Miele, Ian McEwan
Einaudi
20.00 euro, 368 pagine
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La storia è narrata in prima persona dalla protagonista, Serena Frome, ragazza della periferia inglese, figlia di un vescovo anglicano, laureatasi in matematica solo per compiacere la famiglia e appassionata di letteratura. Durante i suoi studi, intraprende una relazione con un professore che la introduce ad una carriera come impiegata del MI5 (servizio di intelligence e controspionaggio del governo britannico), ma ben presto viene impiegata nell'operazione che dà il titolo al romanzo, nata per assoldare scrittori che, con i loro scritti, celebrino lo status quo e denuncino le barbarie dell'URSS — siamo nel periodo della Guerra Fredda. A Serena viene assegnato Tom Haley, un esordiente che ha già scritto dei racconti interessanti e che la ragazza aiuterà, con le sue critiche costruttive, a migliorare e perfezionare lo stile. In realtà, non può raccontargli di lavorare per il governo, mentre lui la crede la talent scout di una fondazione artistica. A complicare le cose è il loro rapporto, che si fa sempre più intimo e passionale, fin quando i due si rendono conto di essere innamorati. Serena è conscia che una confessione non solo sulla sua reale professione, ma anche su quello che pensa realmente del romanzo d'esordio di Tom Dalle pianure del Somerset — nominato, nel frattempo, finalista del Jane Austen Prize for fiction —, che giudica inconsistente e banale, metterà fine alla loro storia e probabilmente alla sua carriera.
Come vi avevo già raccontato quando il libro stava per essere distribuito in Italia, la vicenda prende spunto dallo scandalo del 1967 scoppiato attorno al magazine Encounter del 1967, quando la stampa rese noto che parte dei suoi finanziamenti provenivano dalla CIA e il direttore Stephen Spender si dimise dichiarandosi estraneo e non a conoscenza dei fatti. McEwan utilizza con sapienza fonti storiche per calarci in una simile (fittizia o no non è chiaro) operazione dell'intelligence inglese. Nonostante il background storico, mi è impossibile incasellare questo romanzo all'interno del genere spy. Piuttosto, si tratta di una vera e propria celebrazione della letteratura in tutte le sue forme, o anche di una vera e propria antologia di racconti celata dietro la continuità della storyline principale.
I personaggi sono assolutamente verosimili e caratterizzati con un'arguzia che mi ha ricordato Espiazione, anche se la storia non vi somiglia. La voce narrante è ancora una volta quella di una donna, cosa che mi ha ancora una volta fatto riflettere su quanto McEwan sia bravo ad entrare a tu per tu con l'universo femminile e a conoscerne i più efferati segreti. L'elemento più plausibile del carattere di Serena è l'essere naturalmente contraddittoria, dato che si indigna per il modo in cui il suo mondo ritenga inferiore intellettualmente e remunerativamente le donne, ma allo stesso modo biasimando il povero Tom perché le sue camicie sgualcite sono sinonimo dell'assenza di una compagna nella sua vita. Tom, da parte sua, è un personaggio enigmatico, che appare nebuloso fino all'epifania finale, come tutti gli altri personaggi ricorrenti nella storia che dimostrano quanto sia volubile e mutevole l'animo umano.
Parlando del finto Jane Austen Prize, l'autore si rifà esplicitamente a un'aspra critica che gli venne mossa quando, nel 1998, vinse il Man Booker Prize con Amsterdam, e che coinvolge il più diffuso sentimento secondo cui un romanzo breve non ha la stessa dignità letteraria di uno di oltre 40.000 battute. In un articolo pubblicato proprio sul sito del prestigioso premio letterario, McEwan difende a spada tratta questa forma letteraria, sostenendo che spesso nei romanzi lunghi si rischia di essere dispersivi e ridondanti, così tanto che alle volte questi andrebbero rivisti e sintetizzati.
Tornando allo stile, McEwan riesce con successo a confezionare quello che Queneau definirebbe un vero e proprio "esercizio di stile" letterario, che della storia di spionaggio ha solo l'inizio del racconto quando la vicenda si è già conclusa, e la spiegazione dei fatti nelle ultime pagine, facendo credere al lettore di essere in possesso della risoluzione del caso per poi giungere al colpo di scena finale — un po' come ci aveva già abituato con Espiazione.
Una lettura assolutamente interessante, della quale conserverò molte impressioni positive, come anche numerosi spunti sulla letteratura che mi hanno reso una lettrice più consapevole del mio ruolo e del potere che detengo in quanto tale. Ma soprattutto ha confutato il pensiero comune per il quale "non era possibile ricreare la vita sulla pagina senza artifici", dimostrando che la forma di scrittura più autentica che esista è quella che incorpora la realtà stessa, dove l'invenzione letteraria riguarda la capacità di far dimenticare al lettore che tutto quello che sta leggendo appartiene alla finzione. Difficilmente dimenticherò questo libro e il suo finale perfetto, ma dovrò colmare il lutto per averlo concluso dedicandomi al più presto ad un altro romanzo della sua bibliografia, forse proprio Amsterdam.
Ciao Valentina, amo McEwan per la sua grande abilità di scrittore e costruttore di personaggi. Ho amato, ovviamente, Miele e ti consiglio di leggere Lettera a Berlino dove è presente la tematica spy story! ...sempre che tu non lo abbia già letto! :)
RispondiEliminaA presto,
Francesca
Ciao Francesca :D Non ho ancora letto Lettera a Berlino, ma ho spulciato le recensioni su Goodreads e, ogni volta che vado in libreria, mi ritrovo a soppesare l'idea di acquistarlo... Ma prima devo dedicarmi ad Amsterdam, Chesil Beach e Sabato ;) Anch'io sono innamorata del suo stile e della sua abilità!!!
EliminaGrazie per esser passata di qui e aver letto la mia recensione. Spero tu abbia avuto la spessa impressione su Miele!
A presto!