venerdì 18 dicembre 2015

Recensione: La resistenza del Maschio di Elisabetta Bucciarelli



La resistenza del maschio, Elisabetta Bucciarelli
NN Editore
234 pagine, 10 euro
La resistenza del Maschio è un romanzo che fa dell'inanità la caratteristica dell'ultimo stadio evolutivo dell'uomo. Il retaggio appartiene alla letteratura del secolo scorso, ma ha un risvolto più intimistico, caratterizzato da elementi formali prettamente “contemporanei”: brevità, schiettezza, minimalismo, agilità, assenza di parole superflue, immagini che danno spazio a voci più che a suoni e colori.

C'è quindi L'Uomo, che avrebbe potuto chiamarsi Adamo, solo nella narcisistica percezione di se stesso, e ci sono tre donne, riunite per un pomeriggio nella sala d'attesa di uno studio medico, tre diverse prospettive dell'amore o, per meglio dire, della relazione di coppia.

L'uomo è un professore d'arte con il pallino della misurazione e probabilmente con un concetto di bellezza e perfezione legato alla simmetria (quindi alla razionalità), a cui è imputata la colpa della rinuncia alla riproduzione: la Moglie vuole un figlio che lui non ha intenzione di concederle, perché non ha istinto paterno e perché non desidera che un individuo dipenda da lui. Per quale motivo lei desideri questo figlio, invece, non è chiaro, se non per un'esigenza conformista (di derivazione sociale o biologica) che, alla soglia dei quarant'anni, le impone di mettere al mondo una nuova vita. Bucciarelli non si premura di spiegarlo, prendiamolo quindi come un dato di fatto. Le tensioni che si creano tra L'Uomo e la Moglie sono molto alte ed esemplificate da un episodio in particolare, dove l'incontro con la terapista restituisce l'idea di un marito innamorato, le cui parole sembrano però recitate da un attore di palcoscenico. La Moglie, isterica ma più autentica, ha un rigetto violento per la calma serafica con cui lui rifiuta il ruolo della paternità. L'Uomo ha intanto conosciuto un'altra donna con cui intraprende una relazione fatta soltanto di sms, e non certo per scrupoli di fedeltà: la noia di un rapporto concreto, quindi responsabile, abitudinario, soggetto alle usure del tempo lo fanno desistere dall'intenzione di incontrare questa donna, che accetta passivamente l'egotismo di una storia condotta secondo le regole di lui. L'unica relazione giusta, per l'Uomo, sembra essere la non-relazione, salvo poi frequentare fisicamente altre donne.

Quasi tutti i personaggi sono guidati dal proprio egoismo e presi da se stessi, e ciò che emerge, potente, è la banalità di queste vite, di questi desideri, di questi microcosmi che nulla desiderano se non la realizzazione di misere aspirazioni. Uomini piccoli e donne piccole che agiscono in una dimensione teatrale, scandita da precise battute di tempo e da dialoghi concisi, a volte aforismatici, pronunciati soprattutto dalle tre donne che, dall'alto dell'esperienza personale, sentenziano sulla vita e sull'amore. Tutto questo ha un sentore di ridicolezza, di povertà umana, di incapacità di staccarsi dai luoghi comuni: sono personaggi “bassi”, perciò incredibilmente simili a noi e che possono essere giudicati nei limiti in cui giudichiamo noi stessi. L'Uomo è un sottile (forse inconsapevole) aguzzino, la cui erudizione e capacità affabulatorie concorrono a delineare molto bene l'immagine di un inconsistente fanfarone: malgrado la rispettabile decisione di non avere figli, di non adeguarsi a un ruolo impostogli che dovrebbe salvarlo dalla consuetudinarietà, è evidente che la sua sia una posizione di non-responsabilità, di comoda immobilità (tipica della “specie in mutazione dei maschi che resistono, quella che si sottrae, che non fa il suo dovere, non protegge, non mantiene, non fa figli, non fa un beato cavolo di niente” – l'uomo irrita, quindi, perché non assolve neanche ai suoi doveri di maschio biologico, perdendo di utilità); la Moglie non-è, esiste solo nel desiderio della maternità e sembra non avere altra caratteristica. L'efferatezza (più palpabile nel caso di una, meno evidente in quello dell'altro) ha consumato un amore che, nel caso dell'Uomo, è plausibile non sia mai esistito. Non esistono giustificazioni per nessuno dei due, e il punto di maggiore forza del romanzo consiste nell'ambiguità dei ruoli e nell'impossibilità di schierarsi da una parte o dall'altra, ma soprattutto nell'eventualità che tutto quello che ho scritto possa essere ribaltato dalla sensibilità di un altro lettore, che ha percepito tutt'altro. Lo stile è appositamente impersonale, distaccato, guarda con occhio oggettivo alla scena, quasi fosse una telecamera che riprende una sequenza.

Elisabetta Bucciarelli consegna un libro dal taglio affilato e dalle atmosfere chirurgiche, asettiche, specchio dell'aridità del protagonista ma anche di un'intera società anaffettiva e automatica, dove gli attori delle relazioni interpersonali vedono nell'altro soltanto il proprio riflesso.

Voto: 



2 commenti:

  1. Recensione raffinatissima, brava!
    Da quando ho letto e amato Sembrava una felicità di jenny Offill tengo d'occhio con particolare interesse NN editore. Punto da tempo questo e Panorama di Pincio, forse più questo.

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    Risposte
    1. Su Panorama ho scritto una recensione molto più critica e tecnica qui :) http://www.lospecchiodicarta.it/it/recensioni/607-qpanoramaq-di-tommaso-pincio.html

      Grazie mille!

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