domenica 28 febbraio 2016

Video: Undici libri che porterò a Milano (la lotta intestina tra la volontà e lo spazio in valigia)


Ciao a tutti! Dopo due mesi stressanti, brutti e, spero, definitivamente accantonati, ecco il mio nuovo video. Perdonate la lunghezza, ma questa volta avevo bisogno di un po' di tempo in più. Perché non mi andava di tagliare, ecco. Vi racconto le novità e vi parlo, come sempre, di libri. Presto tornerò ad aggiornare anche il mio blog personale (www.fedinprogress.blogspot.it) e a scrivere nuovi pezzi letterari su Dusty pages in Wonderland. Sperando, davvero, di sopravvivere.


giovedì 25 febbraio 2016

Recensione: Il serpente dorato di Veronica Elisa Conti



Il serpente dorato, Veronica Elisa Conti
Pegasus edizioni
182 pagine, 13.00 euro
Il serpente dorato è un libro vario, complesso e di difficile collocazione, vagamente permeato di un sapore antico: inizialmente ricorda le atmosfere ovattate e claustrofobiche de Il grande sonno con Humphrey Bogart e Lauren Bacall, poi se ne discosta per sfiorare tematiche e situazioni diverse, arrivando a spaziare dal gotico nella sua vena più esoterica, fino al giallo e al noir. Il lettore si lascia trasportare lentamente dai fotogrammi di questo romanzo violentemente visivo, ricco di immagini vivide e ben scritte, quasi adatte alla sceneggiatura di un film. Il protagonista è in un certo senso il collante che tiene insieme strade e tendenze narrative apparentemente opposte: a tratti è un detective attento, perspicace e oggettivo, a volte solo un attore e un uomo fallito e sognante che si focalizza sulla propria interiorità.

Per la stesura del suo secondo romanzo, l'autrice Veronica Elisa Conti ha senza dubbio attinto dai suoi amori personali, tra cui i noir della Hollywood anni ’40, popolati da donne affascinanti e terribili, e le opere di James Ellroy, così come è dichiarato anche nella breve biografia contenuta nel volume. Non si è però fermata alla semplice creazione di un connubio letterario delle proprie passioni: questo romanzo è infatti dotato di una scrittura particolare che riesce ad essere profonda e coinvolgente al tempo stesso, soprattutto nelle parti dedicate ai pensieri o alle parentesi oniriche.

La storia è ambientata in una misteriosa e inquietante New Orleans degli anni ’40, a metà tra il passato magico e conturbante della cultura nera e un presente chiassoso e indistinto. In questa evocativa città del Sud, tra le sue case bianche e maestose, l'investigatore Darrel Faulkner cerca di risolvere il caso più complicato della sua vita senza impazzire del tutto: il suo mentore è infatti misteriosamente morto mentre era impegnato nelle ricerche di una bambina, sparita dalla sua stanza in circostanze incredibili tra riti oscuri e presenze inspiegabili. Durante le indagini, Faulkner si trova a dover affrontare persone e situazioni intricate e allucinanti che lo spingono a modificare la sua visione della vita, se non addirittura se stesso. Il serpente dorato è in un certo senso un viaggio verso l’inconoscibile: ci avvolge lentamente e inesorabilmente come le spire di un boa e ci conduce, insieme al protagonista, verso una realtà diversa da quella di tutti i giorni. Interessante è anche il riferimento al mistero della camera chiusa, uno dei capisaldi del giallo classico e rompicapo con cui per uno scrittore è sempre difficile ma piacevole confrontarsi.

I personaggi sono credibili e dotati di caratteristiche uniche e peculiari, per quanto a volte appena accennate: l’autrice sembra infatti aver puntato i riflettori soprattutto sul protagonista, gli altri appaiono quasi come contorno. Darrel Faulkner è un investigatore squattrinato e triste, ma anche un aspirante attore con mille ansie e pruriti psicosomatici; più semplicemente è un uomo normale alla ricerca di un cambiamento e soprattutto di passione e fuga dal grigiore dell’esistenza. La cartomante Penny Crane è una controparte tranquilla e dimessa: svolge il suo lavoro senza dialoghi intensi o virtuosismi di alcun tipo. L’altro personaggio che avrebbe forse potuto dare di più ma che sembra in ultima analisi stereotipato è la femme fatale Dalhia Deveraux: intrisa di oscurità e di magia fin dalle prime apparizioni, non stupisce quasi mai per le sue scelte e percorre le pagine del romanzo senza troppi sussulti.

I dialoghi sono sicuramente uno degli ambiti in cui la componente cinematografica emerge di più: abbiamo colloqui semplici, veloci ed essenziali, almeno per quanto riguarda il senso immediato delle parole; pur essendo credibili e verosimili, riescono però raramente ad essere risolutivi, per lo più ci presentano rivelazioni fuorvianti ed enigmatiche. La vera realtà dietro a tutte le apparenze emerge infatti dai pensieri, dalle visioni e dai sogni che di volta in volta affliggono i personaggi e soprattutto il protagonista.

Lo stile ricorda fortemente una sceneggiatura, caratterizzata da frasi brevi e descrizioni e sensazioni che parlano all’anima, raffinate e precise: si sviluppa quindi sulle percezioni visive ed emotive del lettore e sulla sua immaginazione, cercando di spingerle al di là dei limiti conosciuti. Troviamo una buona varietà di registri diversi: si va dai dialoghi immediati ai pensieri dei personaggi, fino ad arrivare ad un vero e proprio delirio onirico. La punteggiatura e la divisione in paragrafi si fanno a tratti più libere, quasi tendono all'ambito della poesia.

In definitiva Il serpente dorato è una buona interpretazione di quello che potrebbe essere un prodotto gotico dei nostri tempi, influenzato dai suoi antenati più illustri e da un linguaggio cinematografico che lo rende scorrevole, piacevole e di facile comprensione visiva. Un discorso a parte è il capitolo finale, vera e propria resa dei conti verbale tra il protagonista e il suo karma, verso una soluzione ultima che mette d'accordo e unisce culture e tradizioni diverse. L’autrice spinge Darrel Faulkner in una situazione forse troppo grande per lui: questi ultimi paragrafi si fanno infatti criptici, filosofici e sicuramente molto ambiziosi; al contempo la trama si chiarisce ulteriormente e ci troviamo alle prese con un finale tra il metafisico e lo spirituale, affine in parte alla ritualità di Stoker e al romanzo fantastico. Personalmente ho gradito questa conclusione così pindarica ed estrema che accompagna il lettore in un mondo alternativo ma sempre con rimandi a quello reale. 
Dopo aver ampliato la trama, Veronica Elisa Conti riesce comunque a dare una spiegazione valida alle vicende narrate senza smettere di essere credibile. Uniche pecche di tutto il volume sono una scelta di parole e immagini che risultano a volte troppo potenti e che finiscono per ripiegarsi su se stesse e dilagare in un’inutile ridondanza dal sapore barocco; in alcuni casi, troviamo anche un dislivello eccessivo tra un capitolo e l'altro, come se mancasse un vero e proprio nesso logico: lo stile onirico, poetico e surreale è un elemento senza dubbio positivo, ma si ha l'impressione che qua e là sia troppo spinto e manchi qualche spiegazione in più, che permetta al lettore di seguire effettivamente la narrazione e godere a pieno di quelle che sono le buone premesse dell'autrice. D’altro canto questa marcata brevità deriva anche dall’impostazione generale di un romanzo che potrebbe essere descritto come una fiaba gotica e che quindi, come ogni fiaba, ha bisogno di veloci pennellate e non di lunghi e dettagliati paragrafi. Nonostante questi problemi, Il serpente dorato resta comunque un titolo piacevole e interessante che fa ben sperare per il futuro dell'autrice.

Voto: 


lunedì 22 febbraio 2016

Recensione: Le ateniesi di Alessandro Barbero



Le ateniesi, Alessandro Barbero
Mondadori
211 pagine, 19.00 euro
Pensavo di avere a che fare con un libro che proponesse una rivisitazione delle tragedie/commedie antiche, ma Le ateniesi di Alessandro Barbero potrebbe facilmente competere con una ricostruzione di delitti e aggressioni ai danni di quelle donne alle quali la tv ci ha abituato con i suoi talk show.

Siamo nella Atene del 411 a.C., epoca della democrazia, delle battaglie ormai lontane e del mantenimento dovuto ai reduci di guerra. Due di questi, Trasillo e Polemone, anziani, vivono dei prodotti della terra e del salario stabilito dalla polis. I nobili si riuniscono in banchetti a casa di Eubulo per decidere di sovvertire l'ordine, affidando a dei sicari il compito di uccidere alcuni cittadini senza reale movente e sperando così di spingere la cittadinanza intera a votare in assemblea un'oligarchia costruita sulla paura. Il piano viene approvato e siglato con il vino: si entrerà in azione dopo la prima giornata della festa del Torchio, quando il popolo (maschile) andrà a teatro per assistere ad una commedia di Aristofane. Nel frattempo, però, le figlie di Trasillo e Polemone, Glicera e Charis, accettano ingenuamente di recarsi in casa di Cimone, giovane figlio di Eubulo, mentre i loro padri assistono allo spettacolo. Il ragazzo, insieme ad un amico, adesca le donne con la scusa di farsi vendere dei canestri di frutta e manda via tutti i servi nella tenuta di campagna per evitare di avere testimoni che possano riferire dell' intento di approfittarsi delle due.

Le ateniesi rievoca delle questioni che sembrano fondamentali nella cultura italiana di oggi: il problema della cerchia di uomini influenti che decidono di spartirsi il potere denigrando la democrazia, la visione fallocentrica della vita e la bassa considerazione delle donne, che nell'arco di secoli non è cambiata ed è andata rafforzandosi in concomitanza con la necessità di emancipazione femminile. Il tutto affidandosi alla Lisistrata di Aristofane, commedia che rappresenta, insieme ad altre opere dell'autore greco, un unicum nel corpus della letteratura teatrale classica per l'apparente volontà di ergersi contro l'emarginazione femminile  anche se sappiamo in che misura questo potesse rappresentare uno specchietto per le allodole, in quanto la misoginia era largamente diffusa anche tra i tragediografi più illuminati  e contro la guerra tra popoli fratelli. I caratteri sono credibili e verosimili, anche se si tende all'esagerazione per porre l'accento su qualità negative umane. Vengono evidenziate le differenze tra uomo e donna, ma anche tra schiavo e libero, ricco e povero, in una serie di dicotomie che servono a giustificare le azioni che vengono perpetuate dai personaggi: la crudeltà diventa un modo per il maschio alfa di dimostrare la propria virilità, mentre la donna non può definirsi vittima se, in qualche modo, ha permesso al suo aguzzino di mettere in atto il suo piano di abuso.

Nonostante il grande coinvolgimento emotivo che può scaturire dalla lettura, Barbero sembra affidarsi troppo alla commedia di Aristofane, che fa da controcanto alla cruenta violenza che si sta mettendo in atto e non riesce a rendere manifesto il significato di questa scelta. Inoltre, come già accennato prima, alcune scene volte a rimarcare il fallocentrismo della società greca sono assolutamente superflue ai fini della storia.

In conclusione, Le ateniesi è una lettura che ha il pregio di rappresentare l'immutevole storia della violenza sulle donne e della loro lotta per i diritti, ma perde nella ridondanza delle allusioni sessuali e nell'eccessiva dilatazione dei tempi dell'azione, affidandosi poi al classico deus ex machina per risolvere il senso di ingiustizia che sorge nel lettore. Ma ciò non basta a renderla una storia degna di essere letta: tanto vale affidarsi al buon vecchio Aristofane.


Voto: 

lunedì 8 febbraio 2016

Recensione: Il Cerchio di Dave Eggers


Il cerchio, Dave Eggers
Mondadori 
391 pagine, 20.00 euro
C’è chi in un libro non cerca nient’altro che intrattenimento; vietato ricavare un insegnamento dalla lettura, che deve comunicare soltanto quello che il lettore è disposto a sentirsi dire. C’è, però, anche chi la usa come cartina tornasole per la realtà, per cui un libro continua a vivere anche dopo che l’ultima pagina è stata voltata. Questo tipo di lettore è probabile che rivolga le sue attenzioni al genere distopico, il cui scopo finale altro non è che descrivere, attraverso una società fittizia, la vera società in cui il lettore stesso vive, al fine di dargli sempre nuovi spunti di riflessione.
Il romanzo di cui parleremo oggi, Il Cerchio di Dave Eggers, si colloca fermamente in questo genere, e sin dalla sua uscita ha avuto un buon riscontro dal pubblico e dalla critica, che gli hanno spesso accostato capisaldi come 1984 o Brave New World. Questo perché il romanzo immagina una realtà piuttosto simile a quella attuale: una realtà dominata da internet e dalle nuove tecnologie, in particolare i social network. Sarà sufficiente questo per “rivaleggiare” con gli ingombranti numi tutelari, oppure la visione di Eggers si rivelerà miope?

Mae Holland riesce a realizzare il sogno della sua generazione: lavorare al Cerchio, la multinazionale più potente del pianeta. Niente sembra impossibile per i suoi tre proprietari: un social network dalla diffusione capillare, un welfare aziendale che non tralascia nulla per i suoi lavoratori, lo slancio per numerosi e ambiziosi progetti volti a migliorare la vita della collettività. Chiunque si sentirebbe onorato di far parte di una simile società, nonostante la ripetitività delle mansioni effettivamente svolte... e la sempre più pressante pretesa del Cerchio di controllare ogni aspetto della vita di Mae.

Tentare di immaginare che cosa accada dopo questa premessa sembra scontato: Mae percepisce quanto asfissiante e alienante sia il suo ambiente di lavoro, e tenta di ribellarsi; è ciò che accade in molti romanzi distopici. Ebbene  non me ne voglia chi ancora non ha letto Il Cerchio e potrebbe interpretare quanto segue come spoiler  qui non avviene niente del genere: non assisteremo mai a una presa di coscienza della protagonista, sempre più inglobata nel Cerchio. Naturalmente ciò può essere considerato un elemento drammatico, e una parte fondamentale del messaggio che l’autore desidera trasmettere al lettore: una schiavitù così pervasiva da non essere nemmeno riconosciuta come tale. E come confutare una simile tesi? Anche nella nostra vita odierna, senza il Cerchio, possiamo trovare simili dinamiche. Abbiamo tutti amici su Facebook che condividono senza riflettere ogni singolo elemento della loro giornata, che si sentono in dovere di comunicare al mondo cosa hanno mangiato, come si sono vestiti per una determinata occasione  anche questa descritta nei minimi particolari  e, sopratutto, le loro emozioni, quello che più hanno caro. Anche noi facciamo tutto questo, tutti i giorni, cercando il meno possibile di pensare a coloro che, nascosti dietro schermi invisibili, raccolgono queste informazioni senza specificare a che scopo.

Il romanzo non fa altro che portare alle estreme conseguenze quanto già esiste. Quindi  viene da chiedersi  è davvero un distopico? Non è invece parte di quella foltissima schiera di libri il cui scopo finale è dire al lettore soltanto cose che già sa, e fargli immaginare situazioni che non hanno bisogno di libri per essere immaginate? Non aiuta che nel libro non esistano personaggi con posizioni intermedie: sono o a favore o a sfavore del Cerchio, e individuare il loro schieramento è fin troppo semplice. Annie, l’amica a cui Mae deve il lavoro, i superiori, la stessa protagonista: mai un ripensamento, un pensiero, un domandarsi quanto lontano si stiano spingendo. Di contro due personaggi non faranno, nel corso del romanzo, nient’altro che cercare di avvertire Mae del pericolo imminente (e guadagnarsi così la partecipazione del lettore, mai realmente sfidato a riflettere sulla faccenda).

Lo stile dell’autore non riesce a coprire queste carenze strutturali: semmai, ne aggiunge di nuove. Alcune pecche  una gestione del ritmo opinabile, un linguaggio privo di guizzi personali  sono senza dubbio da imputarsi a Eggers; tuttavia è lecito dubitare anche della traduzione di Vincenzo Mantovani  stimato professionista del settore a cui va attribuito, ad esempio, l’uso costante della parola “organico” al posto del più plausibile “biologico” (”Che cosa ne pensi dei prodotti organici per capelli?”). 

Il Cerchio non è un brutto romanzo, nel senso stretto del termine. La lettura è godibile: anzi, il lettore sente l’impulso di andare avanti e “divorare” il libro. Tuttavia non riesce a comunicare molto che altro che sano intrattenimento. Un risultato non da poco, ma non adatto a un romanzo che si fregia di essere l’erede di 1984 e Brave New World. Un libro da leggere, ma senza troppe aspettative.

Voto: 


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