Le ateniesi, Alessandro Barbero
Mondadori
211 pagine, 19.00 euro
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Pensavo di avere a che fare con un libro che proponesse una rivisitazione delle tragedie/commedie antiche, ma Le ateniesi di Alessandro Barbero potrebbe facilmente competere con una ricostruzione di delitti e aggressioni ai danni di quelle donne alle quali la tv ci ha abituato con i suoi talk show.
Siamo nella Atene del 411 a.C., epoca della democrazia, delle battaglie ormai lontane e del mantenimento dovuto ai reduci di guerra. Due di questi, Trasillo e Polemone, anziani, vivono dei prodotti della terra e del salario stabilito dalla polis. I nobili si riuniscono in banchetti a casa di Eubulo per decidere di sovvertire l'ordine, affidando a dei sicari il compito di uccidere alcuni cittadini senza reale movente e sperando così di spingere la cittadinanza intera a votare in assemblea un'oligarchia costruita sulla paura. Il piano viene approvato e siglato con il vino: si entrerà in azione dopo la prima giornata della festa del Torchio, quando il popolo (maschile) andrà a teatro per assistere ad una commedia di Aristofane. Nel frattempo, però, le figlie di Trasillo e Polemone, Glicera e Charis, accettano ingenuamente di recarsi in casa di Cimone, giovane figlio di Eubulo, mentre i loro padri assistono allo spettacolo. Il ragazzo, insieme ad un amico, adesca le donne con la scusa di farsi vendere dei canestri di frutta e manda via tutti i servi nella tenuta di campagna per evitare di avere testimoni che possano riferire dell' intento di approfittarsi delle due.
Le ateniesi rievoca delle questioni che sembrano fondamentali nella cultura italiana di oggi: il problema della cerchia di uomini influenti che decidono di spartirsi il potere denigrando la democrazia, la visione fallocentrica della vita e la bassa considerazione delle donne, che nell'arco di secoli non è cambiata ed è andata rafforzandosi in concomitanza con la necessità di emancipazione femminile. Il tutto affidandosi alla Lisistrata di Aristofane, commedia che rappresenta, insieme ad altre opere dell'autore greco, un unicum nel corpus della letteratura teatrale classica per l'apparente volontà di ergersi contro l'emarginazione femminile – anche se sappiamo in che misura questo potesse rappresentare uno specchietto per le allodole, in quanto la misoginia era largamente diffusa anche tra i tragediografi più illuminati – e contro la guerra tra popoli fratelli. I caratteri sono credibili e verosimili, anche se si tende all'esagerazione per porre l'accento su qualità negative umane. Vengono evidenziate le differenze tra uomo e donna, ma anche tra schiavo e libero, ricco e povero, in una serie di dicotomie che servono a giustificare le azioni che vengono perpetuate dai personaggi: la crudeltà diventa un modo per il maschio alfa di dimostrare la propria virilità, mentre la donna non può definirsi vittima se, in qualche modo, ha permesso al suo aguzzino di mettere in atto il suo piano di abuso.
Nonostante il grande coinvolgimento emotivo che può scaturire dalla lettura, Barbero sembra affidarsi troppo alla commedia di Aristofane, che fa da controcanto alla cruenta violenza che si sta mettendo in atto e non riesce a rendere manifesto il significato di questa scelta. Inoltre, come già accennato prima, alcune scene volte a rimarcare il fallocentrismo della società greca sono assolutamente superflue ai fini della storia.
In conclusione, Le ateniesi è una lettura che ha il pregio di rappresentare l'immutevole storia della violenza sulle donne e della loro lotta per i diritti, ma perde nella ridondanza delle allusioni sessuali e nell'eccessiva dilatazione dei tempi dell'azione, affidandosi poi al classico deus ex machina per risolvere il senso di ingiustizia che sorge nel lettore. Ma ciò non basta a renderla una storia degna di essere letta: tanto vale affidarsi al buon vecchio Aristofane.
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