mercoledì 23 marzo 2016

Il romanzo picaresco che non ti aspetti: da Oliver Twist al Giovane Holden

A cura di Tonino Mangano.

Se scorressimo le pagine di alcune delle opere più famose di Charles Dickens – Grandi Speranze, Oliver Twist, David Copperfield – ci accorgeremmo di come l'autore inglese abbracci, nelle sue narrazioni, un ampio lasso di tempo della vita dei suoi protagonisti, in generale dalla prima giovinezza fino all’età adulta, o concentrandosi in modo peculiare sulla loro infanzia.
L’obiettivo che muove la penna di Dickens nel rappresentare la vita in ogni suo stadio è quello di delineare le problematiche, le aspettative e le reali condizioni in cui i suoi personaggi versano, denunciando le ipocrisie della propria epoca, mostrando le luci e le ombre dell’Età Vittoriana.

Esulando per un momento da questi caratteri, che la critica letteraria riconosce a Dickens e che rappresentano il fil rouge che accomuna le sue opere a quelle di altri autori del tempo (Stevenson, Wilde, Brontë ecc.), si potrebbe focalizzare l’attenzione sul particolare interesse dell’autore inglese per ciò che concerne il mondo dell’infanzia e le sue sfumature.
Queste ultime traspaiono dai suoi giudizi nei confronti dei giovani da lui descritti. Se prendessimo a esempio Oliver Twist, noteremmo le simpatie dell’autore nei confronti di Oliver; caso contrario e accolto con antipatia è Noah Claypole, il garzone dell’impresario funebre Mr. Sowerberry; con occhio diverso vengono guardati i ragazzi alle dipendenze di Fagin. Nel loro caso i giudizi mutano lentamente, in modo quasi impercettibile nel corso della vicenda narrata. In un primo momento potrebbero essere guardati con simpatia, paragonati a dei nuovi compagni di giochi di Oliver (si ricordino il primo aiuto dato a Oliver e la sfida del fazzoletto con Fagin), successivamente resi sfrontati furfanti, per poi diventare vittime innocenti di Bill Sikes e del citato Fagin, e ancora una volta redenti dalla benevolenza e dalla pietà dell’autore e delle autorità inglesi. I ragazzi di Fagin, i ladruncoli dei sobborghi di Londra, così come altri personaggi giovani, disperati e pertanto costretti alla malavita, sono un particolare che ricorre nel genere del romanzo picaresco.

Le radici di questo genere letterario affondano nel periodo del Rinascimento spagnolo (El Renacimiento). La novela picaresca (racconto/romanzo picaresco) si distingue per il realismo contenutistico ed espressivo che contrastava con il carattere idealista della letteratura rinascimentale spagnola, influenzata dalla filosofia neoplatonica.
La prima vera grande opera picaresca è il Lazarillo de Tormes (Lazzarino di Tormes) la cui pubblicazione è attestata intorno al 1554, di autore anonimo. Nelle pagine di questa opera compaiono tutte le caratteristiche che influiranno sulla successiva produzione picaresca, per quanto poi nelle altre letterature nazionali molti di questi caratteri verranno eliminati per coglierne e svilupparne gli elementi essenziali e declinare il genere picaresco alle necessità del contesto culturale di ogni tempo.
La novela picaresca si contraddistingueva per la narrazione autobiografica, infatti il pícaro scriveva in prima persona, ricordando la sua vita dalla nascita fino al momento presente. È evidente anche la presenza di un protagonista antieroico. Il ragazzo, dalle origini familiari poco abbienti, si ritrova, costretto dalla povertà, a commettere atti più o meno corretti per sopravvivere, anche ingannando i molti padroni presso cui presta servizio. Quelli che sono a tutti gli effetti dei tiri mancini vengono definiti picardías, da cui deriva la denominazione del genere. Per concludere il novero delle caratteristiche peculiari dell’originaria novela picaresca, si ricorda la necessità del finale tragico: il protagonista non riesce a integrarsi con successo nella società a causa delle voci sulla sua mancanza di onore o per via della giustizia che fa il suo corso e lo punisce per i crimini compiuti.

Il genere letterario picaresco nacque, così come il romanzo sociale dell’Età Vittoriana inglese, per cristianos nuevos (coloro che si convertirono al cristianesimo in tarda età) o di ebrei convertiti (judíos convertidos, in spagnolo). A loro si aggiungevano anche le nuove sacche di popolazione che erano i risultati delle condizioni socio-politiche spagnole durante El Siglo de Oro (l’Età d’Oro spagnolo) che coincideva con le prime conquiste americane e con l’emigrazione di molti uomini nel Nuovo Mondo. Le conseguenze dell’emigrazione e delle guerre di conquista furono l’aumento dei bambini orfani, degli indigenti e dei mendicanti. La necessità di porre l’accento su queste particolari dinamiche permise lo sviluppo di questo tipo di romanzo realista.
dare voce alle denunce contro le condizioni di vita a cui erano destinati gli emarginati sociali. La massa di esclusi consisteva dei cosiddetti
La parentesi spagnola fu fondamentale per lo sviluppo della letteratura europea in genere. Molti dei suoi caratteri e l’esempio del Lazarillo de Tormes costituirono un modello per generi narrativi simili alla novela picaresca, ma anche per tutti quelli che non guardavano da vicino al mondo di un’infanzia difficile. Il romanzo picaresco fu avvertito come un trampolino di lancio, una svolta improvvisa della narrativa rinascimentale fino ad allora contraddistinta dalle opere cavalleresche, religiose o filosofiche, lasciando invece spazio a nuovi generi dell’età moderna, come il romanzo d’esplorazione e d’avventura, con vicende dai caratteri seriosi più sfumati (I viaggi di Gulliver di Swift, che però ha un chiaro intento satirico, Robinson Crusoe di Defoe).

I Bildungsroman e i romanzi di denuncia sociale affondano alcune loro radici in questa letteratura cinquecentesca, apportando le necessarie modifiche ai caratteri costituitivi di questo genere. Specialmente nel romanzo di formazione troviamo due splendidi esempi nostrani, anche diametralmente opposti tra loro nel modo di trattare la materia. Edmondo De Amicis, con Cuore, sfrutta un metodo paternalistico nel rimproverare il personaggio più bistrattato, ma forse il più ricordato della sua opera, Franti, un discolo alunno della terza elementare. In lui si ritrovano un certo realismo nel comportamento infantile, l’antieroismo e l’infrazione delle regole con una certa soddisfazione personale. Il mezzo picaresco utilizzato dall’autore non è il fulcro di tutta la vicenda, ma è uno strumento nelle sue mani per formulare quel codice di condotta morale che auspicava fosse appreso dalle future generazioni di italiani. Il «prontuario delle moralità dominanti […] di ciò che l’età postunitaria avrebbe voluto essere» (come Cuore viene definito da Asor Rosa), nel suo intento pedagogico che mira a «fare gli italiani» (secondo la famosa espressione di Carlo D’Azeglio), disarticola le caratteristiche originarie del romanzo picaresco per permettere una denuncia da parte della società scolastica a danno del Franti, con l’intento di delineare una netta demarcazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, senza riuscire a mediare tra le voci discordanti, che avrebbero offerto un carattere pluralistico alle discussioni riguardanti la storia e l’educazione postunitaria.

Lo scomparso Umberto Eco, nel suo Elogio a Franti, in Diario Minimo, sembra intravedere nel Franti un possibile contraltare, una nuova possibilità di interpretare la realtà, una visione parallela a quella più ortodossa dell’autore di Cuore. Se il riso di Franti viene tacciato di cattiveria, in realtà, secondo Eco, questa risata potrebbe essere una forma diversa di conoscere, giudicare e vivere la realtà in cui ci si trova, un barlume di libertà espressiva e di rinnovamento di tutto ciò che era destinato a cadere e che non funzionava nel sistema ideologico dell’Italia postunitaria. Eco ha, in poche parole, cercato di riabilitare la figura del ragazzino ribelle che, nella sua interpretazione della pars destruens delle convenzioni sociali, si erge a elemento innovatore, a difensore del dinamismo e del cambiamento sebbene questo progredisca con forme “scomode” per la maggior parte della società.

Nella stessa direzione si muove anche un altro autore, molto legato alla figura del ragazzoPinocchio, di Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini). La sua simpatia per il ragazzo ribelle e per l’importante funzione pedagogica che questa figura può assolvere lo spinge a creare un’opera che diverte e che mette in discussione la denuncia e il silenzio a cui viene costretto Franti in Cuore. Il burattino di legno non è né bollato come “infame” dal suo stesso creatore, né viene privato della parola per avanzare le proprie idee. «La trasgressione è messa al centro del racconto, e suscita irresistibilmente la partecipazione del lettore. Ne risulta un libro infinitamente più aperto di Cuore, più problematico e moderno»*. Anche in questo caso, così come nella novela picaresca delle origini, attraverso colui che infrange le regole si riescono a smascherare le cattiverie della vita e a denunciare chi se ne macchia. Sarà lo stesso discolo a comprendere e a trovare nelle sue esperienze tutto ciò che lo faccia crescere, lo cambi e gli lasci intravedere la giusta via da seguire per apprendere le regole essenziali a cui sottostare. In Pinocchio molte norme etiche, giuridiche e sociali vengono rovesciate e si scontrano con i limiti che sono loro imposti dai caratteri diversi presentati dai vari casi a loro relativi: ad esempio, c’è differenza fra un normale ladruncolo e un ladro che si macchia del reato di furto per necessità, come nella dicotomia tra le faine e Pinocchio nel campo d’uva. In questo senso, molto attuale può essere l’accento che viene posto sull’attenzione da prestare ai truffatori come gli indimenticabili Gatto e Volpe; o la critica che si ravvisa nei giudizi troppo affrettati delle cariche giurisprudenziali, come nel caso del Giudice della città di Acchiappa-citrulli. Le allegorie sono ben riuscite nell’opera di Collodi e l’elemento fiabesco e picaresco si fondono nel creare una storia che è diventato un cult della letteratura dell’infanzia e del romanzo di formazione. L’ordine non viene imposto dall’autore, ma è il protagonista che, da solo e dopo aver razionalizzato di avere sempre sbagliato nel discernere tra bene e male, riesce a intravedere nella vita stessa e nelle sue esperienze, la figura della vera maestra.
disubbidiente. È il caso di citare una delle fiabe italiane più conosciute al mondo:

Una nota picaresca si avverte anche in due delle opere più conosciute di Mark Twain: Le Avventure di Tom Sawyer e Le Avventure di Huckleberry Finn. È nel secondo che si avverte una maggiore fedeltà alle regole della novela picaresca delle origini, sebbene Mark Twain riesca a operare una sintesi molto originale di più generi: dal romanzo d’avventura al romanzo di formazione, dalla letteratura per l’infanzia al romanzo di carattere realista. Le due opere citate (la prima nel 1876, la seconda nel 1884) sono emblematiche testimonianze dello spirito americano, di quell’anima mai sazia di esplorazione e di ricerca di novità, che si pone in netta contrapposizione con la cultura sempre più stanziale dei coloni dall’animo “vittoriano”, molto legati alla rigidità delle regole e alla sicurezza delle loro comunità. Anche in questo caso, come ne Le Avventure di Pinocchio, i due discoli protagonisti delle storie di Mark Twain riescono a svelare i vizi e le virtù della società di appartenenza. Il carattere picaresco della produzione dell’autore del Missouri si rispecchia nel suo stile narrativo che, a detta di William Faulkner, gli valse l’onore di essere “il primo vero scrittore americano”, come confermeranno anche Ernest Hemingway e un’ampia cultura di critica letteraria. Specialmente con la narrazione in prima persona ne Le Avventure di Huckleberry Finn e con il gergo colorito del suo protagonista – che subì aspre critiche e censure successive alla prima edizione –, Mark Twain appare come un precursore dei diritti della popolazione nera degli USA, da cui discende una strenua opposizione all’imperialismo.

Sebbene non proprio picaresco come i tre titoli precedenti, anche negli anni Cinquanta, J.D. Salinger diede vita a uno dei più fortunati e moderni picari della letteratura contemporanea: Holden Caulfield, Il giovane Holden. Le due caratteristiche salienti che vengono recuperate dalla tradizione picaresca più genuina sono l’autobiografia e la vita solitaria del protagonista, per quanto si possa sindacare sulla solitudine del personaggio, data la presenza dei genitori e di una sorella. Ad ogni modo, anche Il giovane Holden potrebbe annoverarsi tra i titoli della letteratura picaresca, sebbene questa natura sia stemperata dalla mancanza di vere e proprie vicissitudini e avventure che intrappolano Holden in una spirale di problemi. Indubbiamente Salinger presenta accenni di situazioni pericolose in cui il suo personaggio incappa, ma al piacere di presentare un crescendo di peripezie si sostituiranno l’analisi introspettiva del protagonista e la critica alla società che lo circonda nel corso delle sue peregrinazioni newyorkesi.

Un collegamento originale e forse un po’ forzato tra la letteratura di guerra all’italiana (la letteratura del secondo dopoguerra incentrata su storie di resistenza e quelle ambientate durante la ricostruzione) e la letteratura picaresca è quello che trova il suo anello di congiunzione nel primo romanzo di Italo Calvino: Il sentiero dei nidi di ragno, in cui il protagonista Pin, orfano dei genitori e accudito dalla sorella, non diviene un protagonista assoluto della vicenda, ma assurge a vettore dell’autore con cui analizzare le gesta partigiane, dei fascisti e tramite cui avanzare considerazioni generali e più immediate su tematiche relative alla guerra, alla lotta per la libertà e, più specificatamente, all’autodeterminazione dei popoli.

Ricordando le parole di Umberto Eco riferite al personaggio di Franti e per mezzo di uno sguardo rapido sulla letteratura picaresca presa ad esempio, non ci si può esimere dal trarre conclusioni che dovrebbero apparire immediate. La simpatia che in genere viene provata per la tenera età scanzonata è evidente, in quanto foriera di quella natura semplice e diretta, aliena a ogni forte influenza delle convenzioni sociali a cui sono sottoposti gli adulti. È proprio grazie a questa natura libera da ogni condizionamento che questi autori sono riusciti a muovere critiche più o meno aspre, dirette contro costumi atavici e che avrebbero dovuto affrontare da tempo il loro declino, o contro abitudini dall’impatto distruttivo e disumanizzante. Le riflessioni che discendono dalla letteratura picaresca, ci riportano al concetto che potremmo definire “disobbedienza costruttiva”, ipotizzata con altri termini dalla Arendt nel suo saggio Vita Activa; o ricordando l’esempio della disobbedienza di sofoclea memoria, nell’Antigone. Esulando dalla tragicità della rappresentazione teatrale greca o abbandonando il tono accorato delle disquisizioni arendtiane, accostandosi alla letteratura picaresca e alla leggerezza delle vicende presentate, si riescono a cogliere numerose sfumature di critica e spunti di riflessione che afferiscono ai più svariati campi della vita in società.

Spaziando ulteriormente nelle riflessioni legate alla letteratura picaresca, non possiamo che cogliere un implicito appello al rispetto della gioventù, intesa in ogni suo aspetto, come previsto dal testo della Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo del 1924 e successivamente della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia2 del 1989. Oltre all’imprescindibile diritto all’amore familiare, ai diritti alla vita, alla salute e al divieto di discriminazione in ogni sua forma, in questa sede si darà una particolare rilevanza al diritto all’educazione, deputata a garantire l’accesso all’informazione e alle conoscenze che possano permettere ai più giovani di sviluppare un più raffinato senso critico, che eviti loro di vivere le stesse esperienze del picaro del Lazarillo de Tormes, o di incorrere negli stessi errori e pericoli dei protagonisti dei romanzi più moderni, e non solo.
In questo senso, non si può fare altro che sostenere un cammino costante sul sentiero della conoscenza, incoraggiando a proseguire con le parole di Immanuel Kant: Sapere aude!, abbi il coraggio di sapere. Un messaggio che potrebbe estendersi a tutte le fasce d’età.

martedì 8 marzo 2016

Recensione: Il Catturarastelle di Enrico Padovan, con illustrazioni di Marianna Balducci



Il CatturastelleSi crede che le favole siano adatte soltanto ai bambini, ma chi è genitore, o non ha dimenticato la sua infanzia, sa che non è vero. Una favola come si deve non ha limiti d'età, perché il messaggio che convoglia al lettore è universale: anzi, spesso i “grandi” hanno anche più bisogno di ricordarlo rispetto ai “piccoli”. Inoltre, perché rinunciare al senso di conforto che ci lascia, visto che spesso siamo oppressi dalle preoccupazioni o dalle notizie allarmanti che giungono dalle varie parti del mondo? Questo è ciò che fa una favola come si deve: e Il Catturastelle, scritto da Enrico Padovan e illustrato da Marianna Balducci, lo fa.

In un futuro lontano il Sole si è spento, e la Terra ora è chiamata, per ovvi motivi, Scura. Nell'unico punto di Scura luminoso sorge la Città delle Milleluci, dove vivono gli Illuminati; nel resto del pianeta vivono invece i cosiddetti Esterni. Gli Illuminati hanno nomi propri, mentre invece per gli Esterni è ritenuto sconveniente avere un nome a cui rispondere; e sopratutto gli Illuminati hanno la proprietà sulle poche stelle rimaste, fornite loro dai Catturastelle. Il nostro protagonista è uno di questi: ma un giorno viene preso dal “pensiero criminale” di regalare una stella a sua figlia...

Poiché la favola è estremamente breve (meno di venti pagine in formato PDF), non sveleremo altro della trama. In queste poche righe si possono già evincere i punti focali del racconto, comunque. La società in cui vive il protagonista è distopica, opprimente. Agli Esterni sono vietati persino i diritti e le abitudini basilari, quelli che ci rendono individui e non solo persone giuridiche: avere un nome, poter formare dei legami familiari, festeggiare compleanni o feste. A questo si contrappone il Catturastelle che, per quanto sia cosciente dell’importanza di queste leggi, e si senta in colpa nel contravvenirvi, non può farne a meno perché spinto dalla forza più pura che ci sia: l’amore per sua figlia. La sua ribellione cambierà non solo la sua vita e quella della bambina, ma anche quella di altri, in primis degli amichetti della piccola, scatenando effetti incontrollabili dai rigidi Illuminati. Quindi, dalla lettura scaturiscono diversi spunti di riflessione, validi tanto per un bambino quanto per un adulto.

Inoltre è giusto sottolineare che il libro ha una storia alle spalle. Il progetto del Catturastelle, infatti, è nato su Internet: in primis grazie alla pubblicazione sui blog personali di Enrico Padovan e Marianna Balducci, poi con la distribuzione gratuita in ebook. Ma il sogno dei due autori rimaneva quello di poter avere la storia in formato cartaceo, e per farlo è stata avviata una campagna di crowdfunding. L’obiettivo è stato raggiunto, e Il Catturastelle è diventato anche uno spettacolo teatrale. La Rete, quindi - spesso sottovalutata od osteggiata dall'editoria - può diventare il mezzo per raggiungere uno scopo che sembrava difficile da ottenere altrimenti, mobilitando direttamente le persone interessate. Il crowdfunding, in particolare, potrebbe essere un interessante strumento di promozione e di stimolazione per un mercato troppo diffidente verso gli autori esordienti, i piccoli editori e in generale coloro che si pongono fuori dai trend e da ciò che viene considerato una facile forma di guadagno.
Anche se la campagna de Il Catturastelle è finita, e il volume può essere acquistato in cartaceo, crediamo che sia un progetto che non ha ancora esaurito la sua utilità, e meriti ancora supporto: con questa recensione, ad esempio, ma non solo.



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