lunedì 24 febbraio 2014

Epic fantasy scritti da donne: un mondo sconosciuto nelle librerie






La lista "incriminata" di Waterstones
Pochi giorni fa è stato pubblicato sul blog del quotidiano The Guardian (post originale qui) un post di Alison Flood che riportava un’interessante osservazione: negli ultimi anni si è assistito ad un radicale aumento dei lettori di fantasy epico, soprattutto quelli che hanno come protagonisti i così detti blokes in cloaks, ossia gli uomini in cappa, così le librerie pullulano di reparti di questo genere. È inevitabile pensare che il ritorno in auge di un genere così di nicchia sia dovuto alla trasposizione telefilmica de Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, saga letteraria di G.R.R. Martin, ma altrettanto palese è la tendenza, nelle librerie, ad esporre per lo più fantasy epici scritti da uomini. La polemica è nata da un articolo della scrittrice Foz Meadows, che ha criticato la scelta della maggiore libreria di catena britannica Waterstones di pubblicare una lista che comprende i migliori 22 romanzi fantasy epici/eroici, nella quale passa quasi inosservata la presenza di sole due donne, Trudi Canavan e Gail Martin.
La scrittrice Juliet E McKenna rincara la dose, sostenendo che se si chiedesse ai librai il motivo per cui i reparti di genere mancano di una presenza femminile, la risposta sarebbe “perché le donne non scrivono fantasy epici”. Eppure oltre a G.R.R. Martin esiste un mondo di scrittrici femminili altrettanto capaci.
Parliamo per esempio di Robin Hobb, autrice della Trilogia dei Lungavista: pseudonimo di Megan Lindholm, scrive trilogie dotate di epiche battaglie e creature magiche (compresi i draghi), ma le sue storie sono pienamente incentrate sui suoi personaggi, le loro ragioni e aspirazioni. Si dice che  Martin sia un suo grande fan e sia stato ispirato proprio dagli animali magici dell’autrice per la creazione dei metamorfi in Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
NK Jemisin è quella che si può chiamare un’esordiente nel genere, ma ha dimostrato di sapere il fatto suo con The Inheritance Trilogy (traduzione italiana a cura della casa editrice Gargoyle) e la duologia Dreamblood. Il primo volume della trilogia, I centomila regni, racconta le contese per il trono di diverse famiglie, un po’ come quelle per ottenere il leggendario trono di spade.
Altra autrice famosa è Ursula K Le Guin, che ha scritto La saga di Terramare, paragonata alla Trilogia dell’anello di J.R.R. Tolkien e definita come un grande classico moderno, oscuro e quasi arturiano – racconta infatti le vicende di un pastore destinato a diventare signore dei draghi.
Io aggiungerei anche Robin LaFevers, della quale sto seguendo la serie His Fair Assassin – trovate la mia recensione del primo volume qui - che mi sta appassionando tanto da non riuscire ad aspettarne la traduzione italiana. Rispetto alle altre saghe presentate in questo articolo, la serie è basata su fatti storici realmente accaduti, ma l’elemento magico la rende degna di essere inserita tra i romanzi epic fantasy.  Tra le autrici le cui opere sono state pubblicate in italiano, c'è anche Marion Zimmer Bradley, che con la sua saga di Avalon ha fatto riscoprire i personaggi del ciclo arturiano e le leggende sull'isola da cui la serie prende il suo nome.
Ancora sconosciuti e inediti in Italia i romanzi di Kate Elliott (alias Alis A. Ramussen), la cui serie più famosa è Crown of Stars, composta da  sette volumi pubblicati tra il 1997 e il 2006, che condivide con la saga di Martin lo stesso setting storico, ossia il tardo medioevo, ed è incentrata su temi come la guerra, la religione, la cavallerie e le questioni di genere.
Elizabeth Bear, anch’essa inedita in Italia, è autrice della trilogia The Eternal Sky e ha pubblicato numerosi romanzi di sottogenere urban. The Eternal Sky è ambientata in una versione AU delle steppe dell'Asia centrale, abitata da tribù nomadi che ricordano i Dothraki. Il punto forte della saga sono la caratterizzazione e l’utilizzo intelligente dell’elemento magico.
Julie Victoria Jones ha scritto invece la trilogia The Book of Words e un seguito, Sword of Shadows, più maturo e sofisticato, incentrato sulla figlia dell’eroe della prima saga e nello stesso tempo slegata dalla trilogia. L’ambientazione scandinava ricorda le storie dei personaggi che in Martin vivono al di là della barriera.
Queste sono solo alcune delle più famose scrittrici di fantasy epici, ma se ne potrebbero nominare ancora: Alison Flood ricorda Jaqueline Carey, Juliet Marillier, Kelly Link, Muriel Gray, Diana Wynne Jones e Mary Robinette Kowal.
E voi cosa ne pensate? Anche le librerie italiane selezionano più autori che autrici di epic fantasy?

venerdì 21 febbraio 2014

Finn's Hotel, la raccolta di racconti "perduti" di James Joyce

A cura di Tonino Mangano


Copertina dell'edizione numerata,
rilegata in carta tipografica stampata su tavole.
Negli ultimi anni, grazie al lavoro instancabile di abili e appassionati ricercatori, piccole e grandi perle letterarie d’indiscusso valore sono state riportate alla luce e rese note al grande pubblico.
È quanto è successo all’accademico irlandese Denis Rose che, nel tentativo di dare alle stampe la quarta edizione critica di Finnegans Wake, si è imbattuto in quello che è stato riconosciuto come un testo scomparso del grande James Joyce.
La scoperta ha destato non poco scalpore in ambito accademico, sollevando una buona dose di perplessità e polemiche. Studiosi ed esperti si sono infatti divisi in schieramenti opposti: da una parte coloro che considerano Finn’s Hotel come un’opera di autonoma originalità rispetto al resto del corpus bibliografico di Joyce; dall’altra coloro che ritengono il manoscritto una versione preliminare del celebre Finnegans Wake.
Dopo aver messo il punto alla sua opera più corposa, l’Ulisse, nel 1923 Joyce si dedicò alla stesura di una serie di dieci racconti che ripercorrevano la storia irlandese attraverso l’esposizione di leggende, storie, racconti. Questi suoi epiclets – piccoli poemi, come li definiva lo stesso Joyce – abbracciano un arco di tempo molto vasto, andando dalle leggende celtiche – come la rivisitazione di Tristano e Isotta – all’Irlanda del 1132.
Chi poteva immaginare che tra le righe di questi dieci racconti perduti si sarebbero nascosti in fieri personaggi e caratterizzazioni che avrebbero avuto pieno sviluppo in un’opera posteriore?
Sebbene – come detto – la notizia di questo ritrovamento non sia stata accolta particolare entusiasmo dai critici joyciani, la Ithys Press – casa editrice irlandese con sede a Dublino – è stata più che felice di pubblicare l’opera.
L’unica protesta che molti lettori appassionati di Joyce, o semplici curiosi, potrebbero avanzare, concerne la decisione dell’editore di optare per una tiratura limitata – solo centottanta copie – e decisamente costosa dell’opera. Per amor di completezza riportiamo una panoramica delle edizioni e dei prezzi previsti: 140 copie numerate – 350 euro cadauna –; 30 copie contrassegnate dalla lettera A alla Z – 1250 euro –; e 10 copie in edizione deluxe da 2500 euro a pezzo.
Slipcase e copertina dell'edizione deluxe,
in carta marmorizzata, creata da Antonio Velez Celemin. 
L’aspetto paradossale della questione è che, in realtà, questi racconti in cui si fondono elementi di leggerezza e tematiche più cupe – e che non a caso prendono il nome di serio-comic stories – sono stati per molto tempo sotto gli occhi di professori e studenti, che li hanno letti, studiati e catalogati per decenni senza che la notizia giungesse mai alla ribalda della cronaca.
Per il momento, solo pochi eletti avranno l’onore di mettere le mani sulla prima edizione di Finn’s Hotel, ma se è vero che, come diceva lo stesso Joyce, «la letteratura è al di sopra della politica» ( I vivi e i morti – Gente di Dublino), e dunque al di sopra della mera economia, molto presto tutti potranno recarsi in libreria per acquistare e godere della lettura di uno dei maestri del romanzo novecentesco.


martedì 11 febbraio 2014

Abolire la storia dell'arte è come rinunciare alla propria identità

Michelangelo Merisi da Caravaggio, detto Caravaggio,
Davide con la testa di Golia,
1606-1607 circa, olio su tavola di pioppo
"Qui giace la storia dell’arte, venuta a mancare in seguito a necessari tagli sull’istruzione".
Sarebbe questo l’epitaffio da scrivere su un insegnamento odiato quanto sottovalutato come quello della storia dell’arte, già vittima di sostanziali ridimensionamenti con la legge di riforma del sistema scolastico 133 e 169/2008. Tra il 2009 e il 2010, oltre all’abolizione degli Istituti d’arte, la riforma Gelmini ha disposto la riduzione delle discipline artistiche nei “neonati” Licei artistici, l’abolizione della storia dell’arte e del disegno dai bienni dei Licei classici e linguistici, dagli indirizzi Turismo e Grafica degli Istituti tecnici e dei professionali e dai bienni dei Licei scienze umane, linguistici e sportivi. A nulla sono valse le 15 mila firme presentate il 31 ottobre 2013 alla Commissione Cultura Scienze e Istruzione della Camera da Celeste Costantino, deputata di Sel, denominato emendamento «C 1574-A» per il «Ripristino della Storia dell’arte nella Scuola secondaria». Il documento è stato bocciato, con la motivazione che il nostro paese non è in grado di affrontare una spesa per la riattivazione di qualcosa che è già stato tagliato. Insomma, tutto invariato rispetto al 2008, sebbene stiano nascendo dei movimenti di sensibilizzazione rispetto lo studio delle discipline artistiche e di contro la risorsa materiale va sgretolandosi: i recenti crolli di Pompei e le chiusure di numerosi impianti museali dimostrano che non v’è nessun interesse a far sì che questa enorme risorsa venga sfruttata, sebbene il turismo artistico sia una buona fonte di reddito per città quali Roma, Firenze, Napoli, Ravenna. Siamo la quinta meta del turismo internazionale, vantiamo ben ben 44 siti appartenenti al Patrimonio mondiale dell’Unesco, siamo la patria di poeti, navigatori e santi che può vantare una grande cultura, rinomata e apprezzata in tutto il mondo. Ma abbiamo imparato bene a renderci un popolo di ignoranti e ciarlatani, rinunciando a poco a poco a tutto quello che ci contraddistingue, partendo proprio da una riduzione della conoscenza. Oggi dimentichiamo Giotto, Michelangelo, Raffaello e Leonardo, domani dimenticheremo che a fondamento della lingua italiana abbiamo le produzioni di Dante, Petrarca e Boccaccio, o che l’unità d’Italia è avvenuta in seguito ai moti e alle guerre d’indipendenza. 

Immagine provocatoria pubblicata Bloggokin
riguardo la possibile abolizione della storia dell'arte
dai programmi della scuola secondaria. 
Ernst Gombrich direbbe che l’arte è un vero e proprio linguaggio universale, che insieme alla letteratura, genera nell’uomo lo spirito critico. Accompagnato dal gusto estetico, lo spirito critico si colloca alla base dell’evoluzione umana, poiché nasce dalla scelta del bipedismo e dalla liberazione degli arti superiori in funzione del loro utilizzo non solo per il reperimento del cibo, ma anche per la creazione dei primi manufatti litici. Eliminare la storia dell’arte dai piani di studio della scuola secondaria significherebbe dimenticare la storia dell’uomo e i tratti distintivi che lo hanno reso altro rispetto alla moltitudine di esseri viventi. Una storia che ha dato forma anche alla tecnologia (non dimentichiamo che dalla pietra sono state generate sia veneri preistoriche, sia schegge taglienti e punte di lancia) e che renderebbe vano lo studio delle altre discipline. Abolire lo studio della storia dell’arte sarebbe come negare che alcuni movimenti artistici hanno segnato la fine delle epoche buie e il trionfo della ragione e della cultura, come il Rinascimento, cha ha dato inizio all’era moderna ed ha visto il suo fulcro proprio in Italia, per l'esattezza a Firenze. Dimenticare l'arte, dunque, sarebbe come dimenticare il nostro passato.
Al solito, indignarsi non è agire, ma solo una concreta proposta che preveda una rivalorizzazione della cultura, che tenga conto dei costi e benefici, portata avanti da esperti che non abbiano nessun interesse economico o politico nel mettersi al servizio della causa, potrà salvarci dall’inesorabile perdita della nostra identità culturale, quella su cui abbiamo fondato storicamente la nostra nazione.

Ci si deve sostenere con braccia coraggiose in mezzo al caos delle rovine, nel quale la nostra vita è sminuzzata, e attaccarci fortemente all'arte, alla grande, alla duratura arte, che, al di sopra di ogni caos, attinge l'eternità - l'arte che dal cielo ci porge una mano luminosa, così che noi stiamo sospesi in ardita posizione, sopra un abisso deserto, fra cielo e terra.

Wilhelm Heinrich Wackenroder, Fantasie sull'arte per amici dell'arte, 1799



lunedì 10 febbraio 2014

La filosofia che appassiona: in edicola arriva Grandangolo



La filosofia è una disciplina dalle innumerevoli sfaccettature: gli studenti che, al liceo, avranno avuto la fortuna di un professore chiaro, conciso e appassionante - dote forse rara ma non unica tra questa categoria - e che, al contrario di me, non rispondono con orrore alla sola citazione di Hegel, sanno quanto abbia contribuito alla formazione del pensiero occidentale e quanto sia importante da conoscere - non dico piacevole da leggere. In realtà la sottoscritta apprezza la filosofia da un certo punto in poi: dopo Kant, quando finalmente viene sradicata la metafisica e la filosofia comincia a parlare di sociologia, psicanalisi ed economia - quando, cioè, scende dall'astrattezza dell'Iperuranio per parlare di cose più o meno concrete - la filosofia assume anche per me tratti molto interessanti. Shopenhauer, Freud, Adorno, Arendt e in particolare Nietzsche sono gli autori che tenderei più a leggere (soprattutto gli ultimi due: la prima perché mi sembra una lettura imprescindibile per la comprensione del Novecento, il secondo perché ha dato vita alla concezione fondamentale dell'apollineo e del dionisiaco che sta alla base delle tragedie greche... E infatti La nascita della tragedia sta in wishlist sta un po'). Per sopperire in modo goffo ad alcune mie lacune ho anche comprato Il mondo di Sofia di Gaarder - che, tra l'altro, trovate per ora in offerta a 10 euro - che forse mi renderà più chiaro, finalmente, cosa volesse comunicarmi Hegel.
Un'idea alternativa sarebbe anche quella di Grandangolo, la collana che uscirà da martedì 11 febbraio con il Corriere della Sera: si tratta di trentacinque uscite che spiegano in maniera completa i pilastri fondamentali della filosofia - oltre a quelli che ho nominato, da Aristotele a Kant, da Sant'Agostino a Pascal, da Kerkegaard a Foucault -, in maniera molto più semplice - si spera - dei nostri professori del liceo.
I volumi comprendono le idee, il contesto storico, infografiche esplicative e una selezione dei testi più significativi, e sono quindi utilissimi per avere un quadro dell'autore senza doverne leggere tutte le opere.

La prima uscita, dedicata a Platone, è disponibile,  escluso il prezzo del giornale, a solo 1 euro - è già disponibile l'ebook a 0.99 cent -  mentre le uscite successive costano 5,90 euro: se volete dare un'occhiata al piano completo potete visualizzarla QUI e seguire le novità sui profili Twitter @Corriereit e @Lalettura.

Chi vuole approfittare di questa iniziativa?



Platone è il filosofo che ha “inventato” l’anima, quale sostanza spirituale indipendente dal corpo e immortale, che per primo ha definito la filosofia “la scienza degli uomini liberi”, con la quale l’anima si distacca dalla fluttuazione delle opinioni per aprirsi alla conoscenza vera. Per questo è considerato il fondatore della filosofia occidentale, e rimane oggi come il punto di riferimento più forte per il nostro spirito. Anche il suo concetto di Stato ideale, riprogettato per secoli, è più attuale che mai, tanto da aver ispirato perfino il Marxismo.
11 febbraio



Kant è l’autore di una “rivoluzione copernicana” nella storia del pensiero dell’Occidente, avendolo fatto transitare dall’Evo moderno – ancora erede del Medioevo – a quello contemporaneo. Spazzò via il convincimento che esista un ordine fisso d’origine divina che appartiene tanto al discorso, alle nostre rappresentazioni, quanto al mondo. E ha insegnato che il fondamento dell’universalità e della necessità delle nostre conoscenze ha sede nella ragione, vista non più come una facoltà di pensiero guidata dall’esperienza e legata a essa, ma come quel riferimento che prescrive norme e condizioni per valutare i dati dell'esperienza stessa
18 febbraio



Albert Einstein, uno dei maggiori protagonisti della scienza nel secolo XX, fa parte di diritto della storia del pensiero. Egli, come Galileo o Newton, ha scritto una indelebile pagina quale sommo fisico ma, con conseguenze maggiori rispetto ad altre epoche, anche per la filosofia. Nella sua teoria della relatività ha mostrato che lo spazio e il tempo non sono immutabili, che il tempo può rallentare e lo spazio diventare curvo. E che l’energia e la materia sono la stessa cosa. Con la nuova visione del mondo da lui aperta, i filosofi non riusciranno più a ignorare quanto accade nella fisica.
25 febbraio



Friedrich Nietzsche è stato il filosofo che più di ogni altro, nell’Ottocento, ha completamente sovvertito i valori materiali e spirituali dell’Occidente e ai quali attribuiva la sua decadenza: la religione, la morale, la storia come evoluzione positiva dell’uomo “psico-pedagogizzato”, che ha il compito di capire, descrivere e classificare l’esistenza, subordinando ogni cosa a questo tipo di conoscenza. Si tratta del famoso nichilismo, che però non rappresenta una pura distruzione, ma parte dall’annientamento degli idoli per creare una filosofia che esalti e affermi la vita anziché giudicarla e condannarla.
4 marzo



Aristotele, insieme con Platone, è stato il filosofo che sta a fondamento di quasi tutte le discussioni riguardanti le nostre idee. A lui hanno chiesto e guardato con venerazione due millenni per capire cosa fosse giusto e cosa sbagliato in logica, nelle scienze, in metafisica, nell’ambito dell’etica e della stessa convivenza civile. È stato anche una vera enciclopedia dello scibile, che ha influito sulla cultura occidentale per duemila anni, impedendo di fatto la speculazione scientifica in altre direzioni. Ora che per noi resta soprattutto un filosofo, ci accorgiamo della sua straordinaria attualità di pensiero.




sabato 8 febbraio 2014

Il Quidditch attraverso i secoli: la versione Babbana spopola anche in Italia


A cura di Tonino Mangano


La penna di J.K. Rowling ha fatto sognare almeno due generazioni di bambini, adolescenti e adulti grazie alle avventure vissute affianco del maghetto più famoso del mondo: Harry Potter.
Non che le nozioni “magiche” siano tutte frutto di un’invenzione della Rowling - dato che molti aspetti del mondo magico sono state riprese da leggende, credenze medievali o poemi epici - tuttavia, una delle scrittrici più famose e ricche del mondo ha saputo dare vita a neologismi e universi del tutto originali che hanno dato un quid in più alla sua storia.
Anche il Quidditch ha catturato l'attenzione sia a livello letterario che a livello cinematografico, ed è stato proprio questo sport - che si gioca a cavallo di una scopa volante, tra palle di metallo che tentano di disarcionarti dalla scopa (i Bolidi), palline volanti che sfuggono alla cattura dei giocatori e la cui presa pone fine alla partita (il Boccino d’oro), e palle più “comuni” adatte a segnare normalissimi goal (la Pluffa) - a ispirare un gruppo di americani “Babbani” che hanno cercato di adattarlo alle necessità del nostro mondo non molto magico, potterianamente parlando.
Ecco allora che è nato uno sport che sembra riassumere in sé aspetti del rugby e della pallamano, con la difficoltà aggiunta di avere tre tipi di palla e una scopa tra le gambe.
Forse uno degli aspetti più originali consiste nella “personificazione” del Boccino d’Oro in un ragazzo o in una ragazza che porta con sé un calzino nei pantaloni. Il cosiddetto Boccinatore deve scappare dalla cattura dei Cercatori delle due squadre che si contendono la partita.
Come per il Boccinatore, anche l'arbitro necessita di preparazione fisica e teorica del gioco, oltre che di una qualifica per cui sono stati creati appositi test. Questo particolare serve anche a dare un’idea di come l’organizzazione del gioco e dello sport nel suo complesso non siano propriamente lasciate al caso, come nel caso di un esperimento semplicisticamente amatoriale.


Sono passati anni dal momento della sua ideazione e già questo nuovo sport, che inizia a diffondersi anche in Italia, il Muggle Quidditch, ha all’attivo più di quattro campionati internazionali e un primo campionato europeo terminato nei primi giorni di febbraio a Bruxelles (a cui hanno partecipato anche due squadre italiane: Milano Meneghins da Milano e Lunatica Quidditch Club da Brindisi), oltre che qualche campionato a livello nazionale.
A gestire l’intera organizzazione internazionale concorre l’IQA (International Quidditch Association) che ha sede negli USA, mentre in Italia è nata solo da qualche mese l’Associazione Italiana Quidditch (AIQ) con relativo canale YouTube e varie squadre che sono attive su suolo nazionale e che compongono la federazione italiana. Ad avere già una loro squadra sono le città di Milano, Napoli, Brindisi, Roma e Torino, che hanno pensato anche alla costituzione di una squadra nazionale che potrebbe rappresentare l’Italia nei prossimi campionati internazionali.
Ovviamente, il fenomeno dello sport più famoso dei maghi non ha potuto non avere una buona cassa di risonanza nelle entusiastiche aspettative di altri appassionati che adesso, in giro per l’Italia, stanno tentando di formare nuove realtà sportive. Reggio Emilia, Latina, Firenze, Cosenza, Caserta, Messina, Prato, Foggia, Lecce, Genova, Brescia, Udine, Gorizia, Palermo sono le città che si si stanno aprendo a quella che si presenta come una nuova frontiera dello sport, in una perfetta commistione con la letteratura.


L’espressione latina “Mens sana in corpore sano” non poteva essere più appropriata se pensiamo che da un buon prodotto letterario utile alla mente è nata un’esperienza d’aggregazione sportiva che sembra aver oltrepassato i confini dei vari paesi del mondo, svolgendo uno dei compiti che dovrebbero competere a letteratura e sport: unire gli individui in uno scambio reciproco di culture e dialogo costruttivo.

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