mercoledì 13 gennaio 2016

Recensione: Ogni cuore umano di William Boyd


Ogni cuore umano, William Boyd
Beat edizioni
608 pagine, 11 euro
Non viaggio mai senza il mio diario. Si dovrebbe sempre avere qualcosa di entusiasmante da leggere in treno.

Queste sono parole di Oscar Wilde, trasmesse a noi dal personaggio di Gwendolen Fairfax nella commedia L’importanza di chiamarsi Ernesto (o Franco, Fedele, Onesto), ma è davvero così interessante, per chi non ne è stato l’autore, leggere il diario di una vita?

Logan Montstuart ha avuto una vita densa di eventi, incontri, occasioni mondane, ma anche così dipanare il gomitolo dei suoi anni, giorno per giorno (o quasi), diventa qualcosa più da appassionato che da lettore di fiction.
Perché Logan Gonzago Montstuart, scrittore anglouruguayano, in realtà non è mai esistito fuori dalla mente del suo creatore.
Boyd non è nuovo a questo genere di “truffa letteraria”, nel 1998 pubblicò Nat Tate: an American Artist, storia di un giovane pittore che negli anni 50, disperato per il poco successo delle sue opere, si suicidò buttandosi da un traghetto a largo di Manhattan. Una settimana dopo l’inaugurazione di una mostra a New York durante la quale critici e galleristi vantarono la loro conoscenza dell’estro di Tate, Boyd rivelò l’inganno. Nat Tate non era mai esistito. Una nota a piè di pagina nella biografia di Tate parla di Logan Montstuart, indicandolo come «1906-1991 biografo, studioso di letteratura e romanziere fallito». Un inganno dentro l’inganno, che ha spinto Boyd a raccontare la vita di questo personaggio straordinario a partire dalla sua adolescenza – il diario scolastico del 1923 – fino alla vecchiaia – il diario francese del periodo 1986-88.

Da un’annotazione all’altra del diario vediamo il Logan studente di Oxford, l’aspirante romanziere nei café parigini, il combattente durante la guerra civile spagnola, la spia al servizio di sua maestà durante la grande guerra, il mercante d’arte a New York. Ogni uomo, durante la sua vita, è molti uomini diversi, ogni cuore umano, appunto.
Boyd fa qui un grande lavoro di scrittura, riuscendo a donare al testo l’accurata sciatteria di una scrittura privata non destinata alla pubblicazione. I diversi cuori di Logan Montstuart vengono resi dall’evoluzione della scrittura, mano a mano che l’età e l’esperienza (ma anche il disincanto) aumentano, ma anche da quella casualità propria della vita vera, in cui le trame si confondono, i personaggi spariscono senza far sapere cosa sia successo loro, mentre eventi che sembravano destinati a lasciare un segno passano come acqua corrente, in una riga di inchiostro.

La vita di Logan si intreccia poi con quella di molti personaggi realmente esistiti, pilastri del secolo passato: Ernest Hemingway, Virginia Woolf, James Joyce e Ian Fleming subiscono lo spietato giudizio di Logan, tra le pagine dei suoi pensieri privati, rendendo ancora più credibile l’inganno che riesce a far vivere il protagonista di questo romanzo in forma di diario, tanto che realtà e finzione si fondono l’una nell’altra.


Tuttavia, l’esperimento di Boyd non lascia pienamente soddisfatti: certe parti sono eccessivamente lunghe ed intrise di autocompiacimento, ma soprattutto – questa è la maggiore critica che muovo al testo – è molto difficile rendere avvincente come un romanzo il diario di una vita, per quanto eccezionale come quella di Logan Gonzago Montstuart. Non a caso, il romanzo è un’altra cosa.



A cura di Angela Bernardoni

6 commenti:

  1. L'idea che sottende al libro è molto intrigante però sì, il diario non è proprio la mia forma preferita, spesso ci si ritrovano dentro cose inessenziali.
    Però me lo annoto, non si sa mai!

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    1. Infatti molto spesso, anche quando si procede alla pubblicazione dei veri diari di personalità interessanti, si tende a selezionare gli stralci più interessanti (sto pensando per esempio al "diario di una scrittrice" della Woolf pubblicato da Minimum Fax) proprio per non annoiare il lettore. Se lo leggi, comunque, facci sapere se ti è piaciuto.

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  2. Concordo, la trama pare interessante, forse doveva essere narrata in modo più coinvolgente, un diario tende a lasciare troppo distacco tra narratore e lettore.

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    1. Più che altro, un centinaio di pagine meno gli avrebbero giovato, perché il coinvolgimento comunque c'è: l'escamotage del diario, anzi, aumenta il legame con il lettore, a cui sembra di "sbirciare" tra le pagine di un vero carteggio privato.

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  3. Credo che dipenda un po' dal gusto personale e un po' da come è scritto.
    La trama sembra interessante, e di solito è carino incontrare personaggi famosi all'interno di una lettura, ma comunque non so se lo leggerei proprio perché è un genere che non mi attira in particolar modo e i pochi diari che ho letto (veri o falsi che siano) non mi hanno appassionata molto.

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  4. Il libro è scritto comunque molto bene, Boyd sa indubbiamente il fatto suo e proprio per questo il diario risulta incredibilmente verosimile. Gli stragli con la presenza dei "vip" sono molto gustosi, anche perché Logan spara a zero su molti mostri sacri della letteratura come la Woolf o Hemingway. Immagino peraltro che il lavoro di ricerca dietro a questa opera sia stato enorme.
    Comunque, se ti capita tra le mani, ti consiglio di dargli una chance, anche solo per la peculiarità dell'espediente narrativo.

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