lunedì 31 ottobre 2016

Recensione: Trigger Warning di Neil Gaiman

Trigger Warning, Neil Gaiman
Mondadori
307 pagine, 19,90 euro
C’è una notevole varietà di storie in questa antologia di ventiquattro racconti (in parte inediti, in parte Trigger Warning non è altro che l’avviso che il contenuto di un libro, di un racconto, di un telefilm, di un film potrebbe scatenare effetti sgradevoli su persone particolarmente sensibili.
pubblicati singolarmente in altre raccolte) a firma di Neil Gaiman, sia per quanto riguarda i generi, sia per quanto riguarda la lunghezza. La scelta di inserire delle poesie, abbastanza inconsueta per una pubblicazione di questo tipo, si rivela una scelta di grande effetto, e anche l’introduzione, dove l’autore spiega il significato dell’espressione che ha dato titolo alla raccolta, risulta particolarmente interessante:
Gaiman afferma che tutte le storie dovrebbero portare questa dicitura, perché in grado di condurre a luoghi dove non si pensava di andare, minare le nostre certezze, riportare a un passato dal quale si stava fuggendo o mostrare proprio ciò di cui si ha più paura.

Il lettore viene inoltre avvisato che questo libro non contiene racconti omogenei, e che quasi ognuno di essi non finisce bene per almeno uno dei personaggi. Viene poi spiegata con dovizia di particolari la genesi che ha dato vita ai ventiquattro brani. È lasciata comunque al singolo lettore la facoltà di scegliere se gustarsi semplicemente la lettura dell’antologia, oppure se affiancarla ai commenti scritti dall’autore.

Le storie di Gaiman coprono qualunque ramo del fantastico, dalle storie di fantasmi alla fantascienza, da Doctor Who a Sherlock Holmes, dallo Shadow di American Gods alla Bella Addormentata, passando per poemi, streghe e poesie.
Il suo stile di scrittura è, come al solito, molto pulito e decisamente efficace. I racconti sono sempre ben strutturati, in molti casi inquietanti. Lo stile di Gaiman è sempre riconoscibile, a tratti onirico, malinconico e drammatico laddove necessario, ironico all’occorrenza, talora capace di stupire con dei finali a effetto.

Chi ha apprezzato American Gods, romanzo che è valso allo scrittore numerosi premi letterari, sarà lieto di leggere il racconto Cane Nero, ambientato nel medesimo universo narrativo, con protagonista Shadow Moon. La sensazione di déjà vu non finisce qui: l'antologia contiene infatti anche Le Niente in Punto, in cui il protagonista è nondimeno che il celebre Doctor Who dell’omonima serie TV, di cui lo stesso Gaiman ha sceneggiato alcuni episodi (in questo racconto c’è però una piccola stonatura: la nota cabina del telefono blu, macchina del tempo nonché astronave del Dottore, viene tradotta come la Tardis, anziché il Tardis come in tutte le versioni televisive italiane). Come se non bastasse, ritroviamo un perfetto Sherlock Holmes nel racconto Il Caso della Morte e del Miele, che ci metterà di fronte ai fatti che precedono e seguono la morte di Mycroft, fratello maggiore del noto detective.
Particolarmente riuscito anche il racconto Arancione, una sorta di esercizio di stile in cui la storia si deve estrapolare dalle risposte date da una ragazza a un interrogatorio, di cui è riportata la mera trascrizione.
In Click-Clack Sacchetto sbatacchiante troviamo la conferma che le storie per bambini possono essere le più paurose. Soprattutto quando a raccontarle è un bambino.

In conclusione: l’antologia di racconti Trigger Warning, la terza firmata da Neil Gaiman, si pone nel solco già tracciato dall’autore, che conferma di riuscire a lavorare abilmente con il genere fantastico in modo semplice e naturale, riuscendo ad affrontare molteplici tematiche e diversi punti di vista. È poi la capacità di reinventarsi in ogni racconto che rende difficile al lettore allontanare gli occhi dalle pagine del libro.

Voto: 


giovedì 27 ottobre 2016

"Lo schiavista" ha vinto il Man Booker Prize 2016. Le motivazioni del premio

Lo schiavista di Paul Beatty (nda, The Sellout in originale, in italiano edito Fazi e tradotto da Silvia uno dei premi più prestigiosi per la letteratura in lingua inglese dal 1969.
Castoldi) ha vinto il Man Booker Prize 2016,
«Un romanzo dei nostri tempi» lo ha definito la storica Amanda Foreman, a capo della giuria. Si tratta forse di un libro troppo difficile da digerire, ma, ha sottolineato, la fiction non deve essere un genere di conforto.
«È per questo che il romanzo funziona. Mentre sei fermo lì, incapace di muoverti, sei stato solleticato: è un atto estremo che sprigiona verve, energia e fiducia. Non ci si arrende, né si contrasta. Questa è la scrittura di qualcuno che gioca al di sopra degli schemi (…). The Sellout è uno di quei libri molto rari: è in grado di prendere la satira, una materia difficile e non sempre fatta bene, e immergerla nel cuore della società americana contemporanea con uno spirito selvaggio che non ritrovavo dai tempi di Swift o Twain. Riesce a sviscerare ogni tabù sociale o sfumatura di politicamente corretto, ogni dogma. Pur facendo ridere, ci fa provare imbarazzo. È divertente e doloroso allo stesso tempo».

Paul Beatty ha ritirato il premio, consistente in cinquantamila sterline e una copia in rilegatura speciale del proprio romanzo, visibilmente commosso, e ha sostenuto con orgoglio che «la scrittura mi ha dato una vita». È il primo americano a vincere il Man Booker Prize, battendo altri cinque autori finalisti (Madeleine Thien con Do Not Say We Have Nothing; Deborah Levy con Hot Milk; Graeme Macrae Burnet con His Bloody Project; Ottessa Moshfegh con Eileen e David Szalay con All That Man Is) con il racconto del tentativo di reintrodurre la schiavitù nella moderna Los Angeles.
Il premio sembra aver cominciato a respirare un'aria diversa da due anni a questa parte, con l'estensione della possibilità di partecipazione agli autori di tutte le nazionalità (purché il loro testo sia stato pubblicato originariamente in lingua inglese e nel Regno Unito) per la polemica lanciata proprio dalla critica USA al suo vincolo di territorialità (prima del 2014, potevano parteciparvi solo gli autori del Regno Unito, del Commonwealth, della Repubblica d'Irlanda e dello Zimbabwe).

Piccola curiosità: a vincere per il secondo anno consecutivo è un romanzo edito dalla casa editrice indipendente Oneworld, come a voler dimostrare l'apprezzamento della giuria per un mondo alternativo ai grandi gruppi editoriali che negli ultimi anni, nonostante la forte crisi registrata anche oltre Manica, hanno saputo donare ai lettori testi di qualità e degni del riconoscimento e della visibilità che la vittoria del premio gli ha regalato.

mercoledì 19 ottobre 2016

Speciale Frankfurt Buchmesse 2016: le proposte editoriali delle agenzie americane



Inizia oggi la Frankfurt Buchmesse, l’appuntamento annuale che dal 1949 rappresenta il principale punto di riferimento dell’editoria mondiale. Mai come quest'anno la fiera, con i suoi cinque giorni di esposizioni, mostre, conferenze e discussioni, avrà come trait d'union la celebrazione dello spirito europeo, visti i recenti contraccolpi della Brexit e, soprattutto, gli attentati di Parigi e Bruxelles. A questo si ricollega la scelta di nominare come ospiti d'onore le Fiandre e i Paesi Bassi che, nel padiglione a loro dedicato, presenteranno nuovi concept artistici e una vetrina di 99 autori autoctoni famosi ed esordienti.

Si parlerà di nuove sinergie tra i vari settori dell'arte, di politiche a favore dell'innovazione creativa (ampio spazio sarà dato alla spiegazione dei meccanismi di accesso ai finanziamenti per le attività culturali previsti dai programmi Horizon2020 e Creative Europe), dei mutamenti del mercato culturale e del sempre più necessario connubio tra arte e tecnologia, al fine di rinnovare un settore che nell'ultimo decennio ha dovuto fare i conti con il boom digitale.
Interessanti le attività che si svolgeranno durante le giornate della Buchmesse e che coinvolgeranno anche l'Italia, con un nuovo spazio allargato (si vocifera, grazie al successo che i romanzi di Elena Ferrante hanno avuto nel mondo anglosassone e latino) e la presenza di Nicola Lagioia, Vincenzo Latronico e Fluer Jaeggy.

Per quanto riguarda le proposte che le agenzie letterarie americane presenteranno agli editori europei, abbiamo fatto una piccola cernita ricercando le novità più succulente. Alcuni testi sono già stati pubblicati, altri sono preordinabili nei bookstore online, uno ha già venduto i suoi diritti in 27 paesi, per un altro bisognerà aspettare ancora un po' per una preview (ancora topsecret, ad esempio, la cover del nuovo thriller di Michael Crichton, Dragon Teeth).
Impossibile non notare la tendenza a puntare al thriller, tra storie di spionaggio, connubi tra giallo e sci-fi, horror stories e classiche crime fiction. Pochi i titoli di narrativa e interessanti i volumi per bambini.
Ma andiamo con ordine.

In attesa dell'uscita del film, a dicembre nelle sale, tra i titoli già pubblicati troviamo Tales of the Peculiar (Dutton), prequel della serie Miss Peregrine’s Home for Peculiar Children, dove Ramson Riggs raccoglie storie originali annotate da Millard Nullings, studioso che si trova sotto la custodia di Miss Peregrine.

Questo mese viene pubblicato Nobody’s Son di Mark Slouka (Norton), un memoir nel quale l'autore racconta la fuga dei suoi genitori cecoslavacchi dalle purghe staliniste dopo la Seconda Guerra Mondiale. Slouka traccia le cronache del loro viaggio tra Innsbruck e Sydney fino a New York, portando in grembo ricordi di sangue e tradimenti e un figlio non ancora nato.



Il prossimo mese uscirà il dodicesimo volume delle Cronache dei Vampiri di , dal titolo Prince LeStat and the Realms of Atlantis (Knopf). Qui il noto vampiro Lestat de Lioncourt dovrà vedersela con un antico e misterioso potere, quello di Atalantaya legato al perduto mondo di Atlantide, che rischia di distruggere gli equilibri del mondo vampirico.
Anne Rice

Anche l'autrice della saga di Twilight, Stephenie Meyer, si cimenta con il genere thriller con The Chemist (Little, Brown) storia di un'ex agente in fuga che, per scampare a coloro che vogliono farla fuori, accetterà di svolgere un ultimo incarico, rischiando la pelle in un gioco pericoloso e innamorandosi di un uomo che potrebbe compromettere le sue chance di sopravvivenza.



Trevor Noah raccoglie alcuni saggi personali in Born a Crime
(Random/Spiegel & Grau), un volume che racconta la crescita di un ragazzo irrequieto e gli sforzi della madre per strapparlo a una vita di povertà, abusi e violenza. La storia avvincente, stimolante e “comicamente sublime” di un uomo di mezza età che ha visto il tramonto dell'apartheid e le lotte per la libertà degli afroamericani.



A gennaio sarà la volta del nuovo romanzo di Ottessa Moshfegh, candidata al Man Booker Prize 2016 per il suo romanzo d'esordio Eileen. Il libro le è valso il paragone con Shirley Jackson, il primo Vladimir Nabokov ma, soprattutto, il titolo di libro dell'anno dal Washington Post, la nomination al National Book Critics Circle Award e il premio PEN/Hemingway al suo debutto letterario.  Homesick for Another World (Penguin Press) è una raccolta di storie di personaggi instabili che rappresentano la varietà della condizione umana, nelle quali grottesco e scandaloso si mescolano alla compassione e alla tenerezza. Insomma, la Moshfegh racconta un mondo crudele nel quale la bellezza arriva all'improvviso da fonti sconosciute.



Altro mistery, altro debutto: Everything You Want Me to Be (Atria/Bestler) di Mindy Mejia racconta dell'omicidio di una ragazza in una scuola superiore e delle indagini dello sceriffo locale Del Goodman, accompagnati una riflessione sul sottile limite tra innocenza e colpevolezza, realtà e finzione.



Nel mese successivo, uscirà Right Behind You (Dutton) di Lisa Gardner, che si conferma regina del thriller con il settimo volume della serie FBI Profiler dedicata alle indagini di Pierce Quincy, agente dell’ FBI, e della moglie Raine Conner, detective della omicidi, che questa volta avranno a che fare con una serie di delitti apparentemente commessi dal fratello della loro figlia adottiva.





Impeccabile combinazione di suspense, psicologia, dramma erotico e mistero per l'esordio di Sara Flannery Murphy, The Possessions (Harper). L'autrice racconta di Eurydice, che lavora per una società che si occupa di contatti con l'ultraterreno e i morti. Il suo lavoro richiede un certo distacco con i clienti, per evitare coinvolgimenti, ma quest’etica viene meno quando si innamora di Patrick e si mette in contatto con la moglie morta di lui, uccisa in circostanze misteriose.


Riscrittura de La Tempesta di Shakespeare, Miranda and Caliban di Jacqueline Carey (Tor), narra i dodici anni precedenti alla vicenda della commedia del bardo, focalizzandosi sulla ricerca d'identità da parte di Miranda e affrontando le tematiche del potere, del controllo, dell'innocenza e della sessualità, riproponendo in chiave creativa una vicenda classica – a dire dell'editore – pur rimanendovi fedele.



Usciranno poi, a marzo, due romanzi davvero interessanti: il primo è Omega Canyon di Dan Simmons (Little, Brown) che, in bilico tra narrazione storica e toni noir, segue la storia di due fratelli viennesi che viaggiano nell'Europa del primo dopoguerra. La loro vita cambierà quando si occuperanno uno di lavorare come fisico alla costruzione della bomba atomica a Los Alamos e l'altro nel Commando di un operazione speciale inglese
. Mentre uno cercherà di porre fine alla guerra, l'altro dovrà rischiare tutto per salvare la famiglia dell’altro. Una action story audace, che racconta dell'amore fraterno e della lotta per la libertà.

Il secondo è la nuova storia dell'autrice di Fiore di neve e il ventaglio segreto, Lisa See, intitolata The Tea Girl of Hummingbird Lane (Scribner) e ambientata tra una piccola località della Cina famosa per il tè e Pasadina, una cittadina della California. Ancora una volta si affronta il problema della separazione familiare e del rapporto madre-figlia, la ricerca d'identità di chi è adottato e vuole conoscere le proprie origini, raccontando l'Oriente sconosciuto, anacronistico e affascinante come solo la See sa fare
.



Aprile ancora all'insegna del thriller, con quello che si ritiene essere uno dei titoli che le case editrici europee si contenderanno, ossia One Perfect Lie (St. Martin’s) di Lisa Scottoline, la vicenda di una madre single che cerca di salvare il figlio timido ed estremamente talentuoso, destinato ad un futuro nella major-league di baseball, dall'oscura piega che sta prendendo la sua vita a causa della sua amicizia con un coetaneo dalla personalità disturbata. Un dramma familiare avvincente e ricco di suspense, secondo l'agenzia che lo propone, per nulla scontato e assolutamente realistico.

Sci-fi thriller per Cory Doctorow, che con Walkaway (Tor), regala il racconto umoristico e crudo di Hubert, comunista, e Natalie, una ricchissima ereditiera che tenta di fuggire al padre oppressivo. I due amanti scoprono l'unica cosa per cui i ricchi ucciderebbero: il segreto per battere la morte. Tra intrighi, distruzione e lotta per la sopravvivenza, Doctorow ci porta in un futuro lontano di cento anni, ma tragicamente vicino alla realtà contemporanea.

Vi segnaliamo, inoltre, altri testi che verranno presentati alla Buchmesse, ma di cui si hanno ancora poche informazioni. Uno di questi è un volume di Design e Fotografia omonimo del famosissimo Tumblr di Mihaela Noroc, Atlas of Beauty, ritratti di donne comuni che la fotografa rumena ha raccolto in giro per il mondo, che verrà pubblicato in USA nell'autunno del prossimo anno. In ultimo, attesissimi il memoir dell'ex chitarrista dei Sex Pistols Steve Jones, il debutto letterario di Mattew Weiner (creatore della serie cult Mad Men) e I'm so pregnant dell'illustratrice e animatrice norvegese Line Severinsen che, con sagacia e ironia, affronta i problemi più imbarazzanti della gravidanza affidandosi al cartoons.

martedì 18 ottobre 2016

Recensione: La coppia perfetta di B.A. Paris

La coppia perfetta, B. A. Paris
Nord 
340 pagine, 16,90 euro
Cercando qualche informazione su questo thriller d’esordio si incappa subito nell’immeritato paragone con Gone Girl, L’amore bugiardo. Nonostante la trovata del confronto con altri libri, che le case editrici attuano per invogliare all'acquisto, non sia nuova, questa volta corre il pericolo di danneggiare il romanzo: La coppia perfetta è l’antitesi esatta di Gone Girl e rischia di deludere il lettore che vi cerca qualcosa che non c’è, anche se la storia in realtà è molto gradevole.

A differenza della maggior parte dei thriller, nel libro di Paris non ci sono colpi di scena o grandi segreti nascosti. Il segreto invece è lì, davanti ai nostri occhi fin dal titolo: Grace e Jack – i nostri protagonisti – non sono la coppia perfetta che vogliono far credere. L’autrice gioca a subito a carte scoperte avvisando fin dalle prime pagine che qualcosa non va, e che questo qualcosa è Jack.

Questo presupposto è molto pericoloso, poiché solitamente nel thriller ciò che mantiene l’attenzione viva fino alla fine sono l'aspettativa di scoprire qualcosa e la bravura dell’autore nel seminare indizi senza far capire troppo. Inoltre, la trama del libro è perfettamente lineare: la nostra narratrice è Grace Angel, casalinga e moglie perfetta, che racconta a capitoli alterni il passato e il presente della sua vita di coppia. Le due linee narrative procedono comunque in perfetto ordine cronologico, senza salti avanti e indietro nel tempo e senza colpi di scena fino a congiungersi nel finale.

Paris gestisce tutto questo con estrema facilità e ci regala un’opera particolare e avvincente, che sa perfettamente come tenere incollato il lettore alle pagine. Pur conoscendo dall’inizio le dinamiche di questa coppia, il lettore rimane comunque curioso di capire in che modo tutto è iniziato e come una donna combattiva come Grace possa accettare tutto ciò che le capita.

Mentre i protagonisti sono ben delineati e interessanti, i personaggi secondari risultano delle semplici macchiette funzionali alla storia, in qualche caso anche troppo caricaturali, ma che riescono lo stesso a fare da contorno perfetto alle vicende.

Lo stile è scarno, parco di descrizioni e elementi che non riguardino strettamente lo svolgimento della trama, ma di questo ci si accorge solo una volta chiuso il libro. è un tipo di scrittura rapida e priva di svolazzi, che tende ad annullarsi in favore della narrazione e che si conforma a pennello con La coppia perfetta. 

Non così perfettamente riuscito risulta il finale, che è bello ed è anche plausibile, ma stona, sembra quasi affrettato e non così ben bilanciato come il resto del libro. Non è così fuori luogo da inficiare il giudizio sul libro, ma avrebbe potuto essere migliore.

Voto: 

lunedì 17 ottobre 2016

Recensione: Le ragazze di Emma Cline

Le ragazze, Emma Cline
Einaudi Stile Libero
344 pagine, 18.00 euro
I giudizi che si sono voluti appiccicare allo stile di Emma Cline godono di un punto d'incontro unanime: è una scrittura perfetta, chirurgica, estetizzante e sensibile ai dettagli. Quello che sembra essere un dato di fatto ha però originato opinioni ambivalenti, derivate dal dubbio che si tratti del “prodotto di un'industria”, un millimetrico esercizio da laboratorio “frutto di una ventina di editing”. Ho avuto la stessa impressione di Alessandro Baricco – che qualcosa di simile ha comunque fatto con la sua Scuola –, ed è una sensazione che si alimenta man mano che leggo le giovani promesse della nuova letteratura americana. Donna Tartt, per esempio, a cui la Cline si può accostare: la stessa eleganza, la stessa bellezza decadente, forse addirittura la stessa tecnica. Un'aura di raffinatezza, composta pure quando si concede una parola volgare, sapientemente smussata a ogni angolo. Ma anche: lo stesso gusto per le narrazioni sull'adolescenza, la perdita dell'innocenza, l'iniziazione sessuale. Sono temi che attingono a un background più ampio, per cui gli americani sembrano avere una smodata passione, e che li rende quasi tutti drammaticamente uguali. Scrivono bene, possiedono la capacità – di certo non indifferente – di trascinare il lettore dentro la storia. Eppure si fermano al grado di narratori, ottimi narratori, che forse dimenticheremo tra qualche anno.


Quello di Emma Cline è un buon libro e un impeccabile esordio, per quanto riguarda il lato linguistico. La storia ripercorre il delitto di Sharon Tate perpetrato dalle seguaci di Charles Manson, e trovo scorretto dire che non abbia un'anima, perché sotto il barocchismo stratificato delle metafore – sempre puntuali, vivide, calzanti – si intravede una sofferenza partecipata. La scrittura assume però una funzione anestetizzante, e le scene più crude e spaventose vengono filtrate da una penna compassionevole. Sembra che l'autrice abbia un istinto di protezione nei confronti della protagonista, una ragazzina che “subisce” la prima esperienza sessuale con un uomo maturo a capo di una comune hippie. Nonostante l'acredine della scena, la Cline, a rischio di inverosimiglianza, mitiga la violenza nella reazione di Evie: “vissi l'intera serata come un momento del destino, sentendomi al centro di un dramma unico e irripetibile”, “mi muovevo con passi sognanti, ricambiavo gli sguardi della gente a cui passavo accanto con un sorriso che non chiedeva nulla”.

Anche durante un'esperienza molto più traumatica, a cui si sottopone volontariamente, la quattordicenne prova un'esile ebbrezza di felicità che ne preserva, forse, la sanità mentale. In entrambi i casi, la Cline giustifica l'atto con il desiderio di compiacere il gruppo di appartenenza, attraverso cui Evie costruisce la propria identità. La ragazza, sebbene ne avverta l'impulso più di una volta, non piange mai, ma i riferimenti all'infantilità e a un mondo fiabesco di luci e ombre sono costanti: “come ci ero arrivata laggiú, in quella roulotte, come mi ero ritrovata nel buio della foresta senza una scia di mollichine da seguire per tornare a casa”, “come nelle favole in cui gli spiritelli maligni possono entrare in una casa solo se è chi ci abita a invitarli”, “sentivo la sua faccia vicino al mio pube infantile. Il suo muso aveva un calore umido da animale”.

La dimensione dell'infantilità si estende a quasi tutti personaggi della vicenda: i genitori separati di Evie, stolti (il padre) o alla continua ricerca di rassicurazioni (la madre), ma soprattutto le ragazze della comune, che risolvono le assenze e le carenze affettive in Russell, una figura paterna che le schiavizza sessualmente e le fa sentire amate e protette. L'adorazione per Russell scaturisce da un meccanismo inconscio che non ha nulla di diverso dalla fiducia fanciullesca verso il genitore idealizzato e ritenuto incapace di sbagliare. La comune assume le forme di una famiglia allargata dove i vestiti appartengono a tutti e la condivisione delle droghe entra a far parte di un rituale domestico, specie durante i party notturni che rafforzano i legami tra i membri del gruppo.

L'infantilità risiede però principalmente nell'atteggiamento acritico delle ragazze, quasi una regressione allo stato embrionale che le rende incapaci di intendere e di volere e che spesso è sottolineata dal loro aspetto fisico – Helen, dalle “guanciotte colorite, i capelli biondi, lisci e flosci, che le cadevano sugli occhi” si tira i codini e parla con una voce da bambina. Sono soggetti respinti dalla società e che hanno costruito, dentro la comune, il proprio percorso etico: una linea immaginaria divide in modo manicheo il ranch, dove vivono, dal mondo circostante, sia in senso morale che in senso geografico, come sottintende la divisione degli spazi. Alcune scene che descrivono l'intimità domestica di una stanza buia e lercia, mentre fuori piove, rendono bene l'idea del microcosmo che rappresenta il ranch e della inaccessibilità del mondo esterno.

È d'altronde così che, all'inizio del libro, vengono presentate le ragazze: avulse dalla realtà, quasi eteree e distaccate: “le ragazze dai capelli lunghi sembravano scivolare su tutto quello che le circondava, figure tragiche e isolate. Come una famiglia reale in esilio.”
Questa condizione di isolamento e di esclusività si esprime anche attraverso il loro corpo, emaciato e magrissimo, utilizzato come merce di scambio per gli scopi del loro patrone.
È lampante poi che la leziosità – il codice – con cui comunicano tra loro nasconda un vuoto che è facile colmare con la crudeltà, una forza ferale che le spingerà a compiere il delitto ordinato da Russell: “L’odio che vibrava sotto la superficie della mia faccia da bambina, penso che Suzanne l’avesse riconosciuto. Certo che la mia mano aspettava il peso di un coltello. La particolare cedevolezza di un corpo umano. C’era così tanta roba da distruggere.”

Potrebbe essere interpretato come un atto di forza verso la società sana, conformista, forse soffocante – rappresentata dalla bellezza di Linda, una creatura innocente “che doveva essere convinta, come capita spesso alle persone belle, che ci fosse una soluzione, che si sarebbe salvata”.
In realtà, più che a una rivendicazione, assomiglia a un gesto meccanico, coronato dal cuore disegnato sul muro del soggiorno, accanto alle vittime insanguinate.

L'episodio, naturalmente, lascia adito a riflessioni sulla banalità del male, già indagate da autori più illustri. È un tema che alla Cline sembra interessare poco: Le ragazze parla principalmente di adolescenza femminile, del bisogno di accettazione e del tentativo di sopravvivere in una società maschilista e patriarcale che replica, nel Sessantanove come nel Duemilasedici, gli stessi schemi prevaricativi. Gli uomini non danno però moto alle azioni della protagonista: sarà sempre e solo il fascino di un'altra ragazza, Suzanne, esecutrice materiale degli omicidi, a spingerla a restare nella comune e a sottomettersi a prove terribili, a testimonianza di un universo psicologico femminile che resta impenetrabile al potere maschile.

Le ragazze si potrebbe definire di una perfezione acerba, tanto levigata e rifinita da apparire tutto sommato fredda, anche se è evidente che l'autrice non ne sia distaccata come sembra. La sottotrama, in cui Evie, nel presente, racconta la propria storia, appare debole e superflua, e nonostante l'ineccepibilità dello stile la vicenda fatica a spiccare, per originalità, tra le tante che vengono proposte dai colleghi americani. Una lettura senza dubbio piacevole e un'autrice a cui riconoscere il merito di un esordio notevole: per i capolavori, comunque, c'è sempre tempo.

Voto: 

martedì 4 ottobre 2016

Recensione: Harry Potter e la maledizione dell'erede, di John Tiffany e Jack Thorne

A cura di Tonino Mangano

Harry Potter e la maledizione dell'erede
Salani editore
19.80 euro, 368 pagine
In Harry Potter e i Doni della Morte (2008), J.K. Rowling aveva detto addio ai suoi affezionati lettori, utilizzando come piacevole cornice per l'ultima scena la stazione di King’s Cross. Dopo aver posto la parola “fine” nel settimo libro e dopo l'uscita dei tre libri della biblioteca di Hogwarts (Il Quidditch attraverso i secoli, Gli animali fantastici: dove trovarli e Le fiabe di Beda il Bardo, il cui devoluto è andato in beneficenza), la Rowling aveva infatti dichiarato che non avrebbe più ripreso la penna per dare nuovamente vita al suo universo magico, a eccezione dei contenuti speciali di Pottermore.com.

Il 24 settembre scorso, però, ha visto la pubblicazione della sceneggiatura di Harry Potter e la Maledizione dell’Erede, l' “ottava storia” del maghetto nata come spettacolo teatrale. Il testo dato alle stampe, che sembra essere tratto da una storia originale della stessa Rowling, è stato redatto da John Tiffany e Jack Thorne, rispettivamente regista e sceneggiatore.

La vicenda ha per protagonisti Albus Severus Potter, figlio di Harry Potter e Ginny Weasley, e Scorpius Malfoy, figlio di Draco Malfoy e Astoria, morta dopo il parto. Albus, che avverte il peso di avere un padre tanto importante, sente di essere diverso rispetto ai fratelli, tanto da essere smistato a Serpeverde, e Scorpius, a sua volta, non risulta la perfetta copia del padre. A riprova di questo cambiamento avvenuto nel passaggio da una generazione all’altra, un Potter e un Malfoy diventano amici inseparabili.

Dalle prime scene, cronologicamente collocate dove la Rowling si era fermata, viene poi operato un salto in avanti fino al quarto anno a Hogwarts di Scorpius e Albus Severus. Un rapido scambio di battute sottolinea il peggioramento nei rapporti tra i Potter, padre e figlio, a cui segue finalmente la scena che dà avvio all'azione: la discussione tra Amos Diggory ed Harry Potter sulla necessità di usare l’ultima Giratempo, scampata alla distruzione sistematica dettata dal Ministero della Magia (al cui capo c’è Hermione Granger, sposata con Ron Weasley e madre di Rose Granger Weasley), per riportare in vita Cedric Diggory, il figlio tragicamente ucciso da Voldemort durante il Torneo Tremaghi (vd. Harry Potter e il Calice di Fuoco). A fine conversazione, Harry ammette la pericolosità della proposta di Amos e si oppone al desiderio – per quanto giustificabile – del padre ferito. La voglia di disobbedire e di dimostrarsi diverso dal genitore spingono Albus a rubare la Giratempo, con lo scopo di tornare nel passato e salvare Cedric Diggory. 

 Nel frattempo, al suo rischioso piano si sono aggiunti Scorpius Malfoy e Delphi Diggory, nipote di Amos. La storia si svilupperà per mezzo di paradossi temporali e mondi alternativi che i ragazzi cercheranno di ricucire. Mentre loro vivono queste burrascose avventure, Harry Potter e i suoi amici – a cui si aggiunge anche Draco Malfoy – cercheranno di ritrovare i ragazzi che sfuggono al loro controllo. Sull’intera vicenda aleggiano l’ombra di una profezia e il ritorno del dolore alla cicatrice a forma di saetta sulla fronte di Harry, che non doleva da più di vent’anni.

Le storie dei viaggi nel tempo di Albus e Scorpius e le problematiche del mondo degli adulti nel quale sono invischiati i vecchi eroi si intersecano e fondono in uno stupefacente finale.

Dopo sette romanzi e otto film la narrazione di Harry Potter cambia genere, approdando nella pièce teatrale. Di conseguenza, i passaggi descrittivi sono ridotti all’essenziale e i sentimenti dei personaggi vengono resi con brevi didascalie. La storia di base rimane la stessa, ma alcune ispirazioni derivano dai film, non sempre coerenti con i libri. Nel periodo in cui venivano pubblicati per la prima volta i romanzi della saga originale e ne venivano prodotti i film, ad esempio, si avvertiva una certa discrepanza tra il Ron-letterario e il Ron-cinematografico. Il personaggio letterario era simpatico, un po’ imbranato, e il cinema ha aumentato la sua carica divertente, quasi trasformando, seppur non in maniera subito percepibile, la natura di Ron nell’immaginario collettivo. In questa opera, l'aspetto “buffonesco” è stato ricalcato da Scorpius, che sembra richiamare il personaggio cinematografico di Ron.

Inoltre, lo spettacolo sembra aver subito l'influenza del fandom attivo sul web: alcune parti sono il risultato dell'incontro tra l’inventiva degli autori e i desideri dei lettori, i quali si sono sbizzarriti a pubblicare fanfiction e a diffondere contenuti che hanno riscosso ampio consenso in rete. Questa eccessiva vicinanza alle istanze e ai desideri dei fan, spesso opposti a quelli che erano i progetti della Rowling più o meno esplicitamente espressi nella saga principale, hanno forse dato un tocco più “commerciale” alla trama, in particolare per quanto riguarda le cosiddette “ship amorose”. La storia risulta quindi più forzata e meno autentica rispetto ai romanzi.

La stessa sorte hanno subito alcune battute, come quella sul naso di Voldemort che imperversava già sui social:

ROSE

La gente dice che lui è il figlio di Voldemort, Albus.

Un silenzio orribile, imbarazzato.

Ma sicuramente è una cavolata. Cioè, guarda: hai il naso.

(Harry Potter e la Maledizione dell’Erede, Parte I, Atto I, Scena III, p. 24)

Altro esempio sono le descrizioni a chiusura di alcune scene che ricordano molto le voci fuoricampo di Voldemort, quando invadeva i sogni di Harry Potter o si insinuava nella sua mente.

Dal fondo della stanza sibili in Serpentese per tutto il palco.

Sta arrivando. Sta arrivando.

Parole pronunciate da una voce inconfondibile. La voce di VOLDEMORT. Haaarry Pooottttter…

(Harry Potter e la Maledizione dell’Erede, Parte I, Atto II, Scena I, pp. 108-109)

Nonostante questi difetti, l'anima di Harry Potter rimane immutata. Dai lavori della Rowling, Jack Thorne e John Tiffany hanno saputo riprendere le citazioni profonde, la capacità di giocare in modo magistrale con la suspense e il vezzo di tenere nascosti fino alla fine particolari importanti, ingrediente fondamentale per ricamare una storia piacevole e non scontata. Fondamentale, come si è dato modo di intendere, è il tema della diversità. Se nei libri di Harry Potter le parti in conflitto erano rappresentate da Babbani e da stregoni, questa volta la divisione è insita nella stessa compagine magica e impersonata da Albus. Dal testo teatrale si deduce che non è il resto della famiglia a biasimarlo, ma che è lui ad autoescludersi: ne potrebbe derivare la riflessione per cui sarebbe il diverso ad affibbiarsi da sé etichette, solo sulla base di una interpretazione personale della realtà che lo circonda. Tuttavia, se leggendo la sceneggiatura si potrebbe avvertire all'inizio una certa inconsistenza nei complessi di inferiorità e inadeguatezza di Albus, in seguito questi sentimenti si riveleranno sintomatici di un malcontento dalle radici più profonde. Lo Smistamento in Serpeverde è solo la punta dell’iceberg che svela un rapporto turbolento tra Albus e Harry Potter. Albus non vuole deludere il padre e dimostrarsi inferiore rispetto all’intrepido sfidante di Voldemort. A detta sua, il padre veste sempre la maschera di Harry Potter-eroe, senza mai mostrare un aspetto più paterno. Da qui discende il tema della difficoltà dei rapporti genitori-figli tipica dell’età adolescenziale, da cui prenderà le mosse quello dell’incomunicabilità tra individui, messo in risalto dai dialoghi tra Harry Potter e un quadro di Silente. Quando Harry dichiarerà di non riuscire a comprendere a pieno le esigenze del figlio, ma esprimerà anche il desiderio di renderlo felice e di preservarlo dalla sofferenza, Silente darà sfoggio della sua proverbiale saggezza sottolineando la necessità del dolore nella vita di ogni essere umano. Non a caso è stata aperta una parentesi su questo tema, data la particolare enfasi che l’autrice ha voluto dare alla morte e al cordoglio dei cari che piangono i loro defunti nel corso della saga principale.

In definitiva, è inutile negare la presenza di soluzioni narrative opinabili e di una trama che non sembra scorrere fluida come nei romanzi, ma il giudizio sul libro non può comunque che essere positivo. Sarebbe consigliabile affrontare la lettura senza farsi condizionare dai commenti o dagli spoiler che spopolano sul web, che ingigantiscono i difetti o i pregi e che molto spesso etichettano aprioristicamente quest’opera come una degna o inutile continuazione della storia con cui ci eravamo salutati otto anni fa.

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