lunedì 8 settembre 2014

Recensione: Non c'è niente che fa male così di Amabile Giusti





Non c'è niente che fa male così, Amabile Giusti
La tartaruda edizioni
275 pagine, 17 euro
Per quanto sia difficile emergere come scrittori con piccole case editrici e self-publishing, Amabile Giusti non vi suonerà come un nome totalmente sconosciuto: nel suo piccolo, la scrittrice calabrese – professione: avvocato – ha una foltissima schiera di fan che hanno cominciato ad amarla soprattutto dopo la pubblicazione di Cuore nero, per la Dalai Editore, e non l'hanno abbandonata dopo le vicissitudini editoriali che hanno accompagnato la serie iniziata con Odyssea, attualmente fuori catalogo. La Giusti è anzi riuscita, grazie all'auto-pubblicazione, a raggiungere un bel traguardo: il nove settembre pubblicherà infatti per Mondadori il suo ultimo chick-lit, Trent'anni e li dimostro, a cui facciamo certamente tanti auguri.
In questa sede parleremo però del suo esordio letterario, il primissimo, venuto alla luce grazie a La tartaruga Edizioni.
Il titolo, Non c'è niente che fa male così, denota da subito la sfumatura di dolore di cui la narrazione è pregna. Uso un termine così forte perché il libro si fa portavoce di una storia penosa, a tratti agghiacciante, che la Giusti non risparmia di rendere in maniera efficace. Ne è protagonista Caterina, una diciassettenne atipica e disincantata che la vita, malgrado la giovane età, ha già messo a dura prova. Segnata a soli sei anni dalla scomparsa della sorella, vissuta in un contesto famigliare ostile – la madre – o indifferente – il padre –, Caterina ha sviluppato una corazza fatta di vestiti sempre troppo larghi o informi, che le nascondono il bel corpo e il seno prosperoso, e di cinismo. Parca di sorrisi, vive nella derisione dei suoi coetanei e a scuola non brilla pur essendo acuta e intelligente. In questo quadro, a migliorare o forse peggiorare la situazione interviene Marco, avvocato trentaseienne con cui intrattiene una relazione. Marco è sposato e ha una figlia nata “da un errore”, ma non è un buon marito né un buon padre – e nemmeno un buon avvocato, dato che la sua vera ispirazione è la pittura e la professione gli è caduta fortunosamente tra capo e collo grazie al matrimonio.
Complice la mia scarsa empatia con gli individui che stentano a prendere in mano le redini della propria vita, ipocriti fino al midollo, ho trovato Marco un personaggio odioso dall'inizio alla fine, incapace di dimostrare la maturità che ci si aspetterebbe da un uomo dalla sua età, e che forse compensa Caterina. Marco non si sforza di rendersi migliore o di rendere migliore la propria vita, tradisce la moglie ripetutamente senza alcun rispetto per lei, che d'altronde accetta questa situazione perché a sua volta inetta. Caterina appare per lo più una vittima, nonostante sembra che sia lei, soprattutto alla fine, a giostrare la situazione. Ma alle sue spalle, come alle spalle di ogni capitolo, c'è il fantasma di quella sorella morta, Loretta, che rivive nei flashback narrati dal punto di vista di Caterina, allora seienne. Amabile Giusti riesce a barcamenarsi bene nella gestione di questo POV, pur con qualche incertezza che comunque si riscontra in tutti i personaggi a lei troppo estranei. Il libro è infatti costruito su molteplici punti di vista, talvolta davvero sovrabbondanti, che rispecchiano quelli di ogni singolo personaggio presente nel libro – dalla madre di Caterina alla vicina di casa pettegola. Le incertezze a cui accennavo sono presenti ad esempio in Filo, diciassettenne eccentrico innamorato della nostra protagonista, che certe volte risulta un po' caricaturale nonostante la Giusti si sforzi di dargli un po' di spessore. Il cambio di registro tra un personaggio e l'altro è palese e diventa particolarmente poetico quando è la Caterina bambina a parlare, ma proprio qui la scrittura tentenna, in bilico tra la verosimiglianza e la forza comunicativa di cui la situazione necessita.
Lo stile della Giusti è quindi vario, poliedrico, ma sempre ancorato a un modus di fondo che si riflette in periodi lunghi e complessi, talvolta roboanti ma raramente artificiosi – sicuramente sarebbe stato necessario un lavoro migliore di editing in alcune parti.
La vicenda si legge con curiosità, complice anche la volontà di arrivare alla soluzione finale del destino della povera Loretta. Sono quasi assenti i punti morti, e anzi la storia incede malgrado la trama non presenti grossi sviluppi: l'autrice si concentra principalmente sull'introspezione psicologica, riuscendo, da questo punto di vista, a fare un lavoro magistrale. Pochi sono i personaggi che non hanno un margine di approfondimento e la Giusti riesce a dar vita a un corollario credibile, interessante, mai idealizzato e fortemente umano: ognuno, nel suo piccolo, è colpevole e contemporaneamente vittima. Ognuno è imperfetto, vile, incapace di rapportarsi con il mondo e con la vita.
Non c'è niente che fa male così rappresenta quindi un buon esordio, una prova credibile e che non mancherà di conquistare il cuore di molti lettori.


Voto: 



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