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Uomini senza donne, Haruki Murakami
Einaudi
228 pagine, 19.00 euro
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Se questo è Murakami, non capisco perché i lettori lo osannino.
Uomini senza donne è una raccolta di sette racconti brevi del tutto autonomi l'uno dall'altro, ma accomunati dalla ricorrenza delle tematiche. Anche i personaggi, sebbene diversi, non sono che sagome ripetitive e stereotipate: uomini inetti e donne che nella maggior parte delle storie vengono dipinte in modo del tutto negativo.
Drive my car apre la serie di racconti con una storia di solitudini che si incrociano, quella di Kafuku, attore che ha perso la moglie, e Misaki, la sua autista. Il primo è il genere di uomo che accetta l'infedeltà della moglie, non le dice di essere al corrente dei tradimenti di lei perché ha paura di perderla, finché non è costretto a dirle addio quando lei muore a causa di una malattia. Misaki non è altro che il motore dei ricordi di lui, che si snodano a partire dall'impossibilità di superare la perdita di una persona che lo ha demolito. La dipendenza affettiva, non risolta, è una tematica portante di tutte le quaranta pagine, insieme alla spiegazione semplicista dell'infedeltà come opportunità di evadere dal coinvolgimento passionale per approcciarsi, senza alcun motivo, a un altro partner privo di qualsiasi qualità.
Segue Yesterday, storia di un'amicizia ai tempi dell'università che prende il titolo dalla famosissima canzone dei Beatles che uno dei protagonisti tenta di tradurre in giapponese. La cosa paradossale è che Kitaru (il "traduttore", che non riesce ad entrare all'università) tenta di convincere Tanimura a fidanzarsi con Erika, ragazza che Kitaru conosce fin dalle elementari e con il quale è stato fidanzato fino al fallimento del suo esame di ammissione all'università. I tre si perdono di vista, ma Tanimura ed Erika si rivedono dopo anni e si raccontano gli eventi successivi al loro primo incontro. Anche questa è una storia di solitudine e mancate coincidenze.
Ci sono persone che, pur essendo prive di particolari tortuosità e inquietudini, riescono a complicarsi la vita in maniera sorprendente. Inizia così Organo indipendente, tipica storia del donnaiolo che vive numerose relazioni in contemporanea ma perde la sua verve quando incontra una donna che gli fa perdere la testa. Detto in tutta franchezza, quella che, a leggere sul web, è la storia che i più hanno apprezzato, a me sembra davvero banale, tanto più nella parte centrale e finale, compresa la storia dell'organo indipendente.
Il capitolo successivo è ispirato alle Mille e una notte, e prende il nome dalla sua protagonista, ovvero Shahrazād. Questa fa da infermiera ad Habara e con lui intraprende una relazione sessuale, convinta di esser stata, nella vita precedente, una lampreda (una specie di anguilla). Se dovessimo spiegarlo secondo la nostra cultura, la lampreda è l'equivalente della sanguisuga, ed è un po' il modo con cui viene dipinta la donna. Ovviamente l'uomo non è altro che "vittima" della libido di lei, tanto più per il fatto che non trova esaltante il sesso, ma lo ritiene "un rapporto forse non puramente meccanico, ma nemmeno coinvolgente". Inutile dire che qualcosa cambia la situazione.
Kino è la storia dell'omonimo proprietario di un bar, che sta per ottenere il divorzio e che vede la sua vita alterata da una serie di eventi surreali. Ma nonostante l'elemento "magico", forse è una di quelle storie di cui non sentiremmo la mancanza.
Poi c'è Samsa innamorato, esattamente il protagonista de La metamorfosi di Kafka, in una sorta di seguito del racconto dello scrittore boemo dove Gregor impara ad essere umano. Murakami qui non regge il confronto con l'originale, rischiando di cadere, in alcuni punti, nella banalità e ridondanza più profonda.
In ultimo, il racconto che dà il titolo alla raccolta, nel quale un uomo viene a sapere che l'ex fidanzata è morta suicida. La notizia lo porta a ripensare alla loro storia e a farsi una teoria sugli «uomini senza donne», con i quali non intende i single, ma coloro che hanno conosciuto l'amore per una donna che poi hanno perso, perché scappata o morta. La sua definizione di questo tipo umano è esasperante, tanto più per il fatto che il protagonista pare annullare tutto quello che c'è stato prima e dopo la donna morta, nel contempo auto-celebrandosi attraverso ciò che lei pensava di lui.
Lo stile di Murakami è limpido e aggraziato nella scelta della "metrica", ma sembra qui che questo sia il suo unico pregio rispetto a storie che non hanno nessuna fine, lasciano tutto in sospeso e in molti casi si rivelano prive di significato. Non c'è alcun "commento" anche quando il racconto è in prima persona: sembra quasi che i personaggi giochino a fare il narratore interno il cui punto di vista è esterno, creando una sorta di straniamento che ricorda la narrativa verista.
Certamente, c'è una visione fallocentrica della società, nella quale all'uomo è giustificata la vita dissoluta, mentre le donne sono esseri capaci di tradire, mentire e, soprattutto, rovinare la vita. La morale di tutte le storie sembrerebbe essere che gli uomini starebbero meglio senza le donne, perché creano nella loro vita complicazioni insormontabili e interdipendenze. Sembra quasi suggerire, alla fine di tutto, che la scelta migliore sia la vita monacale o priva di alcun impulso verso il sesso femminile.
In conclusione, non ho apprezzato molto questa raccolta, sebbene non si possa dire che Murakami non scriva bene. Il problema sono i contenuti, demodé e gettati su foglio un po' a casaccio. Mi sarei aspettata di meglio.
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Ho trovato questo blog con un post sulle case editrici del 2013 :) e appena ho visto di questa recensione sono corsa a leggere.
RispondiEliminaDi Murakami sto leggendo 1Q84, avevo proprio bisogno di sapere qualche cosa in più di lui attraverso il pensiero di una terza persona. Al momento sto facendo molta fatica, mi incuriosisce e scrive sicuramente bene, ma sembra di non arrivare mai a un dunque.
Ciao Jen, innanzi tutto benvenuta su Dusty Pages in Wonderland a nome di tutto lo staff :)
EliminaCome dicevo nella recensione, questo è il mio primo Murakami ma, leggendo il tuo commento, non ho potuto fare a meno di ricordare le parole che facevano capolino nella mia testa mentre leggevo "Uomini senza donne": fatica e frustrazione. Perché anche qui non sembra che i racconti abbiano una conclusione, non necessariamente in termini di azioni, bensì lascino tutto in sospeso. Non solo: ti viene da credere che siano pure divagazioni incentrate sul nulla. Non sei la prima, però, che mi dice di aver avuto lo stesso pensiero per 1Q84. Di certo, presto dovrò leggere "Norvegian Wood" che campeggia da tempo immemore nella mia libreria per valutare se sia possibile un rovesciamento d'opinione.
Grazie mille per aver condiviso con noi il tuo pensiero, spero che tu possa affezionarti al nostro piccolo antro ;)