giovedì 29 gennaio 2015

Recensione: Le mie due vite di Jo Walton




Le mie due vite, Jo Walton
Gargoyle Books
314 pagine, 18.00 euro
 Anche l'Italia ha potuto conoscere, grazie alla casa editrice Gargoyle, una delle maggiori autrici attuali di fantasy e fantascienza: Jo Walton, già insignita nella sua carriera di premi come il Nebula Ward o lo Hugo Award. Quest'anno è uscita la sua ultima fatica, Le mie due vite, un romanzo che riprende a parlare di tematiche a lei care come l'ucronia o le questioni sociali, e che allo stesso tempo si pone in un'ottica intimista che potrebbe attirare anche coloro che non sono amanti del fantasy. Lo spunto di partenza è, infatti, una situazione che tutti abbiamo provato nella vita: il chiedersi cosa sarebbe successo se, in un determinato momento, avessimo fatto una scelta piuttosto che un'altra. Un progetto ambizioso, quindi, capace di creare alte aspettative nel lettore. Sarà riuscita a realizzarle?

2015. Patricia si ritrova in una casa di riposo, pur essendo circondata dall'affetto di figli e nipoti. È affetta da demenza senile e, stando alla cartella clinica, appare MC, molto confusa. La donna, infatti, non fa solo fatica a ricordarsi della sua vita passata: non sa quale vita realmente le appartenga tra due alternative inconciliabili che si alternano nella sia mente. In una si chiama Trish e ha quattro figli, avuti da un marito incapace di darle amore; in un'altra ne ha tre, cresciuti insieme alla sua compagna, Bee, la chiama Pat. Anche il mondo esterno, poi, non sembra lo stesso.
Quale versione corrisponde alla verità? E sopratutto, quando è cominciata la dicotomia tra l'infelice Trish e la realizzata Pat? In un raro momento di lucidità la vecchia rintraccia quel momento fatidico: l'ultimatum datole dal suo fidanzato, Mark, che le ingiungeva di sposarsi "ora o mai più". La risposta cambierà la sorte sia di Patricia sia del mondo intero.

Avevamo accennato, prima, alle aspettative create da questa premessa così inusuale. E spiace dirlo, ma queste aspettative sono state fortemente disattese. Sintetizzare due vite, infatti, - senza dimenticare la cornice storica del romanzo - richiede più delle trecento pagine qui impiegate, e una struttura piuttosto robusta. Purtroppo, invece, ci troviamo di fronte a un ritmo di narrazione velocissimo, che per esigenze di spazio sacrifica qualunque cosa trovi sul suo cammino.
Passaggi fondamentali nella vita di Trish e Pat vengono liquidati in poche pagine o persino in poche righe: per la prima è il caso, ad esempio, della sua liberazione dal giogo del marito, mentre per la seconda è emblematico come viene delineato l'inizio della sua relazione con Bee. "Frettoloso" è un eufemismo, visto che non ci viene nemmeno mostrato come le due si conoscono e cominciano a entrare in confidenza. A maggior ragione, quindi, appaiono inspiegabili alcune lungaggini come il dettagliato elenco dei negozi presenti in una città dove vanno a vivere Mark e Trish o la cronaca dei numerosi viaggi di Pat a Firenze.
Lo stesso vale per la parte fantascientifica del romanzo, che viene delineata soltanto quando ha un reale impatto sulla vita delle protagoniste e, alle volte, scade in cambiamenti talmente insignificanti da sembrare meri divertissement (ad esempio il Principe Carlo che sposa Camilla negli anni '70). Perplime infine che, ad eccezione delle prime ed ultime pagine, la scena non si sposti mai su Patricia vecchia, che non arriva mai ad affrontare seriamente il suo problema.

Naturale che a farne le spese siano sopratutto i personaggi, piuttosto tipizzati. La contrapposizione Mark/Bee, ad esempio, è tutta a vantaggio della seconda, che sembra essere priva di difetti; l'altro, invece, non ha alcun lato positivo. I timidi spunti di introspezione psicologica arrivano troppo tardi per fare effetto sul lettore. In chiave minore si può dire lo stesso per il resto del cast, dai figli indistinguibili tra loro a Michael, il padre biologico dei bambini di Pat e Bee.
Quello che davvero fa la differenza, però, è la capacità delle due protagoniste di resistere alle avversità della vita. Niente sembra smuoverle, a tal punto che si arriva quasi a dubitare della loro capacità di provare empatia. Non importa quali vicende debbano affrontare, dalla morte del fratello al lesbismo, - nonostante sia cominciata negli anni '50, Pat e Bee non hanno problemi nel far accettare al mondo la loro storia d'amore - fino ad eventi ancora più drammatici. Dopo poche righe di turbamento sono pronte a riaffacciarsi alla vita, sotto gli occhi attoniti del lettore, che si aspettava delle manifestazioni di dolore più profonde. Logicamente in questo modo è difficile che si crei una reale connessione tra il pubblico e i personaggi.

A ben guardare, però, la ragione di questi difetti è una sola: lo stile di Jo Walton. Non è un'esagerazione dire che probabilmente non ci sono, nel romanzo, scene mostrate, e non raccontate. I sentimenti dei personaggi o non vengono analizzati del tutto oppure vengono descritti direttamente al lettore: la reazione di Trish dopo un gesto particolarmente crudele di Mark viene sintetizzata con un "...E lei lo odiava per questo", un lungo ringraziamento al Signore viene spiegato con un ridondante "Pregò..." e quello che Pat prova la prima volta con Bee viene descritto soltanto come "importante". Difficile giustificare tutto questo con il ridotto spazio a disposizione.

Lo spunto, intelligente e originale, de "Le mie due vite" non è sfruttato a dovere dall'autrice, vittima dei propri limiti artistici. Non è da escludersi che la stessa storia, con una durata almeno raddoppiata e delle mani più capaci, sarebbe stata decisamente più notevole. Ma poiché noi non possiamo vivere questa particolare sliding door, dovremo accontentarci di leggere - chi lo desidera - quella di Patricia.


Voto: 





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