giovedì 21 gennaio 2016

Recensione: Un terribile amore di Catherine Dunne


Un terribile amore, Catherine Dunne
Guanda editore
400 pagine, 18.00 euro
Calista e Pilar vivono entrambe due amori difficili e "sbagliati", la prima per un uomo che sarà per lei marito e padrone, la seconda per un altro che non esiterà ad abbandonarla.
Calista sposa Alexandros, assaporando per un attimo la felicità di poter decidere della propria vita, anche in funzione del bambino che porta in grembo. Ama il marito pur sapendo che ha un cattivo temperamento ed è capace di infuriarsi con lei perché non passa inosservata agli altri ragazzi, ma scambia questo atteggiamento per devozione e istinto di protezione. Pilar, di contro, si lascia abbindolare dalle promesse di Pedros, sposato e ricco, che le ha fatto perdere la testa e la voglia di indipendenza e autonomia alla quale ha sempre aspirato. Entrambe capiranno che l'amore richiede compromessi, e non rinunce identitarie, e che è facile confonderlo con sensazioni forti, pericolose e proibite.
Le loro vite si incrociano inconsapevolmente quando Pilar, portata in un palazzo signorile di Madrid, scopre che in uno degli appartamenti si è consumato un doppio omicidio, mentre Calista riceve una telefonata che le conferma un avvenimento che aspettava da tempo e che avvalla i sospetti del lettore.

L'amore è un sentimento che le donne protagoniste di Un terribile amore, di Catherine Dunne, vivono in modo malsano, un' ossessione che cela i difetti dell'altro e mira a idealizzarlo. Entrambe si annullano nel proprio partner, divenendone succubi fisicamente e psicologicamente. Gli uomini qui sono solo motori della storia, colpevoli in un caso di leggerezza e noncuranza, nell'altro della pretesa di possedere la compagna. Binomi inscindibili nella narrazione sono gli episodi di violenza domestica e l'infelicità coniugale, l'infedeltà e la disparità nella coppia: la donna è sempre la sognatrice, disposta a tutto pur di essere amata; l'uomo, di contro, può disporre di lei in qualsiasi modo, anche deponendola nel momento in cui non gli è più utile.

Altro tema importante è la genitorialità e l'importanza, in alcune culture, di procreare "eredi" maschi, ben più utili alla società delle femmine. Soprattutto si parla della scelta di non essere genitore, dovuta alla consapevolezza di non poter badare a un figlio se prima non si riesce a badare a se stessi, e della difficoltà di rinunciare a diventare madre.
In ultimo c'è un interrogativo che percorre tutta la narrazione: è giusto, da vittima, rivalersi sull'aguzzino facendo propria la violenza? Sembra l'eterno dilemma posto anche dalla tragedia antica, fonte di ispirazione per questo romanzo, privo di qualsiasi orpello volto a mitigare la storia. Ma non c'è catarsi alla fine della lettura. Soltanto forte amarezza.

Verità forti e scomode, che la Dunne riesce con maestria a incastonare in una narrazione che si fa carico dei sentimenti delle protagoniste, a volte forzando un po' troppo la mano. Come nel caso della scelta narrativa: la storia di Pilar è raccontata attraverso flashback posti a inizio capitolo, mentre quelli di Calista sono incastrati col presente, forse a rimarcare la distanza tra la ragazzina sprovveduta che era e la donna ossessionata dalla propria immagine che è diventata.
Benché rilassante, scorrevole e ben scritto, questo romanzo incontra poco il mio gusto perché l'intera narrazione è volta a sconvolgere emotivamente il lettore, ma non ci riesce appieno con quello avvezzo a letture più eterogenee. Sebbene io sia un'amante dei romanzi di Isabelle Allende, il cui stile è spettacolarmente vicino a quello della Dunne, quest'ultima non è riuscita a convincermi, un po' come avevano fatto i romanzi di Lesley Lokko in passato. Inoltre, il romanzo sembra strizzare l'occhio al genere poliziesco in alcune parti, ma elimina la suspense della scoperta perché il suo unico scopo è biasimare le scelte delle protagoniste.
Devo ammettere che mi aspettavo molto di più dalla Dunne, considerate le critiche positive che ho letto in giro per il web. Di certo, mi riserverò di scoprire se è una sensazione isolata o che potrei ritrovare leggendo altri libri della scrittrice.

Voto: 




mercoledì 13 gennaio 2016

Recensione: Ogni cuore umano di William Boyd


Ogni cuore umano, William Boyd
Beat edizioni
608 pagine, 11 euro
Non viaggio mai senza il mio diario. Si dovrebbe sempre avere qualcosa di entusiasmante da leggere in treno.

Queste sono parole di Oscar Wilde, trasmesse a noi dal personaggio di Gwendolen Fairfax nella commedia L’importanza di chiamarsi Ernesto (o Franco, Fedele, Onesto), ma è davvero così interessante, per chi non ne è stato l’autore, leggere il diario di una vita?

Logan Montstuart ha avuto una vita densa di eventi, incontri, occasioni mondane, ma anche così dipanare il gomitolo dei suoi anni, giorno per giorno (o quasi), diventa qualcosa più da appassionato che da lettore di fiction.
Perché Logan Gonzago Montstuart, scrittore anglouruguayano, in realtà non è mai esistito fuori dalla mente del suo creatore.
Boyd non è nuovo a questo genere di “truffa letteraria”, nel 1998 pubblicò Nat Tate: an American Artist, storia di un giovane pittore che negli anni 50, disperato per il poco successo delle sue opere, si suicidò buttandosi da un traghetto a largo di Manhattan. Una settimana dopo l’inaugurazione di una mostra a New York durante la quale critici e galleristi vantarono la loro conoscenza dell’estro di Tate, Boyd rivelò l’inganno. Nat Tate non era mai esistito. Una nota a piè di pagina nella biografia di Tate parla di Logan Montstuart, indicandolo come «1906-1991 biografo, studioso di letteratura e romanziere fallito». Un inganno dentro l’inganno, che ha spinto Boyd a raccontare la vita di questo personaggio straordinario a partire dalla sua adolescenza – il diario scolastico del 1923 – fino alla vecchiaia – il diario francese del periodo 1986-88.

Da un’annotazione all’altra del diario vediamo il Logan studente di Oxford, l’aspirante romanziere nei café parigini, il combattente durante la guerra civile spagnola, la spia al servizio di sua maestà durante la grande guerra, il mercante d’arte a New York. Ogni uomo, durante la sua vita, è molti uomini diversi, ogni cuore umano, appunto.
Boyd fa qui un grande lavoro di scrittura, riuscendo a donare al testo l’accurata sciatteria di una scrittura privata non destinata alla pubblicazione. I diversi cuori di Logan Montstuart vengono resi dall’evoluzione della scrittura, mano a mano che l’età e l’esperienza (ma anche il disincanto) aumentano, ma anche da quella casualità propria della vita vera, in cui le trame si confondono, i personaggi spariscono senza far sapere cosa sia successo loro, mentre eventi che sembravano destinati a lasciare un segno passano come acqua corrente, in una riga di inchiostro.

La vita di Logan si intreccia poi con quella di molti personaggi realmente esistiti, pilastri del secolo passato: Ernest Hemingway, Virginia Woolf, James Joyce e Ian Fleming subiscono lo spietato giudizio di Logan, tra le pagine dei suoi pensieri privati, rendendo ancora più credibile l’inganno che riesce a far vivere il protagonista di questo romanzo in forma di diario, tanto che realtà e finzione si fondono l’una nell’altra.


Tuttavia, l’esperimento di Boyd non lascia pienamente soddisfatti: certe parti sono eccessivamente lunghe ed intrise di autocompiacimento, ma soprattutto – questa è la maggiore critica che muovo al testo – è molto difficile rendere avvincente come un romanzo il diario di una vita, per quanto eccezionale come quella di Logan Gonzago Montstuart. Non a caso, il romanzo è un’altra cosa.



A cura di Angela Bernardoni

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