martedì 27 ottobre 2015

Beowulf tra Tolkien e cinema



Nella prima metà del '900, i bambini inglesi leggevano e si facevano leggere prima di dormire le storie e le leggende tradizionali raccolte dal folclorista Andrew Lang (1844-1912): entravano così nel mondo della Fata Rossa e incontravano streghe, principesse e draghi. Tra questi racconti troviamo anche la vecchia leggenda norrena di Sigurd e il drago Fafnir, che aveva a suo tempo ispirato la saga medievale tedesca dei Nibelunghi e più tardi il Ciclo dell'Anello di Wagner.

Tra questi bambini c'era anche il piccolo Tolkien (1892-1973), già curioso e completamente rapito da un passato lontano anni luce dall'oscurità fatta di guerre e fabbriche propria della sua epoca. Dopo aver vinto una borsa di studio prima alla King Edward's School e poi all'Exeter College di Oxford, il giovane Tolkien scopre un universo del tutto nuovo che lo stimola e lo ispira al contempo. Tra i libri che trova in biblioteca, rimane affascinato in particolare dal Beowulf, un poema epico datato intorno al decimo secolo: questa lettura lo conquista grazie alle sue avventure e ai suoi draghi e lo introduce all'inglese antico. Lo spinge inoltre a studiare le lingue e a crearne una personale, complessa e dotata di un fascino tutto suo. Diventato poi a Oxford professore di letteratura e lingua anglosassoni, Tolkien studia le saghe norrene, l'Edda islandese e la leggenda dei Nibelunghi e legge ai suoi allievi il prologo del Beowulf, soffermandosi in particolare sulla bellezza della poesia e sul fascino delle parole.

Non risulta strano quindi che proprio il Beowulf sia stato uno dei suoi primi lavori di traduzione e interpretazione: questo gli ha poi permesso di cogliere idee e spunti interessanti per quella che sarebbe stata in seguito la sua futura produzione letteraria. I romanzi di Tolkien sono infatti caratterizzati da un contesto per lo più medievale e forgiati nel folclore anglosassone. Nel 2014 è uscita in Italia per Bompiani una preziosa edizione critica del poema, accompagnata dai commenti di Tolkien, utili per godersi appieno un tesoro da troppo tempo relegato nei polverosi manuali del liceo o, ancor peggio, nell'oblio.
Pochi sanno però che dietro al nome Beowulf non si nasconde solo uno dei poemi più lunghi e completi in lingua inglese (conta ben 3182 versi) ma anche quello che potrebbe essere considerato come uno dei primi supereroi della storia della letteratura: il protagonista compie ogni sorta di impresa miracolosa, è molto coraggioso e abile con le armi, gli manca praticamente solo il dono del volo. Nato per essere letto e declamato durante i banchetti davanti ad un pubblico, probabilmente nobile, il Beowulf presenta il prototipo dell'eroe germanico: mancano riferimenti ad una sua effettiva esistenza e la sua figura si avvicina per lo più alle leggende danesi e svedesi, anche se nel testo abbiamo una parte di collegamento tra le due avventure principali in cui i Geati si battono contro Franchi, Frisoni e Svedesi, come probabilmente è avvenuto nella realtà.

Il titolo del manoscritto, che attinge alla tradizione epico-eroica germanica, in origine era assente ed è stato dato dagli editori in un secondo tempo. Questa scelta ha almeno due diverse interpretazioni: per alcuni studiosi, tra cui i Grimm, Beowulf significa "lupo con caratteristiche di ape" (da "beo" ape e "wulf" lupo), mentre per altri che considerano come origine del nome la radice verbale germanica "beug" (piegare, sottomettere), vuol dire semplicemente "colui che piega o sottomette il lupo". Grendel, il mostro contro cui Beowulf combatte, rappresenta infatti il lupo, il fuorilegge bandito dalla società: ha spesso caratteristiche umane, prova invidia davanti al banchetto a cui non è stato invitato e non uccide mai senza un motivo preciso. Come spesso succedeva all'epoca dei racconti tramandati di generazione in generazione, il manoscritto era probabilmente la storia vera di un uomo comune che sconfiggeva dopo ripetuti tentativi un pericoloso bandito: col tempo questa vicenda, inizialmente ambientata nel quotidiano, si era ingigantita sempre più, trasformando l'uomo in eroe e il fuorilegge in un vero e proprio mostro. La società scandinava prevedeva infatti l'allontanamento e la messa al bando di chi si comportava o agiva diversamente dai dettami previsti all'epoca. Il manoscritto in cui è riportato è inoltre noto anche con il nome Cotton Vitellius: è stato per anni nello studio di Sir Robert Cotton, uno dei più grandi collezionisti di manoscritti medievali tra '500 e '600. Sir Robert aveva una grande passione per la storia romana e in particolare per gli imperatori di cui collezionava i busti: aveva quindi sistemato i due codici che compongono il Beowulf dietro la testa dell'imperatore romano Vitellio.

La grande avventura di Beowulf non è ambientata in Inghilterra ma in Scandinavia, in quella chesi pensa che il Beowulf sia stato composto da un ecclesiastico in Northumbria tra il 673 e il 735, periodo in cui Beda il Venerabile era attivo. Altri lo collocano in Mercia verso la metà dell'ottavo secolo, dal 750 in poi, altri ancora nell'undicesimo secolo. L'originale era probabilmente scritto in anglico, mentre la versione che è giunta fino a noi risale all'anno Mille ed è in dialetto sassone con alcune parole in dialetto anglico della Mercia. La spiegazione di questo strano insieme è abbastanza semplice: il copista, probabilmente un monaco, era straniero e per questo aveva aggiunto senza volere caratteristiche e parole del proprio dialetto, in particolare alcune forme della Mercia; oppure forse il manoscritto originale veniva dalla Mercia mentre il copista era sassone, quindi aveva aggiunto alcune parole della sua lingua.
potrebbe essere l'antica Svezia o Danimarca: sia la materia che il contenuto appartengono infatti alla tradizione scandinava. Molto probabilmente gli Angli hanno portato questa storia dal continente fin sull'isola britannica, insieme ad altre saghe germaniche dei territori che confinavano con la loro patria d'origine. Ma il grande mistero che circonda questo poema epico-eroico e che da sempre ha fatto discutere gli studiosi riguarda la datazione:

La struttura del Beowulf è ciclica: il protagonista combatte infatti con un mostro sempre più forte e ogni volta la lotta si fa più dura. In tutto il testo incontriamo riferimenti alla bontà e al coraggio dell'eroe, sempre pronto con fermezza ad aiutare chiunque sia in difficoltà. L'argomento del Beowulf è di tipo pagano, ma il manoscritto è stato copiato da qualcuno che si muoveva già nel contesto religioso cristiano e che è stato probabilmente influenzato da questo. Il poema rappresenta quindi in un certo senso quello che potrebbe essere un primo rapporto tra cristianesimo e paganesimo, due correnti che si sfiorano e si sovrappongono modificandosi continuamente. I mostri rappresentano il male che attacca la società e tenta l'anima umana. Nel duello che domina la seconda parte del poema, Beowulf combatte con un drago, che ha poi ispirato Tolkien nella creazione di Smaug: in quest'ultima grande sfida, però, il protagonista è entrato talmente in contatto con il male da non potervi più sopravvivere, è stato infettato. La morte è per questo un modo cristiano per ridimensionare l'eroe e purificarlo dal desiderio di sfidare gli dei nel tentativo di essere migliore di loro o quantomeno simile.

Nel corso degli anni anche il cinema ha omaggiato a modo suo Beowulf con una serie di pellicole ispirate alle avventure del protagonista. Tra questi spicca il film in motion capture del 2007, La leggenda di Beowulf di Robert Zemeckis (Ritorno al futuro, Forrest Gump), che ha come sceneggiatori Neil Gaiman e Roger Avary. Questo adattamento del poema anglosassone è veramente molto libero: si va dalla bellissima Angelina Jolie nei panni della madre di Grendel, al figlio drago che i due hanno insieme. Altra versione cinematografica del poema è Beowulf & Grendel del 2005, girato in Islanda dal regista islandese Sturla Gunnarsson con Gerard Butler nei panni del protagonista. In questo adattamento troviamo addirittura alcuni nuovi personaggi, tra cui il padre e il figlio di Grendel. Qui l'acerrimo nemico di Beowulf è mostrato come un troll ma ha parvenza umana. In questa versione viene proposto in un certo senso il tema della mostruosità come diversità che spinge l'uomo ad attaccare chi non è come lui. Citiamo per completezza anche il film inglese del 1999 ambientato in una realtà post-apocalittica e con Christopher Lambert nel ruolo di un Beowulf ancor più alternativo perché figlio a sua volta di una donna e di un diavolo. Queste pellicole sono accomunate da un tentativo in parte riuscito di umanizzare i mostri e demonizzare Beowulf, o comunque renderlo più umano e come tale fallibile e non immortale. Questa prospettiva è anche quella che il finale metaforico del poema sottende e i film realizzano più in concreto: Beowulf non è infatti solo un eroe senza macchia e senza paura ma è anche un uomo con pregi e difetti che, nella dura lotta per la sopravvivenza, si sporca, cade e si rialza ma, volente o nolente, miete comunque le sue vittime e va infine incontro alla morte.


mercoledì 14 ottobre 2015

Marlon James vince il Man Booker Prize 2015



Breve storia di sette omicidi (A Brief History of Seven Killings) di Marlon James si aggiudica il Man Booker Prize 2015, uno dei più importanti riconoscimenti all'editoria in lingua.
Il premio viene assegnato per la prima volta alla casa editrice indipendente Oneworld Publications, attiva dal 1986 e fondata sui solidi principi della distribuzione di eccellenza letteraria, con all'attivo circa cento pubblicazioni all'anno. Altra novità apportata a partire da quest'anno è l'apertura della partecipazione agli scrittori di tutte le nazionalità, purché i testi siano pubblicati originariamente in inglese e distribuiti nel Regno Unito - fino all'anno scorso potevano partecipare solo scrittori nativi del Commonwealth, dell'Irlanda e dello Zimbabwe.

Ambientato a Kingston, luogo natale di James, Breve storia di sette omicidi è il racconto immaginario del tentato omicidio di Bob Marley nel dicembre del 1976, alla vigilia del  «concerto per la pacificazione», raccontato attraverso la voce polifonica di 75 personaggi tra agenti segreti, assassini, spacciatori e poliziotti corrotti. Un romanzo corale e crudo, dunque, ma anche una grande testimonianza storica del ventennio nero della storia giamaicana (dagli anni Settanta agli anni Novanta), segnata da violenza, droga, mafia e lotte politiche.
Questo volume, di ben 708 pagine nella sua versione italiana distribuita da Frassinelli,  ha ottenuto un grande successo di pubblico soprattutto negli Stati Uniti, tanto che il New York Times ha definito quest'opera "al pari di un remake di Tarantino di The harder They Come (di Perry Henzell), musicato da Bob Marley e scritto da Oliver Stone e William Faulkner (...). Vasto, mitico, al di sopra della media, colossale e vertiginosamente complesso".

Dopo aver accettato il premio, Marlon James ha dedicato la vittoria al padre, con il quale era solito lanciarsi in "duelli shakesperiani", auspicando che il premio a lui assegnato possa creare maggiore curiosità nei confronti della letteratura caraibica, e denunciando la necessità di scrivere il suo romanzo "in esilio" per evitare conseguenze politiche.
Nella shortlist del premio erano presenti anche A Little Life  di Hanya Yanagihara, The Fisherman di Chigozie Obioma, The Year of the Runaways di Sunjeev Sahota, Satin Island di Tom McCarthy e A Spool of Blue Thread (in italiano Una spola di filo blu, edito Guanda) di Anne Tyler.
Tra questi, fin dall'inizio la favorita era stata l'americana Hanya Yanagihara, con i suoi brillanti e crudi racconti di abusi su minori, nonostante la ben nota verve di Tom McCarthy e l'annuncio del possibile addio alla scrittura di Anne Tyler, Premio Pulitzer del 1988.
Ricordiamo inoltre che illustri vincitori delle scorse edizioni sono stati Ian McEwan (Amsterdam, 1998),  John Maxwell Coetzee (La vita e il tempo di Micheal K, 1983; Vergogna, 1999), Yann Martel (Vita di Pi, 2002) e Julian Barnes (Il senso di una fine, 2011).
Si stima che, in seguito alla vittoria del Man Booker, le vendite di Breve storia di sette omicidi raggiungeranno picchi da record, come è successo l'anno scorso per Flanagan con La strada stretta per il profondo Nord (uscito di recente in italiano per Bompiani), che ha venduto circa 300.000 copie in Regno Unito, 800.000 nel resto del mondo ed è stato tradotto in 38 paesi.
Ultima supposizione è che il romanzo di Marlon James potrebbe arrivare presto sul grande o piccolo schermo, seguendo la scia dei sette vincitori storici, visto il grande interesse che ruota attorno alla figura di Bob Marley.
Di stima precisa, invece, il premio che l'autore ha portato a casa: oltre alle 50.000 sterline della vittoria e al trofeo, James riceve anche un edizione speciale rilegata del suo libro e 2500 sterline per essersi aggiudicato un posto nella rosa dei candidati.
Il presidente della giuria Micheal Wood ha così motivato la decisione dei giudici:


"Questo libro è sorprendente nella sua gamma di voci e registri, che vanno dal gergo di strada alla lingua del Libro dell'Apocalisse. Si tratta di una rappresentazione dei tempi politici e dei luoghi, dall'intervento della CIA in Giamaica ai primi anni in cui si diffusero le bande del crack a New York e Miami. (...) È un romanzo poliziesco che si muove al di là del mondo del crimine e ci porta in profondità in una storia recente della quale sappiamo troppo poco. Si muove ad un ritmo fantastico e arriverà ad essere visto come un classico dei nostri tempi ".



martedì 13 ottobre 2015

Recensione: Beautiful You di Chuck Palahniuk

Beautiful You, Chuck Palahniuk
Mondadori
252 pagine, 20.00 euro
È uscito oggi per Mondadori “Beautiful You”, l'ultimo romanzo di Chuck Palahniuk. Dopo averci regalato la sua personalissima visione del fantasy adolescenziale nella duologia con protagonista Maddison Spencer – morta e condannata all'inferno –, il prolifico autore americano si confronta qui con un'opera che richiama nei temi la letteratura erotica per casalinghe annoiate che sembra spopolare tra gli scaffali delle nostre librerie.

Immaginatevi, per cominciare, di prendere la storia di Cenerentola e metterla nelle mani di uno scrittore eclettico e sanguigno come Palahniuk: avrete a quel punto una protagonista, Penny Harrigan, che vuole un sogno tutto per lei ma non ha idea di come quel sogno dovrebbe essere; una donna in cerca di risposte, di realizzazione, una donna senza particolari attrattive che cade letteralmente ai piedi di Cornelius Linus Maxwell, il principe azzurro di questa storia, una sorta di Mister Grey senza la più o meno apprezzabile passione per il BDSM. Penny vive così la sua favola senza farsi mancare niente, né il vestito mozzafiato né la cena sulla cima della Tour Eiffel, ma scopre ben presto che Maxwell la sta usando per testare la sua nuova linea di sex toys per sole donne, la Beautiful You, dei giocattolini così potenti da far dimenticare a chi li usa ogni cosa all'infuori del proprio piacere sessuale.Si crea così, in tutto il mondo, una situazione che ricorda la Lisistrata, ma senza nessuno dei validi motivi per cui le donne rifiutano di concedersi, nella commedia di Aristofane, ai mariti.

Le donne di Palahniuk sono egoiste ed egotistiche, pronte ad impugnare l'arma della rivendicazione femminista per una società non più basata sull'uguaglianza tra i sessi, ma sulla supremazia femminile. "Gli uomini sono obsoleti" dichiara la collega e coinquilina di Penny, dopo aver comprato il suo primo articolo della Beautiful You, "tutto quello che può fare un uomo per me, posso farlo meglio da sola".Sarà proprio Penny, sedotta e abbandonata da Maxwell, ad affrontarlo in campo aperto cercando di riportare la società alla normalità. Grazie agli insegnamenti del suo iniziatore (Lo scopo di una donna non è di essere un contenitore, ma una conduttura. Perché possa sopravvivere, molte cose devono passarle attraverso.) e di un’improbabile mentore di nome Baba Barba Grigia, Penny tenterà di distruggere il dominio di Maxwell e riportare le donne alla ragione.Ci troviamo davanti a un libro in cui Palahniuk mette molta carne al fuoco e privilegia per una volta la narratività del testo alla sperimentazione stilistica, rendendo questo romanzo un perfetto starting point per i nuovi lettori, ma anche un testo capace di donare molti spunti di riflessione sulla società contemporanea.

A cura di Angela Bernardoni.

giovedì 8 ottobre 2015

Premio Nobel 2015 per la Letteratura a Svetlana Aleksievič



Svetlana Aleksievič vince il premio Nobel per la Letteratura 2015. Quattordicesima donna ad aggiudicarsi l'ambito premio dell'Accademia di Svevia, che anche quest'anno non va a Philip Roth, Aleksievič è una giornalista e scrittrice bielorussa che ha prodotto solo quattro libri, l'ultimo dei quali Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo, uscito lo scorso anno per Bompiani.
Nei suoi libri cerca di far emergere le voci e i volti delle persone, in un momento in cui l'umanità stessa è diventata multiforme: la cronaca diventa l'unico modo per preservare la realtà.
Nata nel 1948 e maturata letterariamente nel periodo della dittatura comunista nell’ex URSS, è stata perseguitata dal regime autoritario del presidente Aleksandr Lukašenko. Accusata di essere una spia della CIA, ha dovuto abbandonare il suo paese, in cui sono stati banditi i suoi libri, tradotti nel frattempo in oltre quaranta paesi. Il suo lavoro si incentra sulla raccolta di informazioni per mezzo di documenti scritti o interviste, ponendo un particolare accento sulla situazione dei paesi dell’ex Unione Sovietica prima e dopo il crollo del regime comunista. L'accademia di Svevia, ha annunciato la filologa svedese Sara Danius, ha deciso di premiarla per il suo “polyphonic work, writing a monument to suffering and courage in our time”.
Il lavoro di Svetlana Aleksievič, spiega la Danius, non ha la mera rilevanza di una raccolta di informazioni storiografiche, ma è un lavoro ragguardevole per l'importanza che dà all' “individuale”.
Le opere dell’ Aleksievič sono un’aperta denuncia alla politica violenta del regime comunista, ma in senso più generale, a quella scelleratezza che è la guerra, come si evince da Ragazzi di zinco (ambientato durante il periodo della guerra di Afghanistan) o La guerra non ha un volto di donna (che concerne le vicissitudini delle donne al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale). La Danius  (a sua volta prima donna in 114 anni di storia del Nobel ad avere ottenuto, solo quest'anno, la carica di segretario permanente del Comitato) e l’intera Accademia svedese avranno sicuramente tenuto conto di questa natura da autrice engegée che Svetlana Aleksievič ha dimostrato - attirando su di sé le antipatie dello stesso regime -, ma ciò che ha colpito e spinto l’organizzazione del Premio Nobel ad attribuirle l’onore di questa vittoria, risiede nel “new genre of literature”, in questo nuovo modo di fare letteratura che viene distinto dalla semplice esposizione degli eventi (“not only for the story”)
La scrittrice bielorussa non ha descritto la storia come successione di eventi, di cause e di conseguenze, ma si è concentrata sulle emozioni, focalizzandosi sull’ “exploring soviet individual”.



L'intervista a Sara Danius sul conferimento del premio a Svetlana Aleksievič


martedì 6 ottobre 2015

Video: preferiti di settembre



Ciao a tutti! Dato che settembre è stato un mese disastroso per le letture, ho deciso di fare solo un video con i preferiti del mese. Fatemi sapere se vi interessa questo tipo di video ^^

Commento al discorso tenuto in occasione della laurea honoris causa: http://dustypagesinwonderland.blogspot.com/2015/10/riflessione-di-uno-scrittore-commento.html

venerdì 2 ottobre 2015

"Riflessione di uno scrittore", commento alla Lectio Magistralis di Mario Vargas Llosa



Mario Vargas Llosa torna sui temi dell'intrattenimento letterario. Dopo La civiltà dello spettacolo (Einaudi, 2013), il Premio Nobel peruviano afferma ancora con forza l'imprescindibilità del valore civile della letteratura, all'interno di un discorso tenuto il 14 settembre 2015 all'Università di Palermo in occasione del conferimento della laurea Honoris Causa in Lingue e Culture Moderne dell'Occidente e dell'Oriente. Cercando di rispondere alla domanda “A che serve la letteratura?”, Vargas Llosa cita Sartre, secondo cui, ricorda, “le parole sono atti”, in nessun modo riconducibili all'intrattenimento. Mediante la letteratura si influisce sulla vita degli altri e sulla Storia, indirettamente, forgiando le coscienze.

La concezione di Sartre è superata, sostiene Vargas Llosa: in pochi condividono ancora queste idee; eppure, non si può credere che la lettura sia “un'attività senza conseguenze, con l'unico scopo di offrire un momento di svago alle persone”.
Vargas Llosa ha vissuto nei decenni della critica autorevole, in cui imperversavano accesi dibattiti di teoria della letteratura, dove argomenti come l'intenzione dell'autore dietro al testo, la ricezione del lettore, il rapporto tra finzione e realtà venivano analizzati chirurgicamente, con aspirazioni quasi scientifiche, anche quando si trattava di illazioni prettamente dialettiche. È rimasto sullo sfondo, comunque, il tarlo su cosa sia la letteratura e a cosa serva.
Forse perché erede di questa tradizione, Vargas Llosa continua a chiederselo, rimasto, credo, uno dei pochi a pensare che la domanda sia di capitale importanza. Ed è per questo che continua a essere fondamentale l'opinione di un grande scrittore, non solo in virtù del Nobel, quanto, se non di più, perché portavoce di un sistema – che io non credo obsoleto – ormai dimenticato.

Ho sentito dire, una volta, che la letteratura non serve a dare risposte, quanto a farci porre le domande giuste: così, interrogarsi ancora su cosa sia la letteratura – anche se forse non lo sapremo mai –, è imprescindibile per scoprire qualcosa di più anche sui noi stessi in quanto esseri umani.
Vargas Llosa risponde che la letteratura serve per intrattenere, senza dubbio, “non c'è niente che intrattenga di più di una poesia o di un grande romanzo; ma questo intrattenimento non è effimero, lascia un segno segreto e profondo nella sensibilità e nell'immaginazione”.
È una sedimentazione, possiamo dire: nelle menti più fervide, la grande letteratura lascia semi che germogliano in altre storie, o addirittura in azioni.

L'autore, nella stessa Lectio magistralis, d'altronde parla anche di come si scrive un romanzo. Non può allora non partire dalla propria genesi di lettore, cercando di spiegare prima di tutto perché si scriva letteratura. Una scelta totalmente sconveniente, perché poco redditizia, difficile, addirittura una condanna all'emarginazione. Non un hobby, qualcosa da fare nei ritagli di tempo, ma una vocazione a cui dedicare anima e corpo.
«Vocazione» è una parola tanto suggestiva da richiamare un'altra dimensione letteraria. Riempie un'area semantica che si avvicina al divino, alla predestinazione, all'ineluttabilità di un'attività che ti sceglie e davanti a cui non puoi tirarti indietro. Sono allora i temi a scegliere lo scrittore, non viceversa. Sono le esperienze, le letture, a forgiarci, a contribuire alla creazione letteraria, di cui lo scrittore sembra essere solo strumento.

L'idea che ne ho ricavato è che la letteratura non sia altro che una grande, immensa storia composta da piccoli pezzi tutti collegati tra loro. Se nulla si crea, se tutte le storie sono state raccontate, la letteratura diventa referenziale, una rete di rimandi a questo o a quell'altro libro, un pout pourri che rimescola ogni volta gli stessi ingredienti per dare vita a una forma nuova e contemporaneamente antica, atavica, già conosciuta.
Questa storia universale della letteratura crea dei mondi speculari, paralleli, dove i personaggi prendono vita e la dimensione letteraria prende corpo, manifestandosi al di fuori dello scrittore in modo talmente forte da essere percepita anche da chi non l'ha creata.
Ne è un esempio l'esperienza riportata da Vargas Llosa: grandi critici gli hanno infatti spiegato in modo convincente significati e misteri della trama dei suoi romanzi a cui lui non aveva minimamente pensato. Ecco perché è vitale la critica: vede al di là, in profondità, oltre le intenzioni consce dell'autore stesso.

“Quando si scrive, non solo si proietta la parte conscia di se stessi, ma anche la parte oscura della propria personalità […]. Nel processo di creazione, questi stati che i romantici chiamavano ispirazione e che potrebbero chiamarsi eccitazione o sovraeccitazione, affiorano nel momento di scrivere e lasciano anche una traccia. Questo spiega il perché di come quello che lo scrittore voglia dire non coincide sempre con quello che i lettori capiscono. Ma ciò non invalida la sua interpretazione, semplicemente rende manifesta la cecità che a volte ha lo scrittore di fronte a quello che fa”.
Un processo che riguarda molto la creazione artistica, che per Vargas Llosa si traduce in una riscrittura della prima stesura – in un modo che ricorda Carver –, in una elaborazione “che va prendendo forma per eliminazione”, cioè grazie a un'operazione di sottrazione, di correzione e distruzione di quello che si è già scritto.
Vargas Llosa non precisa se si tratta di una rifinitura esclusivamente formale o inerente anche alla trama, ma parla della storia come di una creatura in divenire, una “nebulosa” che non è mai definita, prima di essere trascritta su carta e aver messo il punto definitivo.

La motivazione di tanta fatica nasce dall'insoddisfazione nei confronti del mondo reale. Se la lettura dà la possibilità di “poter viaggiare nello spazio e nel tempo”, di vivere esperienze alternative, la scrittura si pone a sua volta come il tentativo di modificare storie già lette, cambiandone il finale.
Potrei azzardare, pur non volendo traviare le parole del premio Nobel, che si tratta più inconsciamente di un tentativo di modifica della realtà stessa, che si vuole piegare ai propri desideri. C'è allora, nello scrittore, la tendenza a plasmare non tanto il campo della fantasia, ma, come abbiamo avuto modo di intuire, della stessa realtà. Alla fine, credo, leggiamo e scriviamo libri per cambiare il mondo o, quantomeno, per renderlo un posto migliore: affermazione opinabile e del tutto personale, ma che si avvicina forse al motivo per cui Vargas Llosa parla in termini negativi di cultura light, perché non ci restituisce, cioè, gli strumenti per migliorare noi stessi e quello che ci circonda.
Il rapporto tra scrittura e realtà è però biunivoco: come la prima agisce o cerca di agire sulla seconda, così la seconda influisce in maniera sottile sulla prima, instillandosi nella mente dell'autore e mettendovi radici, per trasformarsi, infine, nel nocciolo di una nuova storia.

Mario Vargas Llosa parla con delicatezza ma con fermezza di punti che da una parte sono condivisibili, perché toccano corde a cui è difficile non essere sensibili, dall'altra sono controversi: mi riferisco alle definizioni di intrattenimento e al ruolo attribuito alla lettura che ne consegue, ma anche alle parole finali “sono convinto che le finzioni cinematografiche non possiedono questo corollario lento, ritardato che possiede la letteratura, nel senso si sensibilizzarmi alle mancanze della realtà e di farmi sentire la mancanza della libertà”. Vargas Llosa crede infatti nel potere della letteratura di rendere liberi: un popolo “contaminato dalle finzioni” è difficile da rendere schiavo, è scontento e anticonformista. Che questa esigenza non possa essere veicolata da altri mezzi è affermazione a cui servirebbe forse qualche altra spiegazione di supporto.

Pur condividendo tutto – poiché ho un punto di vista molto netto su ciò che dovremmo aspettarci dalla letteratura, il cui termine viene accostato all'intrattenimento in modo quasi paradossale –, resta aperta la questione sul diritto democratico di convertire il libro – persino il libro – in un prodotto di consumo: conseguenza indesiderata della diffusa alfabetizzazione, che ha reso il gusto della massa l'indice imperante del mercato editoriale.


LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...