Furore, John Steinbeck
Bompiani
633 pagine, 12.00 euro
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che dovrebbero autodefinirla. In via pratica, la letteratura si riconosce “a pelle” quando la leggi.
E mai credo che esisteranno indicatori tanto validi quanto la nuda percezione di averla trovata, dopo aver sfogliato qualche pagina.
Sembrerebbe facile spiegare i motivi per cui Furore sia letteratura, ma se ci azzardassimo a usare canoni predefiniti forse questo capolavoro non li centrerebbe tutti.
Nel mio caso, conditio sine qua non è sempre stata il “bello stile”; ma per quanto Steinbeck alterni brevi capitoli molto lirici, Furore si presenta per lo più come un romanzo dialogato in cui gli attori, umili e ignoranti, si esprimono con una certa approssimazione e una grammatica scorretta. Mi torna allora alla mente la poetica del Vero di Manzoni, secondo cui un romanzo deve prima di tutto rappresentare il Vero storico – in contrapposizione con le tendenze esasperate, fantastiche e talvolta irreali del romanticismo europeo – attraverso l'elevazione degli umili – e del loro linguaggio – a protagonisti della vicenda. C'è forse in Steinbeck, così come c'era in Manzoni, l'esigenza di un impegno morale e civile. Sicuramente, Furore è una denuncia sociale nei confronti del Governo, incapace di rispondere ai problemi dei suoi cittadini. L'effetto di questa denuncia fu, a mio avviso, imbarazzante: tacciato di comunismo (è pur sempre la storia di una famiglia di onesti lavoratori sfruttati dal capitalismo delle banche) e di chissà cos'altro, venne censurato e dato al rogo. Le motivazioni vanno rintracciate, probabilmente, nell'incredibile capacità dell'autore di fare emergere da questi scarni dialoghi una saggezza popolare che si fa universale, una vicinanza alla verità storica, appunto, che raggiunge vette altissime grazie alla massima efficacia dello stile, in cui il detto e il non detto si alternano e creano un mosaico di estrema vividezza e omogeneità.
L'analisi della situazione subita della famiglia Joad, che migra verso la California in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori, è spietata e puntuale: l'istruzione è una chimera, ma anche uno strumento di sopraffazione («Non gli piacciono queste cose da ricchi. Non gli piace manco scrivere le parole. Gli mette paura, mi sa. Ogni volta che Pa' ha visto roba scritta era qualcuno che gli portava via qualcosa»); il carcere, dove è stato rinchiuso per omicidio uno dei protagonisti, trasforma l'uomo in bestia e non ha alcuno scopo riabilitativo; la religione ha perso ogni conforto, e viene rifiutata anche dai suoi emissari perché vista troppo distante dalla vita reale; i tradizionali ruoli familiari sono invertiti: come ad esempio accade in un altro romanzo americano ambientato nel periodo post-Depressione, Mildred Pierce, sono le donne a prendere le decisioni, a tenere il polso fermo e a spodestare i capifamiglia uomini, che perdono di virilità diventando delle macchiette inette, mentre le mogli finiscono addirittura con il minacciarli di usare il bastone.
La fame, altra protagonista del romanzo, incombe in maniera angosciante sui personaggi, che tuttavia hanno ancora la forza di sperare in un domani migliore e che non perdono la propria integrità. Sono, questi, degli eroi letterari, ma talmente comuni e verosimili da “bucare” la pagina e trasformare l'esperienza della lettura in una travagliata presa di coscienza dell'autentico significato della parola “miseria”, anche quando accompagnata da quello della parola “coraggio”. La tempra morale dei personaggi, che sono poi l'emblema del popolo, si contrappone alla meschinità di chi – entità indefinita – sfrutta il lavoro manuale anche dei bambini e delle donne incinte, corrispondendo salari insufficienti al fabbisogno nutrizionale giornaliero individuale. E il furore degli “affamati” consegue al delitto che viene perpetrato nei loro confronti: il cibo prodotto in eccesso finisce per marcire anziché venire ridistribuito, nonostante i più piccoli muoiano di pellagra.
Il titolo originale, The grapes of wrath, riecheggia un motivo inserito nell'Apocalisse (nel testo, lo rintracciamo nelle righe: «Nell'anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia») e la trama del romanzo sembra in effetti assumere i contorni di un esodo biblico, dove però si è smarrita la voce di un dio giustiziere e vendicativo che guida il popolo eletto verso la terra promessa. I Joad sono soli davanti alla crudeltà di questa situazione, e possono soltanto appellarsi alla propria fede e buona volontà per superarla. Di sublime potenza espressiva sono i capitoli dai toni lirici e i dialoghi già citati, ma soprattutto alcune scene dove la straordinarietà della scrittura di Steinbeck si riflette in composizioni di forte impatto emotivo. Così si conclude un romanzo imponente che vuole richiamare istinti e immagini ataviche: con il seno nudo e gonfio offerto da una donna che ha appena partorito a un uomo che sta morendo di fame.
Voto:
La fame, altra protagonista del romanzo, incombe in maniera angosciante sui personaggi, che tuttavia hanno ancora la forza di sperare in un domani migliore e che non perdono la propria integrità. Sono, questi, degli eroi letterari, ma talmente comuni e verosimili da “bucare” la pagina e trasformare l'esperienza della lettura in una travagliata presa di coscienza dell'autentico significato della parola “miseria”, anche quando accompagnata da quello della parola “coraggio”. La tempra morale dei personaggi, che sono poi l'emblema del popolo, si contrappone alla meschinità di chi – entità indefinita – sfrutta il lavoro manuale anche dei bambini e delle donne incinte, corrispondendo salari insufficienti al fabbisogno nutrizionale giornaliero individuale. E il furore degli “affamati” consegue al delitto che viene perpetrato nei loro confronti: il cibo prodotto in eccesso finisce per marcire anziché venire ridistribuito, nonostante i più piccoli muoiano di pellagra.
Il titolo originale, The grapes of wrath, riecheggia un motivo inserito nell'Apocalisse (nel testo, lo rintracciamo nelle righe: «Nell'anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia») e la trama del romanzo sembra in effetti assumere i contorni di un esodo biblico, dove però si è smarrita la voce di un dio giustiziere e vendicativo che guida il popolo eletto verso la terra promessa. I Joad sono soli davanti alla crudeltà di questa situazione, e possono soltanto appellarsi alla propria fede e buona volontà per superarla. Di sublime potenza espressiva sono i capitoli dai toni lirici e i dialoghi già citati, ma soprattutto alcune scene dove la straordinarietà della scrittura di Steinbeck si riflette in composizioni di forte impatto emotivo. Così si conclude un romanzo imponente che vuole richiamare istinti e immagini ataviche: con il seno nudo e gonfio offerto da una donna che ha appena partorito a un uomo che sta morendo di fame.
Da leggere assolutamente!
RispondiEliminaSono d'accordo ^^
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