venerdì 19 settembre 2014

Recensione film: "Grandi Speranze" di David Lean

Il film Grandi Speranze del 1946 diretto da David Lean è considerato da molti critici una delle migliori trasposizioni cinematografiche di Charles Dickens che siano mai state girate. Il regista, poi anche autore di Oliver Twist (1948), non ha voluto apportare grosse modifiche alla storia principale e ha scelto le parti e le scene del romanzo più convincenti e commoventi, tralasciandone altre che sarebbero risultate forse di impatto emotivo minore: ecco perché il film può sembrare ad una prima analisi una versione ridotta del libro, anche se non manca nulla per una buona comprensione della trama. Grandi Speranze è comunque sostanzialmente una pellicola drammatica adatta a chi cerca la suspense, l'avventura, il brivido e le storie d'amore travagliate e sofferte, proprio come recita la locandina originale.
La fotografia è senza dubbio una delle parti meglio riuscite del film e si può quasi dire che le varie immagini e le scene presentate di volta in volta parlino da sole: lo spettatore si ritrova così come il lettore catapultato tra le paludi del Kent e si sposta poi nella caotica Londra del XIX secolo. Inizialmente l'ambientazione è gotica e di forte impatto, e il bianco e nero ne aumenta l'effetto, coadiuvato anche dalle musiche inquietanti ed evocative. Le scene in cui Pip corre nella nebbia per portare il pasticcio e la lima al forzato Magwitch sono convincenti ed esprimono con chiarezza quello che Dickens ci vuole trasmettere sin dai primi capitoli. In particolare in questo passaggio, così come nel romanzo, i luoghi e gli oggetti riflettono le emozioni e le inquietudini dei personaggi: le cortecce degli alberi sembrano quasi racchiudere volti umani e le pietre vivere di vita propria, esprimendo in questo modo un universo trasfigurato dalle paure e dai timori del protagonista. Anche se le immagini del film sono molto evocative e precise, non riescono comunque a sostituirsi del tutto alle splendide, espressive e a tratti ironiche descrizioni dell'autore.
Con l'arrivo di Pip a Londra notiamo invece alcune differenze tra la trasposizione cinematografica e il suo originale cartaceo: la capitale sembra da subito molto radiosa e vivace e troviamo pochi riferimenti alla situazione malsana e caotica in cui i cittadini vivevano. La città appare infatti poco caratterizzata negli esterni: la maggior parte delle scene è ambientata in interni, soprattutto appartamenti, uffici e case private. Mancano completamente i pensieri di Pip all'arrivo a Londra, secondo lui sopravvalutata, e anche le passeggiate nelle zone malfamate di Smithfield e Newgate, già descritte nella poesia A Description of a City Shower di Jonathan Swift. Lo spettatore vede la capitale tramite gli occhi di Pip: per questo l'ambiente in apparenza idilliaco cambia via via che le pene del protagonista crescono. Dopo la condanna e la morte di Magwitch, infatti, il ragazzo comincia a sentire su di sé tutto il caos della grande città. Qui Londra perde il fascino e le aspettative che aveva nei sogni di Pip e diventa in parte forse più realistica.
Per quanto riguarda i personaggi, vengono presentati quasi tutti quelli che ruotano intorno al protagonista, tranne Mr. Wopsle e purtroppo Mr. and Mrs. Pocket, forse tra le più divertenti caricature di tipi umani amaramente derisi da Charles Dickens. Il regista riconosce inoltre la sapiente ironia che lo scrittore incarna nel dipingere l'anziano padre di Mr. Wemmick e gli dedica un siparietto molto divertente. Il vecchietto quasi del tutto sordo risulta davvero simpatico, anche se nel romanzo gli vengono dedicate più pagine. E' bellissimo in particolare il rapporto che ha con il figlio e la premura con cui quest'ultimo lo tratta. Per quanto riguarda l'avvocato Jaggers, viene più o meno rispettata l'idea che ne dà il romanzo di uomo acuto e duro ma anche il suo vezzo più riconoscitivo, ovvero il lavarsi spesso le mani dopo ogni uscita per le vie di Londra, come a volersi pulire dal sudiciume reale e spirituale della prigione di Newgate.
David Lean apporta un cambiamento sostanziale al personaggio di Biddy: la ragazza non è più un'amica d'infanzia con un sincero affetto e anche qualcosa di più per Pip, ma una governante più grande che insegna tra l'altro a leggere e scrivere al ragazzo; in questo modo perdiamo i toccanti e profondi dialoghi tra i due amici ma riusciamo forse a comprendere meglio il matrimonio finale tra Biddy e Joe, ora più vicini anche come età.

Pip è interpretato molto fedelmente da un John Mills trentottenne, all'epoca accusato di essere troppo "vecchio" per interpretare un ragazzo di circa vent'anni: vengono in parte limitati i suoi problemi interiori, così come per Biddy e Joe che appare più tonto di quello che poi in realtà è, ma sempre a favore di una maggiore fluidità di trama.
Miss Havisham è forse resa in modo un po' troppo materiale: nel romanzo dà l'impressione di essere quasi incorporea, scheletrica e più simile ad un fantasma che aleggia sulla casa. Inoltre rispetto al libro l'entrata in scena di Miss Havisham perde in parte di pathos: la stanza sembra piccola e a tratti troppo illuminata. Già alla seconda visita di Pip a Satis House la situazione migliora: cambia l'inquadratura e vediamo ragnatele e abbandono ovunque.
Per quanto riguarda Estella invece il personaggio appare alquanto semplificato, forse più convincente da bambina che da adulta: durante i primi incontri con Pip, Estella ha infatti piglio deciso e occhi fermi e come nel libro è superba, distaccata e insolente. Tratta Pip malissimo e lo considera solo un ragazzino plebeo con le mani rozze.
Il finale è uno degli aspetti in cui il film e il libro sono più diversi. Nel film infatti Pip va da Estella, che ormai vive al buio di Satis House, non ha marito perché Drummle ha mandato all'aria il matrimonio dopo aver scoperto i foschi natali della ragazza e non sono passati anni come nel romanzo: i tempi del libro vengono infatti grosso modo rispettati tranne appunto la conclusione. Estella decide di vivere lontano dai problemi del mondo come un tempo aveva scelto Miss Havisham; la ragazza percepisce inoltre la presenza della madre adottiva sempre vicino a lei, quasi fosse davvero un fantasma. Pip allora decide di sfidarla, strappa via le tende e fa entrare finalmente la luce nella stanza. Estella ha paura ma il ragazzo le dice: "Ci apparteniamo e ricominceremo a vivere insieme". Questo la convince e conforta e i due se ne vanno via mano nella mano.
Il finale del libro invece non è così romantico. Pip ama Estella forse più per quello che lei rappresenta, come un sogno di bambino. Estella non ama Pip però i due possono diventare amici. Estella non ha paura dell'amore, come potrebbe trasparire dal finale del film, più che altro nessuna fiducia nel genere maschile così come le aveva insegnato Miss Havisham. Crede invece nel rapporto di amicizia con Pip tanto da temere di farlo soffrire. Estella si sposa fondamentalmente perché non riesce a liberarsi dal giogo di Miss Havisham, come da una sorta di vera e propria stregoneria, e forse perché è preda in parte di un atteggiamento di ribellione e autodistruzione.
Great Expectations può essere considerato ad un'ultima analisi come un romanzo sull'innocenza perduta. Né Pip né Estella, infatti, possono redimersi e tornare all'inizio: uno è stato corrotto dalle sue grandi speranze, l'altra dalla società che l'ha allevata nella persona di Miss Havisham. Pip desidera appartenere al mondo del denaro e del lusso e si allontana in questo modo dai puri di cuore come Joe, Biddy ed in parte anche l'amico Herbert, gli unici che saranno poi effettivamente felici.

Potremmo quasi dire che questa trasposizione cinematografica di Grandi Speranze sia una sorta di racconto corale politicamente corretto che parla meno di sporcizia, disonore e dolore rispetto al libro ma che ci regala il classico lieto fine senza particolari colpi di testa.


2 commenti:

  1. Prima o poi dovrò leggerlo il libro e magari vedere anche questo :D

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    1. Arriverà anche la recensione sul film più recente :)

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