A cura di Tonino Mangano
Alla luce degli ultimi eventi di cronaca che riguardano il panorama internazionale, ma che hanno ripercussioni anche e soprattutto nelle politiche interne degli Stati europei, possiamo affermare con certezza che uno dei temi principali con cui si apre il primo ventennio del XXI secolo, già dall’infausto 2001, è quello delle migrazioni di popolazioni.
Spinte da condizioni di povertà o dalla guerra, migliaia di persone si ammassano sulle frontiere degli Stati più ricchi per cercare di riprendere in mano le fila di vite distrutte. Il viaggio di vere e proprie nazioni in fuga, che perdono la sicurezza del territorio (elemento identitario di un popolo), termina con l' arresto improvviso sui confini nazionali di chi opera scelte, giustificate o meno, pur di salvaguardarsi da quella che molti definiscono “invasione”. Il risultato degli ostacoli che vengono posti alla libera circolazione di queste masse di migranti produce un fenomeno di ghettizzazione.
Le situazioni che si vengono a creare (solo per certi versi dinamiche senza precedenti) non sono prodotti originali del nostro secolo, ma affondano le loro radici in tradizioni purtroppo ben consolidate nella storia europea.
Il fenomeno della ghettizzazione di masse umane è una costante nelle persecuzioni operate dai governi contro le minoranze ritenute scomode.
Uno degli esempi più conosciuti è sicuramente l’annosa questione ebraica. A parte gli ovvi riferimenti alla storia contemporanea della persecuzione antisemita hitleriana, il popolo israelita è stato da sempre vittima della pratica della ghettizzazione. Caso noto, risalente al Basso Medioevo, è la persecuzione a seguito della Grande Peste, dilagata in Europa nel 1348, con il suo primo focolaio sulle rive del Mar Nero. Agli ebrei venne imputato il crimine di diffondere la peste, come precursori dei manzoniani untori. Altra data ben conosciuta è il 1492, che segnò l’espulsione e la persecuzione degli ebrei in Spagna, con decreto regio dei sovrani di Castiglia e Aragona, Isabella e Fernando. Un esempio spagnolo che è stato già riportato nel testo riguardante il racconto picaresco è il Lazarillo de Tormes (1543) in cui si annoverano gli ebrei come parte della popolazione oppressa e discriminata. Anche nell’Età d’Oro inglese, però, sembrano verificarsi esempi di ghettizzazione che viene sostenuta non solo dalle istituzioni, ma soprattutto dalle classi popolari. L’emigrazione ebraica in Inghilterra prese vita nel corso di molti secoli, dal 1066 (Alto Medioevo, periodo di Crociate in Medio Oriente) fino al 1655. Fin dal 1066, gli ebrei furono vittime di soprusi e discriminazioni da parte degli anglosassoni. A suffragio di ciò, si può ricordare che nel 1217 vennero costretti a indossare dei distintivi gialli per essere riconosciuti dal resto della “popolazione civile”.
Inoltre, non appena i banchieri italiani assunsero una maggiore influenza finanziaria nell’economia inglese, i banchieri ebrei si videro sottrarre sempre più larghe fette di mercato, a tal punto che molti furono costretti a dichiarare bancarotta, a essere ghettizzati ed espulsi dalla Gran Bretagna. Sarà solo nel 1655 che gli ebrei verranno riammessi in Inghilterra, con un decreto emesso da Oliver Cromwell. Un esempio letterario di come anche gli autori inglesi non fossero immuni dall’antisemitismo dirompente nella società inglese del XVI secolo si palesa con Christopher Marlowe e il suo L’ebreo di Malta (1589), una farsa mordace che colpisce lo stereotipo dell’ebreo cupido di ricchezze.
Informazioni preziose sul sentimento comune provato dagli inglesi nei confronti degli ebrei nella seconda metà del Cinquecento ci derivano dal Bardo di Avon, l’immortale Shakespeare. In uno dei suoi lavori teatrali, Il Mercante di Venezia (1596), il Bardo mette in scena quanti più stereotipi sociali dell’epoca, mostrando Shylock (il mercante di Venezia, per l’appunto) come un perfido calcolatore egocentrico, che preferisce sacrificare persino la felicità della figlia pur di perseguire il proprio profitto. Ma la critica letteraria rimane sempre molto dubbiosa sulle caratteristiche psicologiche da attribuire al personaggio del banchiere ebreo. Indubbiamente Shylock dimostra la sua natura perfida, ma il comportamento, a parere di molti, può configurarsi come risposta quanto mai legittima alla discriminazione di cui viene fatto vittima dalla controparte cristiana. Antonio, uno dei protagonisti della pièce, è infatti uno di quei cristiani che non hanno timore di affermare apertamente l'odio verso gli ebrei in quanto ebrei, senza altri motivi che giustifichino l’astio nei loro confronti. Anche in questo caso, Shakespeare si dimostra geniale come lo ricorda la letteratura: tramite battute pronunciate da coloro che riempiono i propri gesti e parole di grazia, amore e carità, il Bardo osserva come non sempre queste virtù vengano dimostrate e applicate appieno dai cristiani nel momento in cui devono interfacciarsi con individui di diversa cultura e religione.
La storia meno nota della ghettizzazione e delle discriminazioni antisemite si snoda nel corso del tempo e in aree forse poco conosciute e analizzate nelle nostre scuole.
Nell’arcipelago di etnie che dà vita all’Europa Orientale, soprattutto le politiche sovietiche avevano istituito i famosi pogrom. I programmi di integrazione sostenuti dall’Impero Ottomano si limitavano a costituire dei millet, delle sacche etniche in cui ogni popolazione godeva di determinati diritti e di una certa autonomia, sempre sotto l’egida delle autorità ottomane. È in riferimento alle zone più periferiche che i risultati di integrazione e relazione tra le diverse etnie si fanno più difficili da analizzare.
A soccorrere la ricostruzione storica qui presentata, contribuiscono in modo provvidenziale autori come il Nobel Isaac B. Singer o anche il contemporaneo Jonathan Safran Foer. Una delle opere più conosciute di Singer è sicuramente Gimpel l’Idiota, una raccolta di racconti ambientati in Polonia e sul confine sudorientale della stessa, o anche in America, dove famiglie ebree emigrarono dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. In questa serie di racconti si mischiano in modo sapiente elementi fiabeschi che affondano le radici nella letteratura sacra talmudica o nelle superstizioni popolari dei gruppi yiddish. Dal punto di vista letterario, è molto interessante notare come ricorrano dei personaggi stereotipati della cultura umoristica yiddish: lo schlemiel (il corrispettivo dell’italiano “scemo del villaggio”), lo shnorrer (mendicante), il luftmensch (il sognatore), lo schadchen (il sensale che organizza i matrimoni e che molto spesso è il risolutore delle controversie o è la causa scatenante dei problemi dei protagonisti).
Per quanto queste nozioni siano utili per riscoprire e studiare lo sviluppo della letteratura umoristica nelle varie culture – anche in quelle che vengono troppo genericamente giudicate austere per antonomasia –, l’opera di Singer, in alcuni passi, ci permette di scavare a fondo non soltanto nella sensibilità e nell’umanità delle popolazioni ebraiche emigrate in Europa (in questo caso gli ashkenaziti), ma dispensa delle prove storiche inconfutabili. Le informazioni di prima mano che riceviamo dal testimone diretto, quale è l’autore che ha vissuto in Polonia durante la sua giovinezza e per parte della maturità, ci regalano esempi di discriminazione a cui furono soggetti gli ebrei dell’Europa dell’Est. I pogrom non costituirono solo un elemento di disordine sociale e intolleranza, ma causarono anche una rottura che portò alla suddivisione di intere città in zone adibite ai civili e ghetti abitati dagli ebrei.
Da qui nacque la forma di aggregazione ashkenazita dello shtetl (trad. dallo yiddish: villaggio), in cui si svolgevano le attività quotidiane, ma anche tutte le funzioni di amministrazione della comunità ebraica da parte dei rabbini. Il centro di questi villaggi diveniva la sinagoga, fulcro della vita religiosa e politica delle comunità. A dare una visione poetica, struggente e altrettanto chiara della vita che si conduceva negli shtetl e nei ghetti, contribuisce il primo romanzo di Jonathan Safran Foer, noto al vasto pubblico per la sua trasposizione cinematografica omonima: Ogni cosa è illuminata. In questo libro procedono parallelamente la storia del viaggio dell’autore e delle sue due guide in Ucraina e la saga familiare che Jonathan ricostruisce, ambientata nel villaggio di Trachimbrod, sul confine ucraino-polacco, raso al suolo dalle truppe naziste.
È nel corso delle due narrazioni che emerge il tema della memoria mistificata con accenni di antisemitismo delle culture slave. Per quanto riguarda la ricostruzione storica e romanzata degli antenati di Foer, elemento di rilievo è la cultura quasi cameratesca degli ebrei, che si stringono in una organizzazione sociale basata sul mutuo soccorso e su un margine piuttosto labile di autogoverno, sebbene i dissapori non manchino all’interno della stessa comunità.
La divisione di Trachimbrod in zona ucraina e zona ebraica è un esempio di come gli ebrei venissero mal visti dai loro concittadini ucraini. Sarà lo stesso Safran-protagonista a sottolineare come molti ebrei non sopportassero quell’atmosfera di tensione e oppressione tanto che, all’arrivo dei nazisti, molti pensavano che le loro condizioni di vita fossero addirittura migliorate rispetto ai tempi precedenti. La storia però diede prove ben diverse della tolleranza importata dai tedeschi. Alcune battute del co-protagonista di Ogni cosa è illuminata, il traduttore ucraino Alexander Pechov, lasciano intendere come anche agli inizi degli anni Novanta si avvertiva ancora una certa ritrosia nei rapporti con gli ebrei e i loro discendenti emigrati in America, poi ritornati in Ucraina per visitare i luoghi legati al contesto della Shoah. Una certa inconsapevolezza storica potrebbe anche rivelarsi dalla citazione seguente, vergata dallo stesso Alex Pechov:
Il Babbo lavora per un’agenzia dei viaggi che si chiama Viaggi Tradizione. È fatta per gli ebrei come l’eroe, che ambiscono a venire via da quel nobile territorio, l’America, e visitare umili cittadine in Polonia e Ucraina. L’agenzia del Babbo ha traduttore, guida e autista per ebrei che cercano di disseppellire i posti dove esistevano le loro famiglie. Okay, io prima del viaggio mai avevo conosciuto personaggi ebrei. Ma questa era colpa loro, non colpa mia, perché lo avrei sempre voluto: che anzi potrei quasi dire che mi sconfinferavo di conoscere uno di loro. Sarò ancora verace e dirà che prima del viaggio avevo idea che gli ebrei hanno il cervello ripieno di merda. Questo perché tutto quello che sapevo degli ebrei era che pagavano al Babbo tantissimi soldi per venire in vacanza dall’America in Ucraina. Ma dopo ho conosciuto Jonathan Safran Foer e, io vi dico, non è ripieno di merda. Lui è un ebreo geniale.*
Non sono solo le minoranze ebraiche europee a essere state vittime di discriminazione e ghettizzazione, ma un esempio altrettanto eloquente ci viene tramandato da uno dei padri del romanticismo francese, Victor Hugo, con la sua opera giovanile Notre-Dame de Paris. Ambientato nella Parigi del 1482, il romanzo descrive la celeberrima storia che ruota intorno al campanaro gobbo Quasimodo, al suo tutore Frollo, al Capitano Phoebus e alla gitana Esmeralda. È proprio per quanto concerne i gitani che si può parlare di ghettizzazione. Situata sulla riva destra della Senna, a poca distanza dal corso del fiume, si trovava la Cour des Miracles, la Corte dei Miracoli in italiano, un luogo in cui si radunavano viandanti, emarginati, indigenti e malfattori. Il fenomeno prendeva vita nelle maggiori città francesi, anche durante il XVIII secolo. È in questi luoghi che si radunavano le classi meno abbienti e più pericolose della società, dove venivano osservati dalle autorità che cercavano di arginare possibili espansioni dei quartieri sottoposti alle leggi delle Corti. La gitana sarà data in pasto agli scandali sollevati dall’arcidiacono Frollo, invidioso della bellezza di Phoebus e della fortuna da lui avuta nel far innamorare di sé la bella danzatrice; Esmeralda sarà altresì vittima dell’indifferenza di Phoebus, spaventato dalla possibilità di perdere di credibilità e di macchiare la sua fama a causa dello scandalo.
Questi espedienti narrativi fanno provare pietà per la sfortunata e ingenua gitana, che sarà presto fatta oggetto di scherno e maldicenze da parte della popolazione parigina, mossa da un odio dettato dagli stereotipi e dalle voci che circolano intorno alle personalità che abitano la Corte dei Miracoli.
Si possono presentare anche eccezioni nel processo di esclusione e ghettizzazione. L’autore Nathaniel Hawthorne ce ne presenta uno dei più noti ed eloquenti: Hester Prynne, protagonista del romanzo La lettera scarlatta. Nelle opere di Hawthorne troviamo la critica ai costumi quaccheri, alla loro vita austera, alla dedizione alla continua purificazione dello spirito, alle persecuzioni contro gli eretici e alle dure punizioni per estorcere pentimenti e condonare la relativa redenzione ai peccatori. Nei racconti si avverte una punta di sarcasmo quando Hawthorne descrive i comportamenti e i casti pensieri dei puritani americani e questo stesso stile viene ripreso nell’opera menzionata. La trama ruota intorno alla figura di Hester, abitante di una cittadina della Nuova Inghilterra e condannata a indossare il simbolo del peccato di adulterio, la bruciante e vermiglia lettera A, cucita sugli abiti. Hester sceglierà volontariamente una sorta di esilio che non la porterà molto lontano dalla cittadina in cui si svolgono i fatti, ma cercherà sempre di mantenere il più possibile le distanze dai suoi concittadini. Con il passare del tempo, la placidità con cui Hester condurrà la sua vita e accudirà sua figlia Pearl faranno scemare il disprezzo che le elargiscono i quaccheri. Questi ultimi non hanno direttamente influito sull’autoesclusione di Hester, non hanno usato alcuna coercizione per allontanarla fisicamente dal circondario della città. Sono stati i loro gesti, in modo indiretto, a convincere Hester della convenienza della via della separazione e di una ghettizzazione che non assume caratteri disumanizzanti, ma che anzi concorre a esaltare e beatificare la composta tristezza e rassegnazione con cui la protagonista conduce la sua esistenza. L’allontanamento di Hester equivale, in questo caso almeno, a una catarsi, è sinonimo di una grandezza d’animo a cui i quaccheri stessi non potranno mai aspirare nonostante tutti i loro sforzi per apparire degni e puri d’animo al cospetto di Dio. La ghettizzazione non è più una pena, ma appare come un nuovo orizzonte di possibilità di ricominciare e di spezzare con il passato, dismettendo ogni legame con una cultura troppo oppressiva e con regole sociali troppo strette per uno spirito libero come lo era Hester.
americano
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Proseguendo nell’elenco di eccezioni, non è detto che nel mosaico di esperienze di profughi e abitanti dei ghetti si riscontri sempre un desiderio di revanche nei confronti degli elementi che fomentano l’esclusione. Contrariamente a quanto pensa una vasta porzione della popolazione e una parte di esponenti politici italiani ed europei, coloro che compongono la categoria degli esclusi non manifestano istinti aggressivi a priori. Servizi giornalistici e reporter freelance hanno dimostrato come, da parte degli esclusi, si riscontri un desiderio di integrazione pacifica alle comunità ospitanti.
Dal punto di vista letterario, un esempio palese viene proposto dalla cultura fumettistica Marvel, con la saga degli X-Men. In quest’opera vengono messe a confronto due visioni diverse. Magneto è l’emblema di un escluso che si sente minacciato da chiunque non gli assomigli e, a sua volta, anche in lui si avverte il timore di essere distrutto dal diverso, concezione che lo porta a non differire dai suoi oppressori, in termini etici. L’altra faccia della medaglia degli esclusi è il Professor Xavier, consapevole di dover portare avanti una difficile campagna ideologica a favore della pacifica integrazione nella società di coloro che non riportano mutazioni genetiche. La paura di Magneto e il suo passato difficile conducono in una direzione sola: lo scontro di civiltà, la xenofobia, l’odio, il desiderio di rivincita. La visione più pacata e diplomatica di Xavier appare come l’alternativa a un inutile massacro. È la diatriba tra queste due visioni diametralmente opposte che dà vita a uno scontro intestino alla stessa popolazione mutante. La situazione interna alla compagine degli esclusi sembra essere il dato evidente di come il mondo non sia sempre diviso perfettamente in due metà, ma come ogni vero spirito critico debba tenere conto delle sfumature, fondamentali per decifrare la realtà in cui viviamo.
Gli esempi storici e letterari riportati, così come le eccezioni e la visione degli esclusi, sembranoZerocalcare). Come si evince dalla citazione, l’esempio più lampante viene dato dall’autore romano Michele Rech, in arte Zerocalcare. Nel suo ultimo lavoro, Kobane Calling, l'autore offre uno spaccato di vita quotidiana in due dei tre distretti in cui è divisa la resistenza curda sulla zona di confine tra Turchia, Siria e Iraq. Zerocalcare riporta ciò che ha vissuto nei suoi due viaggi in Medioriente: la prima volta (novembre 2014) è giunto a Kobane, che faceva parte di una piccola area circondata dalle zone di influenza dell’ISIS, al confine con la Turchia; nel secondo viaggio (luglio 2015), invece, si è spinto fino a Qamishlo, nel cantone di Cizre e, grazie alla resistenza e alla riconquista di territori ISIS, gli è stato possibile spingersi nuovamente fino a Kobane, lungo un corridoio di terra ancora in via di bonifica da parte delle forze curde. Quello che viene descritto da Zerocalcare è un esperimento di vita democratica, frutto di ghettizzazione dell’etnia curda da parte dei governi di Iraq, Siria e Turchia – a cui si aggiunge la persecuzione da parte dei membri dell’ISIS – con la volontà dei curdi di creare delle aree protette e libere da ogni oppressione. Nel nostro quotidiano veniamo tempestati da informazioni discordanti o distorte, ma Zerocalcare presenta un volto spesso sottovalutato e del tutto diverso da quanto viene propinato dall’informazione su cui possiamo contare. In quelle regioni, uomini e donne programmano esperimenti di convivenza pacifica fra le etnie e di partecipazione democratica alla determinazione delle politiche delle realtà statuali emergenti, sebbene ancora non riconosciute dalla comunità internazionale. Queste zone, per certi versi, possono essere associate a ghetti dall’estensione molto ampia, in quanto circondati da nemici che pressano sulle loro frontiere, ma nonostante tutto sono realtà che cercano di mantenere le distanze dai governi loro avversari, a differenza di quanto accaduto in passato**.
essere eventi ripresi dal passato privi di attinenza con il presente, o appaiono come digressioni piene di retorica e vuote di concretezza. La storia invece si ripete anche oggi, e i problemi relativi all’esclusione e alla ghettizzazione di minoranze etniche si ripropongono in zone dell’Asia Minore distanti circa “3000 km da Rebibbia” (cit.
essere eventi ripresi dal passato privi di attinenza con il presente, o appaiono come digressioni piene di retorica e vuote di concretezza. La storia invece si ripete anche oggi, e i problemi relativi all’esclusione e alla ghettizzazione di minoranze etniche si ripropongono in zone dell’Asia Minore distanti circa “3000 km da Rebibbia” (cit.
Bisogna comprendere come la ghettizzazione, pratica che la moderna civiltà dovrebbe aborrire in quanto disumana, sia uno degli strumenti violenti con cui si costruisce l’idea di una nazione e si sostiene la nascita di legami interpersonali che cementano tra loro i componenti di una società.
In questo discorso si impone la voce di Carl Schmitt, che nel saggio intitolato Il concetto politico (1927) formula la teoria dicotomica dell’amico-nemico. Procedendo dalle sue teorie e semplificando i concetti presenti nel saggio citato, ci appare chiaro come in ambito politico la fazione dell’amico viene incarnata da tutti coloro che sono tra loro eguali, individui che condividono stesse esperienze culturali, stesso territorio, stessa lingua. La controparte del nemico si sviluppa attraverso la figura dello straniero che si fa ambasciatore di una visione del mondo parzialmente o diametralmente opposta rispetto a quella con cui entra in contatto.
La distinzione tra amico e nemico non reca in sé il germe del conflitto armato né della ghettizzazione. Il processo di riconoscimento e di avvicinamento tra coloro che si ritengono amici e il confronto con la controparte del nemico sono alla base di quello che è a tutti gli effetti un meccanismo meramente politico. È il motore propulsore della formazione della coscienza politica e del confronto costruttivo che sta alla base di ogni processo decisionale. Il confronto amico-nemico innesca quelle dinamiche per cui si rende possibile la partecipazione tanto auspicata anche da Hannah Arendt nella sua opera Vita Activa, che prende a modello proprio i termini del confronto politico. Se ne deduce che lo scontro dialettico tra amico e nemico non dimostra di avere una connotazione negativa congenita ed è un processo talmente naturale da avvertirsi non solo nelle relazioni tra interno-esterno di una realtà nazionale, ma anche dentro la stessa nazione, nelle relazioni politiche tra le varie anime che intavolano un discorso.
Non si può negare però che, se si riflettesse sulla dicotomia amico-nemico, dalla contrapposizione tra gli opposti potrebbe discendere un’idea connotata negativamente per la quale una diatriba esacerbata sfocia nella nascita di fondamentalismi di vario genere che, una volta assurti a maggioranza nel contesto politico, potrebbero mettere a tacere il nemico, spogliando la politica della sua natura di confronto libero e pluralista.
In breve, è normale per coloro che controllano una determinata area profondere i propri sforzi nella difesa della propria identità. È altrettanto giusto cercare di mantenere la propria diversità davanti a influssi esterni. Tuttavia, appare chiaro come in un mondo civilizzato e ormai globalizzato la difesa dell' identità non possa passare attraverso l’innalzamento di barriere anacronistiche ai flussi migratori. Nemmeno la ghettizzazione e la chiusura in se stessi, al fine di escludere il diverso dal proprio orizzonte, faranno scomparire la possibilità di una contaminazione. Se la storia ci insegna qualcosa, così come la letteratura, generalmente sono proprio i sistemi chiusi che basano la loro sopravvivenza sull’esclusione, sulla sopraffazione delle minoranze, quelli che per prima fanno i conti con l’arretratezza e l’incapacità di fronteggiare sfide che il progresso mondiale lancia costantemente.
*Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata, Guanda, 2002, p. 9
**All’inizio del Novecento molte tribù curde in Turchia erano state inquadrate nei ranghi della coalizione con i Giovani Turchi. I quadri direttivi del partito dei Giovani Turchi si fecero promotori del genocidio armeno nel corso della Prima Guerra Mondiale e, in quel periodo, i curdi si consideravano parte del territorio turco, con l’autonomia tipica concessa dal decadente sistema di integrazione ottomana. I curdi presero parte e aiutarono il governo nazionalista nella deportazione e nel massacro degli armeni. Dal 1934, sotto la Presidenza di Mustafa Kemal Atatürk, iniziò la persecuzione contro i curdi in Turchia. L’inasprimento contro i curdi trovò il culmine nel periodo compreso tra gli anni Sessanta e Ottanta, quando i colpi di stato militari in Turchia si susseguirono e misero fuori legge ogni partito politico, compreso il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), fondato negli anni Settanta sull’ideologia marxista-leninista, che richiedeva la nascita di uno Stato curdo indipendente all’interno dello stato turco. A seguito dei primi fallimenti, il partito ripiegò non più sulla richiesta dell’indipendenza, ma dell’autonomia. Il conflitto si è inasprito dal 1999, con l’arresto di Öcalan, fondatore del partito. Il conflitto è continuato a fasi alterne tra cessate il fuoco e scontri per il restante ventennio.
BIBLIOGRAFIA:
Gimpel l’Idiota, Isaac B. Singer
Ogni cosa è illuminata, Jonathan Safran Foer
Lit&Lab – From the Origins to the Augustan Age
Colui che ride, Maria Felicia Schepis
Vita Activa, Hannah Arendt
Notre-Dame de Paris, Victor Hugo
La lettera scarlatta, Nathaniel Hawthorne
Kobane Calling, Zerocalcare
Il genocidio degli armeni, Marcello Flores
http://www.bbc.com/news/world-europe-20971100
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