetto e la Sella del Diavolo, il Golfo degli angeli e conosceremo i miti e le leggende che li avvolgono, nonché alcune curiosità sarde.

Questo è il primo episodio di quella che sarà una trilogia dedicata all'antica Cagliari. Il libro opera una sintesi di generi: fantasy, storico e turistico. Ripercorrere alcune leggende e miti di Cagliari, avventurarsi nella cultura popolare, visitare i monumenti della città ricordando gli avvenimenti storici che li hanno visti protagonisti mi sembra un’idea vincente e un buon modo per insegnare la storia ai bambini divertendoli. Mi sono molto piaciuti questi due protagonisti che se ne vanno a zonzo per Cagliari e dintorni. In loro compagnia mi sono avventurata in un luogo che per me è ancora ignoto e che spero come Alban di conoscere presto. Il libro si conclude con una presentazione della casa editrice e dell’autore, la cui figura era già stata presentata a inizio storia: uno stratagemma che porterà il piccolo lettore a vivere la storia come qualcosa di molto reale.

Voto: 

La casa editrice
La Logus Mondi Interattivi opera in vari ambiti tra cui l’editoria digitale investendo su nuovi autori; è impegnata sul fronte dell’educazione ambientale, pubblica guide per valorizzare il territorio in formato ebook e audioguide installabili su qualsiasi smartphone; inoltre realizza piattaforme e applicazioni destinate a utenti non udenti, ipo- e non vedenti.
L’autore
Pigi Rimica è un nome di fantasia formato con le sillabe iniziali dei nomi degli autori del progetto. Pier Luigi Lai (publisher), Giancarlo Orrù (ebook design), Riccardo Beatrici (illustrazioni e cover), Michela Pia (comunicazione) e Carla Cristofoli (testi e sceneggiatura).


Recensione a cura di Paola Buoso.

venerdì 18 luglio 2014

Recensione: La mia amica ebrea di Rebecca Domino


La mia amica ebrea
La mia amica ebrea, Rebecca Domino
ebook Lulu
294 pagine, 1.99 euro
La mia amica ebrea - Rebecca Domino
Josepha è una ragazza tedesca di quindici anni, la cui vita viene sconvolta quando una famiglia di ebrei si nasconde in casa sua. Fra loro c’è Rina, una quindicenne apparentemente diversa da Josepha. Perché lei è ebrea. Ma, giorno dopo giorno, mentre imperversa la Seconda Guerra Mondiale, fra le due ragazze nasce una delicata, bellissima amicizia, che sfida le leggi dei nazisti e le paure. Ma sarà quando Josepha perderà la sua casa e vedrà la sua vita cambiare per l’ennesima volta, che si renderà conto di voler lottare e rischiare tutto pur di salvare Rina…











Amburgo, 1943. Il caldo afoso del mese di maggio non è altro che l’assaggio di un’estate ormai alle porte. Tra compiti, risa e chiacchiere la vita di Josepha, detta Seffi, e delle sue più care amiche prosegue con una certa normalità nonostante, ormai da anni, l’orrore di una guerra sconsiderata semini ovunque morte e distruzione. Seffi, protagonista della vicenda e voce narrante,  è una ragazzina di quindici anni che risiede nel quartiere di Wandesbek insieme al padre  – appena tornato dal fronte a causa della perdita di un arto inferiore  –,  alla madre Sabine  – dedita per lo più al cucito e alla cura della casa  – e al fratello maggiore Ralf, ragazzo di quasi diciotto anni che è entrato a far parte della Gioventù Hitleriana. 
Una sera una famiglia ebrea bussa alla loro porta in cerca di ospitalità, sconvolgendo in questo modo l’equilibrio familiare tanto difficilmente mantenuto. Superato un iniziale momento di confusione, i tre ebrei, una donna e i suoi due figli Uriel e Rina, vengono accolti e sistemati in soffitta a patto che Ralf venga tenuto all’oscuro dell’accaduto. Dapprima la ragazzina è attraversata da sensazioni di disgusto e sconcerto, in quanto obbligata a condividere la casa con degli estranei, oltretutto ebrei, in seguito invece modificherà il proprio atteggiamento, incoraggiata in questo dal padre, l’unico della famiglia a non essere ostile agli ospiti.

– Siamo tutti uguali, Josepha – le sue labbra s’increspano in un sorriso – Dobbiamo essere noi a capire che non ha senso lottare gli uni contro gli altri. Voglio che tu pensi a queste parole, Josepha: so che tu non sei come Ralf, so che non credi a quella propaganda che sentiamo ovunque, da anni –. Annuisco, perché è quello che papà si aspetta da me, e anche perché è vero.

A poco a poco Seffi si avvicina a Rina, anche lei quindicenne, al principio scambiando qualche fugace parola, in un secondo tempo attraverso una vera e propria corrispondenza epistolare, infine diventandole amica intima e affezionata. In questo modo la ragazza scoprirà una maggiore affinità con l’amica ebrea, appassionata di libri e come lei poco interessata ai ragazzi, piuttosto che con le amiche tedesche, ragazze sciocche e superficiali, rispetto alle quali si sentirà sempre più distante.
Dotato di sequenze dialogiche ben articolate e di una certa scorrevolezza ma anche di una scrittura ancora acerba e a tratti imprecisa,  La mia amica ebrea pone l’attenzione su uno dei periodi più infelici della storia. Come altri romanzi che affrontano lo stesso argomento viene prediletta la forma diaristica, con la differenza che il punto di vista adottato è questa volta quello di una ragazzina tedesca  – esempio dei cosiddetti eroi silenziosi, che meritano di essere ricordati per aver salvato decine di ebrei mettendo a repentaglio la propria vita. Il racconto, abbastanza straziante, affronta i temi più disparati e principalmente legati alla guerra, primi tra tutti la fame, la povertà, la paura della morte, la speranza in un futuro migliore, l’amicizia, il razzismo. 
Uno di quelli su cui è importante soffermarsi è rappresentato dall’incredibile potere che ha avuto la propaganda nazista, condotta dal regime con aggressività ed estrema ferocia, sulla mentalità tedesca dell’epoca, al punto tale da influenzarla radicalmente. Ne è la conferma il fatto che su sette milioni di abitanti soltanto una minima parte, circa in ventimila, si è opposta all’antisemitismo. Anche Ralf subisce il fascino del nazismo, nel quale crede ciecamente riponendo in esso somma fiducia. Infatti, senza farsi troppi scrupoli, sarebbe capace di denunciare perfino il padre, reo di nascondere in casa propria degli ebrei. Assistiamo così a una sorta di ribaltamento del rapporto padre-figlio: è Ralf, paradossalmente, a tenere le redini della situazione, mentre il signor Faber, uomo mite e ragionevole, è intimidito dalla durezza delle opinioni del figlio. Al riguardo Seffi sembra invece disorientata: da un lato il fratello cerca di persuaderla circa la giustezza dell’ideologia nazista, proponendole letture adeguate in grado di fugare ogni suo dubbio, dall’altro il padre le spiega che le distinzioni di razza, diffuse dal sistema, sono del tutto inesistenti. Ponendosi domande, analizzando i fatti, liberandosi dai pregiudizi e diventando padrona di se stessa e della propria mente, la protagonista preferirà seguire il percorso più impervio e tortuoso, la via che la introdurrà all’età adulta e la condurrà verso una matura e piena consapevolezza, cosa che fa de La mia amica ebrea un romanzo di formazione oltre che un romanzo storico. È così che, a mio parere, aiutando Rina, Seffi aiuta anche se stessa: rifiutando infatti il pensiero nazista imperante e prendendo una posizione, forgia il suo carattere, la sua personalità, e sviluppa degli ideali di uguaglianza e solidarietà, con la solenne promessa di non tradirli mai e di difenderli valorosamente fino alle estreme conseguenze.

A cura di Laura Giuntini.


giovedì 10 luglio 2014

Blog tour Diari dal sottosuolo: intervista a Loredana La Puma




L’agghiacciante nenia di una sirena assetata di sangue. Una giovane strega desiderosa di vendetta che invoca demoni oscuri. Un uomo disposto a tutto pur di ricordare il suo passato. Città immaginarie, portali che separano il quotidiano dall’incubo. Echi provenienti dall’abisso dell’animo umano e che affiorano minacciosi come ombre. Tra le pagine di questi racconti, tutto può accadere. Una straordinaria antologia che coglie con un unico sguardo il mondo del sovrannaturale. Diari dal Sottosuolo ci inizia al perturbante confronto con un universo dalle tinte cupe e dai labili confini, quello dello Urban Fantasy, nel quale risuonano le voci di dieci talentuosi autori italiani che credono nella suggestione del diverso e nel fascino dell’orrore.




È uscita il 28 aprile la nuova antologia di Diario di Pensieri Persi, questa volta dedicata interamente all'urban fantasy. Diari dal sottosuolo non è una raccolta qualsiasi: raccoglie infatti i migliori racconti pervenuti al concorso Chrysalide indetto nel 2013 da Mondadori, e contiene le storie di Stefania Auci, Sabrina Grappeggia Bernard, Giacomo Bernini, Romina Casagrande, Gisella Laterza (che ha partecipato anche al nostro ultimo Christmas Tales), Laura MacLem, Giulia Marengo, Loredana La Puma, Eugenio Saguatti e Federica Soprani.
Ospitiamo per questa tappa del blogtour Loredana La Puma, che non è nuova di Dusty pages in Wonderland: non solo è già stata intervistata nel lontano 2011, ma  sotto pseudonimo ha diverse volte recensito per noi, scrivendo anche una puntata della rubrica I maestri del fantastico. E infatti chi meglio di lei potrebbe parlaci di urban fantasy? Autrice della saga dell'Averon che, nel suo piccolo, ha riscosso un discreto successo, è da anni impegnata nella stesura della sua fortunata tetralogia, ormai quasi conclusa. 
La notte del destino, il racconto fantastico contenuto in Diari dal sottosuolo, sembra l'incipit per un nuovo intrigante libro: una ragazza che non ha nulla da perdere, in procinto di uccidersi, viene fermata da un essere soprannaturale che le offre l'incredibile opportunità di poter controllare il suo destino e di non esserne più vittima. Cosa deciderà di fare la nostra protagonista? 
Non spetta certo a me dirvelo, vi basti l'estratto del racconto e l'intervista a Loredana. 


La notte del destino

Lara provò a sporgersi appena e a guardare in basso. Pessima idea: vertigini, vista offuscata, la strada che sembrava ondeggiare avanti e indietro. Si tirò via di scatto, il fiato corto e il cuore che galoppava come se volesse scapparle via dal petto.
Un tuono risuonò intorno a lei, percorrendo da un capo all’altro quel cielo nero che sembrava così vicino. La città si stendeva ai suoi piedi, enorme, di minuto in minuto più simile a una ragnatela luccicante. Non l’aveva mai vista così.
La ragazza chinò il capo e cominciò a piangere. Le prese così, d’un tratto. Non aveva pianto quando quel giorno era uscita di casa, decisa a chiuderla lì: dring, fine del giro, ora di scendere dalla giostra e grazie tante a tutti! Non aveva pianto mentre saliva sull’autobus che l’avrebbe portata in centro, e neppure mentre sgattaiolava senza farsi vedere in quel palazzo d’uffici.
“Lo vedi quello?” le aveva detto un sacco di volte sua madre quando era bambina. “È l’edificio più alto della città. Prima o poi ti porto sul terrazzo.” Non c’erano mai andate, ovviamente. Lei era fatta così: avrebbe voluto fare mille cose nella sua vita, ma non c’era mai riuscita.
Il pianto si fece più intenso. Adesso Lara singhiozzava senza riuscire a fermarsi. Un altro tuono scosse quel mondo che l’aveva delusa e tradita mille volte. La rabbia, l’angoscia, il terrore del futuro, i sogni infranti… tutto tornava a galla, tutto voleva uscire fuori. Ma era inutile, era come vomitare per poi dover ingoiare tutto di nuovo.
C’era un’unica strada, una sola, e l’incubo senza via di scampo che era la sua vita sarebbe finito.
Il piede destro di Lara si mosse in avanti, quasi dotato di una volontà propria.
«Io aspetterei ancora un momento.» Una voce femminile e matura, dolce e quasi divertita, si era materializzata dal nulla, proprio dietro di lei.
Lara sussultò e si accorse che la luce della grande insegna alle sue spalle proiettava un’ombra che si allungava fin quasi a raggiungerla.
Merda, l’avevano beccata! La ragazza si asciugò le lacrime e si rese conto di stare tremando fino a battere i denti. Per il freddo, la paura, il disappunto… il sollievo!


Interview with...

Loredana La Puma



Ciao, Loredana e bentornata su Dusty pages in Wonderland. La tua esperienza nel mondo editoriale comincia nel 2008 con La Saga dell'Averon, pubblicata da La Penna Blu Edizioni. Nel 2013 partecipi al concorso Chrysalide indetto da Mondadori e vieni scelta da Alessandra Zengo, curatrice di Diari dal sottosuolo, tra i cinque finalisti, approdando infine in questa antologia. Com'è andato e come sta andando il tuo percorso editoriale? Puoi farci un bilancio?

Ciao a voi. È un piacere essere di nuovo vostra ospite!
Per quanto riguarda il mio percorso editoriale devo dire che finora sono stata davvero fortunata: mi sono imbattuta quasi per caso in una casa editrice piccola ma onesta che ha sempre creduto in me e che, dal lontano 2008, continua a promuovermi senza sosta. Negli anni i libri della mia trilogia (adesso tetralogia, in effetti) hanno conquistato una propria fetta di affezionati lettori (pochi ma molto buoni, come dico sempre). L’anno scorso, infine, l’avventura del concorso Chrysalide che si è conclusa in maniera emozionante e del tutto inattesa. Era la prima volta che partecipavo a un concorso letterario ed era la prima volta che mi cimentavo in un racconto, per cui tutto mi aspettavo tranne che di ritrovarmi nella rosa dei cinque finalisti della mia sezione, soprattutto considerando l’elevato numero dei partecipanti. Ancora più entusiasmante è stato il successivo progetto Diari dal sottosuolo, per cui non smetterò mai di ringraziare Alessandra e il resto dello staff di Diario di Pensieri Persi.

Sei nata come autrice di urban fantasy, stai continuando per questa direzione e d'altronde sei una grande appassionata del genere. Hai mai pensato di discostarti da questa linea e intraprenderne una nuova?

L’idea di miscelare realtà e fantasia mi ha sempre affascinato, probabilmente perché sono convinta che, al di là delle apparenze, ci sia davvero qualcosa di più, qualcosa che magari definiamo misterioso o soprannaturale solo perché ancora non ne comprendiamo i meccanismi. Pertanto credo che il mio amore per questo genere non tramonterà mai, sia come lettrice che come autrice. Non escludo, però, di fare qualche capatina in ambiti limitrofi e, infatti, ho nel cassetto i primi capitoli di un romanzo fantasy decisamente più “classico”, che forse riprenderò in mano una volta conclusa la saga.

Il tuo racconto affronta la tematica del libero arbitrio e del destino. Com'è nata l'idea? Ma soprattutto, tu credi nel destino?

Purtroppo ci credo. Dico purtroppo perché, proprio come i “Viandanti” del racconto, preferirei che non esistesse e che la nostra libertà di scelta fosse totale, ma ho sempre avuto la brutta sensazione che in qualche modo sia già tutto prestabilito (spero di sbagliarmi, ovviamente). Questo racconto mi ha permesso di trattare dei temi che mi stanno molto a cuore e, non a caso, anche se in maniera meno diretta, finiranno per essere presenti anche nell’ultimo volume de La Saga dell’Averon. La Notte del Destino è nato appunto dalla volontà di affrontare queste tematiche e da alcune esperienze personali.

Non possiamo non cogliere l'occasione per chiederti informazioni sulla tua seguitissima opera. Hai deciso di dividere l'ultimo volume in due parti, la prima delle quali è uscita da poco e consta di ben settecento pagine. Quando uscirà l'episodio definitivo? Puoi darci qualche anticipazione sulla trama?

L’episodio definitivo (Il Mondo di Atlan - Parte Seconda) è attualmente in lavorazione. Per quanto riguarda i tempi questa volta ho deciso di non azzardare date. Ormai ho capito e accettato che i tempi creativi, così come quelli editoriali, sono imprevedibili. Spero solo che i miei fedeli lettori continuino ad avere la pazienza dimostrata finora. Per quanto riguarda la trama, invece, posso solo dire che finalmente tutti i nodi (e sono parecchi, più di quanto immaginassi) verranno al pettine e che ci saranno alcune grosse sorprese.

Ti ripropongo, per i nuovi lettori, una vecchia domanda: quali sono gli autori preferiti di Loredana La Puma? A chi si ispira, in particolar modo?

Quando circa dieci anni fa (come mi sento vecchia) iniziai questa avventura, il mio mito in assoluto era J.K. Rowling (seguita a ruota dal buon Tolkien). Sono stati i suoi romanzi a far nascere in me il desiderio di creare un mondo fantastico tutto mio e non a caso ne Il cerchio si è chiuso, il primo volume della mia Saga, si respira un’atmosfera alquanto “potteriana”. Nel corso del tempo, ovviamente, pur continuando a nutrire grande amore per la saga del famoso maghetto, i miei interessi letterari nel campo del fantastico si sono allargati e di pari passo si è esteso il parco degli autori da cui “assorbo” qualcosa. I miei preferiti cambiano spesso: praticamente ogni volta che scopro un romanzo entusiasmante. Di recente ho cominciato ad apprezzare molto Scott Westerfeld. Spostandoci verso un target più adulto, sono caduta anch’io nella trappola de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (di cui probabilmente non vedremo mai la fine, se Martin continua di questo passo), mentre nel settore fantascientifico sono rimasta stregata da Dan Simmons e dalla sua tetralogia I Canti di Hyperion. Amo gli scrittori che riescono a creare mondi immensi, vividi e coerenti, in cui ci si può perdere e sprofondare al punto da dimenticare tutto ciò che si ha intorno. È questa la sensazione che più amo quando leggo e il mio desiderio più grande è quello di riuscire, come autrice, a regalare ai miei lettori qualcosa di anche lontanamente simile.




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