giovedì 22 settembre 2016

Recensione: L'enigma del lago rosso di Frank Westerman


L'enigma del lago rosso, Frank Westerman
Iperborea
416 pagine, 18.50 euro
La notte del 21 agosto 1986 la valle di Nyos, in Camerun, diventa il teatro di un mistero ancora oggi
insoluto: tutti gli animali e gli abitanti della zona – circa duemila persone – muoiono improvvisamente. Nessuno riesce a individuare la causa dei decessi e, a rendere l'episodio più inspiegabile, nient'altro ha riportato danni: le case, le palme e ogni materiale sono intatti. Cosa ancora più sorprendente, le reti europee e americane tacciono sul disastro.
L'enigma del lago rosso, di Frank Westerman, si apre con il racconto di questa vicenda, aggiungendo da un lato, fra le ipotesi più gettonate, il disastro naturale che il 21 agosto ha tinto di rosso il lago di Nyos, forse per via della presenza di qualche attività vulcanica interna responsabile del rilascio di gas velenosi; dall’altro lato, si sono supposte esercitazioni militari con conseguente insabbiamento.
Con queste premesse, sembra che l’autore voglia svolgere un'indagine che riporti a galla qualche verità più o meno scomoda, ma, a sorpresa, Westerman dirotta il racconto sull'origine delle storie nate attorno a questo mistero e sul modo in cui i fatti possono venire modificati quando si mescolano le parole.
L'autore divide il libro in più parti, ognuna corrispondente a una eventuale soluzione. Si parte dal dibattito scientifico attorno alle cause naturali e a una possibile attività vulcanica, per poi raccontare i retroscena di una battaglia accademica che spesso provoca morti evitabili per il semplice fatto di prediligere le teorie geologiche delle personalità più in vista, anziché quelle più realistiche. Completamente diverse sono invece le risposte degli abitanti locali, che parlano di interventi divini. Ma c’è chi sostiene la tesi del complotto additando gli americani o gli israeliani o i francesi. Westerman approfondisce tutte queste congetture, cercando di ricreare i passaggi attraverso cui hanno avuto origine e si sono diffuse.
L’intento è piuttosto nuovo e interessante, ma sfortunatamente l'autore ha la tendenza a essere prolisso e a dilungarsi troppo su tutto ciò che è inerente o meno a quello che sta raccontando.
Nella prima parte del libro, ad esempio, Westerman cerca disperatamente di incontrare il figlio di Tazieff, il geologo che per primo propose la spiegazione dell’attività vulcanica. Tutta la parte relativa al dibattito scientifico e al mondo sporco in cui si svolge è estremamente affascinante, ma nel frattempo il lettore deve sorbire pagine e pagine delle vicissitudini dell’autore: i mancati appuntamenti con il suo intervistato, i ritardi, i momenti conviviali, insomma episodi che con il racconto in sé non c'entrano assolutamente nulla e che rovinano la lettura altrimenti scorrevole.
Questa tendenza a divagare dispiace moltissimo, dato che il libro è ricco di spunti interessanti ed espone un’indagine condotta con passione e competenza che si legge con piacere, anche perché esplora un episodio di cui stranamente nel mondo ricco non si sa nulla. Lo stile di Westerman, in generale, è accattivante e preciso, ma ha il difetto di partire in pompa magna per poi arenarsi, riprendersi e arenarsi nuovamente.
Ciò rende ambivalente il giudizio sul testo, senza dubbio un bel libro d'indagine che però potrebbe stancare chi è poco incline a perdonare uno stile che presenta questo tipo di problematiche.


Voto: 


mercoledì 14 settembre 2016

[Video] Lavorare in editoria: il master della Fondazione Mondadori


In molti mi hanno chiesto informazioni sul master che sto frequentando, ho quindi cercato di rispondere nel miglior modo possibile a tutte le domande. Se avete altro da chiedere, lasciatemi un commento :)





martedì 13 settembre 2016

Recensione: La famiglia Fang di Kevin Wilson


La famiglia Fang, Kevin Wilson
Fazi editore
2017 pagine, 18.00 euro
Tutte le famiglie infelici si somigliano fra loro, ogni famiglia disfunzionale, invece, è infelice a suo
modo.

Annie e Buster nascondono le cicatrici in profondità, sotto la patina di apparente realizzazione della loro vita da adulti: lei ha ricevuto una nomination agli Oscar, ma non riesce a convivere con le restrizioni della fama e cerca conforto nei bloody mary a colazione. Lui si considera un romanziere fallito e giornalista per necessità, incapace di empatizzare con gli altri, incapace di scendere a patti con le recensioni negative della sua seconda opera.
La causa dei loro traumi sono Caleb e Camille Fang, performer ancora prima che genitori.
Quando i ragazzi si troveranno a tornare a casa, nel Tennessee, tutto quello da cui credevano di essere fuggiti per sempre, le performance, le stranezze, la musica punk sparata a tutto volume durante il processo creativo dei genitori, ma soprattutto il dolore, tornerà a sommergerli.

«Se un film è davvero splendido», rispose Annie, «non è possibile rovinarlo rivelando la trama. La trama è solo accessoria rispetto al resto».

Nonostante l'affermazione di Annie, ben poco si può scrivere della trama di questo romanzo, il primo di Kevin Wilson dopo la pluripremiata raccolta di racconti Scavare fino al centro della terra del 2009, senza rovinare al lettore il piacere di spiare questa vicenda strampalata e crudele. Il mistero al centro della narrazione, tuttavia, è banale rispetto all'eccellenza della scrittura e accessorio alla psicologia dei personaggi, di cui vorresti sapere tutto, senza bisogno di arrivare per forza a quel conflitto necessario alla letteratura.

Aveva trovato qualcosa che era capace di fare. Era capace di creare conflitti e di portarli fino alla fine. E quando la fine arrivava lui era l’unico a rimanere illeso. Era, senza che nessun altro glielo dicesse, uno scrittore.

Un libro ferocemente sarcastico, La famiglia Fang, che come tutti i buoni romanzi parla di alcuni argomenti fingendo di non parlarne.
Difficilmente i lettori avranno avuto genitori pessimi come Caleb e Camille Fang, così concentrati sull'unico aspetto importante della loro vita, l'arte, da trasformare i figli in oggetti di scena della loro performance, togliendo loro il nome proprio, trasformandoli in Bambina A e Bambino B, interferendo nelle loro vite anche quando queste sembrano slegate da quelle della famiglia. Eppure qualsiasi lettore può capire le parole di Camille Fang, forse la figura più umana della coppia, quando ribatte alle accuse della figlia dicendole «Vi renderemo infelici, ma lo facciamo per una ragione. Perché vi amiamo.»

Certo, i Fang fanno tutto ciò per un bene superiore, per un fine inscindibile dal concetto stesso di famiglia, per loro: l'arte, se la amavi, valeva qualunque dolore o infelicità. Se era necessario ferire qualcuno per ottenere quel fine, allora così sia. Se il risultato era abbastanza bello, abbastanza strano, abbastanza memorabile, non aveva importanza. Ne valeva la pena. Ma ogni famiglia, appunto, è infelice a modo suo e questo rende La famiglia Fang un ritratto perfetto dei danni, delle idiosincrasie, degli eterni tentativi di far funzionare un meccanismo rotto da tempo, forse da sempre.

Se Caleb Fang leggesse questa recensione, poi, rabbrividirebbe vedendo paragonare la sua famiglia a una forma artistica obsoleta e irrilevante come quella del ritratto. Il concetto di arte è un tema ricorrente tra le pagine di Wilson. Più volte i personaggi si interrogano sul fine ultimo dell'arte, su cosa sia la bellezza, sulla valenza artistica di un evento annunciato, sui bambini che uccidono l'arte e sull'arte che uccide i bambini.
E se per Oscar Wilde, tutta l'arte doveva essere assolutamente inutile, la conclusione di Caleb Fang è, invece, che tutta l'arte debba essere caos. Un caos distruttivo e prolungato nel tempo, un vortice di follia fagocitante. La famiglia Fang ci parla al cuore perché racconta di quello che crediamo sia importante nella vita, di tutte quelle scelte che pensiamo fatte con il cuore, ma che sono in realtà rappresentazione più alta dell'egotismo, dell'anteporre il bene della famiglia alla famiglia stessa. Di tutte quelle scelte che chiunque, tranne Caleb Fang, si pentirà di aver fatto.

Molto spesso la letteratura è campo di redenzione, di lieti fine e famiglie che, alla fine, trovano la loro felicità, o almeno un loro equilibrio. Ma qua, come nella vita reale, non esistono soluzioni magiche, non ci sono palcoscenici da cui scendere una volta finita la finzione, perché la vita è il teatro e molte volte, l'unica soluzione è tagliare le corde che trattengono il sipario, scendere dal proscenio e camminare senza mai voltarsi indietro.

La famiglia Fang è una storia vera nella sua incredibilità, una fonte di riflessioni e divertimento amaro. Un romanzo che nessuna famiglia infelice potrà non amare.

A cura di Angela Bernardoni

Voto: 

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