
A cura di Surymae Rossweisse
Naturalmente, non sarà certo
della ragazzina in bici che parleremo oggi: nah, argomenti troppo positivi.
Molto meglio concentrarsi invece su “Bokurano
– Il nostro gioco” di Mohiro Kitoh.
Buona lettura!
Quindici ragazzi si ritrovano a
partecipare insieme ad un campo estivo in un villaggio in riva al mare. In un
momento morto, decidono di esplorare i dintorni. In una grotta i nostri
incontrano un uomo, Kokopelli, che
propone subito loro di partecipare ad un gioco. Lui, infatti, dice di essere un
programmatore di videogiochi, e la sua ultima creazione è un multiplayer in cui
bisogna guidare un gigantesco robot per difendere la Terra.
Sin dalla simulazione condotta da
Kokopelli, però, i nostri si accorgono
che tutto è reale: dalla cabina di guida – che ripropone le loro sedie preferite,
senza alcun errore – al combattimento vero e proprio. Il destino della Terra è davvero nelle loro mani... e in quelle di Koemushi, curiosa creatura dall'aspetto
molto più rassicurante e gentile di quanto non sia veramente, che fa loro da
“mentore”. Non solo: alla fine del primo combattimento “ufficiale” il pilota di
turno, Waku Takashi, muore. Si pensa
ad un tragico incidente, ma così accade anche ai ragazzi successivi: fino a
quando i rimanenti giocatori non capiscono, con orrore, che il robot funziona con la loro energia
vitale.
Parlando più nello specifico, Koemushi distrugge praticamente da solo
tutti gli stereotipi sulle mascotte: sempre disponibili, sempre gentili,
che non nascondono mai niente ai loro protetti e che anzi diventa quasi un
amico per il valido sostegno offerto sia durante gli scontri che la vita di
tutti i giorni. No. Scordatevi tutte queste cose. Il nostro ha un linguaggio estremamente rude, si prende
il lusso di sottacere verità importanti o addirittura mentire, ed è evidente
che vede i ragazzi soltanto come armi e non come persone. E' impossibile
farselo amico, ma sempre meglio che farselo nemico, come scoprirà a proprie
spese chiunque ci proverà.
Ho accennato poco sopra a cosa accade all'esterno durante le
battaglie; questo è un altro elemento che distingue il manga dalla
concorrenza, e che lo rende realistico. In genere, infatti, l'attenzione dello
spettatore viene posta tutta sulle battaglie e sui piloti: il resto non conta. Non ci è dato sapere cosa ne pensi
l'opinione pubblica di tutta questa situazione, nessuna autorità si
intromette mai negli scontri armati. Quando i protagonisti sono molto giovani,
poi, il discorso si estende anche alle famiglie: o convenientemente morte,
oppure del tutto ignare che il loro pargolo è l'eroe che sta salvando il mondo
dalla distruzione.
Naturalmente, però, il centro del manga sono gli sfortunati
piloti: e la carne al fuoco non mancherà. Penserete che abbia usato
l'aggettivo “sfortunato” in riguardo al loro triste fato; sì, ma non solo. Ad
eccezione di uno – il primo, non a caso – tutti i ragazzi hanno alle spalle
storie davvero drammatiche. Il parterre è molto ampio: si passa dal classico
ragazzo che deve crescere i fratellini perché la madre è morta ed il padre è
sparito dalla circolazione, fino ad arrivare agli abusi in famiglia, il tutto senza
dimenticare l'adolescente che vorrebbe donare – letteralmente – il suo cuore al
proprio migliore amico.
Il realismo non è lo scopo
principale di Kitoh. E per fortuna,
perché parliamo di giovani disillusi dalla vita, la cui causa di sofferenze è
data quasi esclusivamente dagli adulti che dovrebbero aiutarli. Non ci sono
terapisti di sorta, e questo si ripercuoterà sulle battaglie. Ma non è neanche
questo il succo del discorso, anche se qua e là è evidente una critica alla
società, rea di creare queste tragedie e non far nulla per risolverle.
Più in generale, comunque, c'è
differenza tra i primi ad affrontare la morte e gli ultimi. I secondi sono da
un lato più rassegnati, perché hanno visto troppe battaglie per non sapere cosa
succederà, ma allo stesso tempo più determinati, perché hanno qualcosa o
qualcuno da proteggere, per cui vale la pena sopportare tutto questo dolore. Gli altri, invece, è più facile che si
facciano prendere dal panico e che la tensione accumulata gli si ritorca contro:
e come biasimarli?
Il tratto di Mohiro Kitoh è senza dubbio personale, nel bene e nel male. E'
semplice, e sporco: le figure sono appena abbozzate, a tal punto che è
difficile distinguere i personaggi, alle volte persino se sono uomini o donne. I retini vengono usati il minimo
indispensabile, ma spesso non ci sono sfondi. Paradossalmente, però, le
pagine a colori sono fatte in maniera ottima, con una grande scelta dei toni
giusti. Questione di stile...
...E per oggi è tutto, cari
amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
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