Le perle del drago
verde - Lisa See
Dopo
una giovinezza felice a Shanghai, il sogno delle sorelle May e Pearl Chin è
finito a Los Angeles, dove entrambe sono destinate a un matrimonio combinato.
Nella Chinatown della città, le loro due famiglie crescono Joy, che a
diciannove anni scopre per caso e con dolore di non essere figlia di Pearl,
come ha sempre creduto, bensì di May e del suo grande amore di gioventù, il
pittore cinese Z.G.
È
il 1957 e nulla sarà più come prima per Joy, che decide di partire per
conoscere il Paese al quale sente di appartenere e soprattutto il suo vero
padre. Ma il mondo che l’attende è la Cina maoista del Grande Balzo in Avanti,
un mondo in cui gli individui non contano nulla, piegati dal potere e dalle sue
richieste spietate. Anche il padre naturale di Joy è osteggiato dal nuovo
regime in quanto artista ed è costretto a partire per la campagna dove dovrà
«imparare dalla vita reale». Nel suo cieco entusiasmo, Joy decide di seguirlo e
in un villaggio sperduto nel cuore della Cina conosce un giovane contadino di
cui si innamora perdutamente. Ma Joy ha due madri che l’attendono e che sono
disposte a tutto pur di riportarla a casa...
Editore: Longanesi
Pagine: 448 pagine
Formato: rilegato
Prezzo: € 18,80
Voto: 









Mi
sono lasciata trascinare nuovamente in Cina, grazie al nuovo romanzo di Lisa
See. È stato un ritorno ad una realtà
ben diversa da quella che mi si era presentata ne “Fiore di neve e il ventaglio
segreto” (del quale trovate la recensione qui),
in quanto collocata intorno agli anni Sessanta del secolo scorso, durante il
governo maoista e la politica del “Grande balzo in avanti”.
“Le
perle del drago verde” è la storia di Joy, ragazza nata a Los Angeles da una
famiglia cinese, che scappa verso la Cina, decisa a ritrovare il padre e
infiammata dall’ideologia comunista che raggiunge le associazioni universitarie
cinesi, insieme a notizie lusinghiere riguardo lo sviluppo del paese. La sua
fuga ha anche un altro motore: ha scoperto che per diciotto anni sua madre
Pearl, che si rivela essere in realtà sua zia, le ha mentito riguardo la sua
nascita, facendole crollare le certezze e scatenando in lei il bisogno di
sapere di più riguardo le proprie origini. Così Joy si avventura alla ricerca
del padre, Z.G., perdendo però la possibilità di ritornare negli Stati Uniti a
causa della confisca del passaporto. Z. G. era stato l’unico vero amore di sua zia
May (madre biologica), ed è un artista molto rinomato e riconosciuto dai
vertici di governo, ma considerato troppo incline alle ideologie borghesi e
capitalistiche bandite da Mao. Scoperto di avere una figlia, Z.G. porta con sé
Joy a Drago Verde, un villaggio dove il pittore ha il compito di istruire i
cittadini ai dettami dell’arte comunista. È qui che Joy incontra Tao, giovane
di bell’aspetto e particolarmente abile nel disegno, del quale si innamora.
Z.G. riesce a persuadere la figlia ad essere prudente nei confronti di Tao,
temendo che finga interesse per la ragazza perché affascinato dall’idea di
potersi trasferire in città ed avere successo. Chi abita in campagna, infatti,
non ha il permesso di spostarsi verso la città e, di contro, i cittadini raramente
ottengono permessi per raggiungere la campagna (a meno che non siano permessi
speciali, come quello che porta Joy e Z.G. a Drago Verde). La ragazza e suo
padre tornano a Shangai dove apprendono che Pearl è giunta in cittò per
riportare Joy a casa, ma la ragazza si rifiuta di lasciare il paese, assuefatta
dall’ideologia e “corrotta” dai sentimenti che prova per il giovane Tao. Il suo
ritorno a Drago Verde, diventato un villaggio della comune, segnerà l’inizio di
una nuova vita al fianco del giovane che ama, molto ben diversa da quella che
aveva immaginato.
“Le
perle del drago verde” è un romanzo particolare, ricco di storia e per certi
versi crudo, una rappresentazione fedele e viva dell’eterno conflitto
madre/figlia, attraverso le memorie che prendono corpo dalle voci di Joy e
Pearl che si alternano pagina dopo pagina. Sono loro, infatti, ad accompagnarci
in un periodo storico buio, rivelandoci i particolari più scomodi di quello che
è stato, le difficoltà e la mancanza di libertà da parte del popolo cinese. Si
tratta di un romanzo di formazione, crescita fisica e ideologica, che coinvolge
non solo la protagonista più giovane, ma anche gli altri personaggi principali,
come ad esempio Pearl, la cui storia – già raccontata nel primo volume della
saga familiare, “Le ragazze di Shangai” – ha qui una conclusione ben diversa da
quella che ci saremmo immaginati. Si potrebbe dire che anche il lettore ha modo
di “crescere” scorrendo il romanzo, ottenendo vari spunti per la riflessione
sul quotidiano, su ciò che ci circonda, ma soprattutto riesce a cogliere la non
troppo sottile polemica di stampo politico. La See ci parla di propaganda
politica, di asservimento al potere, ma soprattutto di omologazione e
alienazione delle masse, di “bugia” di Stato. Alla luce dei mille eventi di cui
oggi è facile avere notizia, il pensiero non può che andare all’idea che in
Cina molte cose siano rimaste immutate: oggi si presenta come un paese forte su
mercato, che però non permette una libera circolazione dell’informazione al suo
interno e all’esterno. Tale polemica si fa forte soprattutto quando si parla di
organizzazione delle comuni, delle bugie che i capi raccontano ai contadini
ignoranti, facendogli quasi il lavaggio del cervello e inneggiando ad uno
sviluppo sostenibile a costo della riduzione delle razioni di cibo. Emblematica
è la considerazione di Joy, proprio riguardo il comportamento dei “tutori
dell’ordine”, che con cosciente disillusione ci ricorda che il solo modo per
evitare le ribellioni è affamare il popolo:
«Ora capisco come tutto
questo possa essere accaduto e anche perché nel nostro Paese non ci sono state
rivolte, proteste o insurrezioni. Siamo troppo deboli, stanchi e impauriti per
intraprendere simili azioni. Affamandoci ci hanno fatto il lavaggio del cervello,
e la gente crede ancora nel presidente Mao e nel partito comunista».
Un’altra
tematica che ci accompagna dall’inizio alla fine è sicuramente quella
dell’amore: le protagoniste hanno modo, nel corso degli eeni di capire se
stessa, la loro natura, ma soprattutto imparano il vero significato della
parola amore:
«Credevo che “ai kuo”,
l’amore per la Cina e il suo popolo, fosse la cosa più importante al mondo.(…)
Poi ho pensato che poter chiamare qualcuno “ai jen” mio amato, fosse più
importante. (…) Ora ho capito che l’amore è qualcosa di molto più grande. “Kung
ai”, l’amore universale, è la forma di amore più importante.».
Altro
topos ricorrente è quello dell’inevitabilità del ritorno alle origini. Sembra
quasi che la See voglia riproporre le teorie che vedono la storia non come una
linea temporale sulla quale si susseguono gli eventi, bensì una combinazione
che si ripete all’infinito, secondo il concetto dell’ “eterno ritorno” di
Nietzsche.
Passiamo
ora alle note dolenti. Per quanto “Le perle del drago verde” sia un romanzo
affascinante, temo che l’utilizzo del presente indicativo come tempo della
storia (e in questo caso anche del racconto) fosse destabilizzante e poco
affine all’impianto memorialistico del romanzo: il passato remoto avrebbe di
certo armonizzato la narrazione e sarebbe stato forse molto più affine allo
stile inconfondibile dii Lisa See, rendendo di certo tutto molto più
coinvolgente, visto che questa scelta si ripercuote sul ritmo narrativo, che in
alcune parti subisce quasi un arresto. Altra pecca: il romanzo è impregnato di
una forte dose di realismo, ma in alcuni casi i personaggi risultano poco
coerenti con se stessi e tendono a smentirsi – è vero che l’animo umano è profondamente
mutevole, ma a volte si ha l’impressione, nonostante la forte
caratterizzazione, di essere in presenza di un personaggio diverso da quello
preso in esame. Soprattutto è inverosimile il verificarsi di alcuni eventi che
accadono da metà romanzo in avanti, che evito di anticipare semmai vogliate
cimentarvi nella lettura.
In
conclusione, “Le perle del drago verde” è sicuramente una storia molto
istruttiva che non credo verrà mai pubblicata in Cina, interessante, ma di
certo non all’altezza dei lavori precedenti della See. Resto dell’idea che non
basti raccontare una bella storia per scrivere un bel libro, ma soprattutto che
quando come in questo caso si scrive un romanzo storico, bisogna mettere da
parte l’amore per i personaggi ed essere il più possibile realistici, a volte
quasi crudeli con le proprie “creature”, altrimenti si dà l’impressione di aver
voluto chiudere un ciclo in modo frettoloso e idilliaco, cosa alla quale Lisa
See non mi sembra incline.
Lisa See
Nata nel 1955, vive a Los Angeles.
Giornalista collaboratrice di Los Angeles Times, Washington Post, Cosmopolitan
e Publishers Weekly, ha compiuto frequenti viaggi in Cina, soprattutto per
visitare i luoghi di origine della sua famiglia, della quale ha raccontato la
storia in “La montagna d’oro”. Negli Stati Uniti i suoi romanzi sono tutti
bestseller che raggiungono i primi posti delle classifiche. Longanesi ha
pubblicato “In una rete di fiori di loto”, candidato al premio Edgar, e “Fiore
di Neve e il ventaglio segreto”.
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